lunedì 17 ottobre 2011

fottuta velocità

(ciò che manca è la resistenza)



mettere insieme dei pensieri per costruire un discorso sensato non è mai facile quando questi pensieri sono tanti e anche un po' contrastanti tra loro come quelli che si possono generare dopo episodi come quelli del 15 ottobre a Roma, il rischio è quello di far di tutta l'erba un fascio o di perdersi in “sìmaperò” altrettanto deleteri, ciò che è certo è che la responsabilità di tutto questo non è da cercare nei singoli o nelle situazioni circostanziate, la responsabilità sta oltre e sta dentro ognuno di noi, è nell'epoca e nella cultura che viviamo quotidianamente, quella della velocità.
Ciò che ci sta fregando è il tutto e subito è l'abitudine a frequentare i supermercati dove in poche decine di metri trovi tutto l'occorrente per fare una spesa che una volta toccava fare almeno il giro del quartiere e a ogni bottega bisognava aspettare il proprio turno prima di poter essere serviti, è la moda del fast food, del self-service, ovvero del contrario di tutto ciò che vuol dire sedersi comodi, aspettare e gustare con calma, è sapere che un film appena uscito nelle sale cinematografiche domani te lo puoi già vedere comodo dal tuo divano di casa perché è già uscito il dvd o lo danno già in tv, è quella cosa per cui ogni marchingegno che compri diventa già vecchio che non hai avuto ancora il tempo per imparare a usarlo ed è incompatibile, e tu diventi incompatibile, con ciò che gira attorno.
Ciò che ci sta fregando è vivere in un'epoca in cui la cultura predominante è quella del non saper attendere, è quella che per cui ci si stufa presto delle cose, specie se queste non producono i risultati sperati nell'immediato; certo è un modo di vivere a cui ormai siamo assuefatti, che ci piace perché è comodo (già...comodità... altra cosa che ci sta fregando) e allora succede che anche nelle cose meno materiali questa mania della velocità, del tutto e subito, del non poter attendere, del cambiamento rapido prende il sopravvento, quindi si cambia nome ai partiti, si cambia nome ai movimenti, quasi vergognandosi di ciò che si era e sostanzialmente si è ancora, si agisce di fretta, non ci si guarda attorno, non ci si guarda dentro, si colpisce e si scappa, senza aspettare, incapaci ormai della pur minima resistenza.
Resistenza, si chiamava Resistenza una sessantina di anni perché non è stata fatta con velocità, non è stato un gesto rapido, uno sforzo improvviso, lo scoppio di un  petardo, è stata rinuncia, metodo, costanza, è stata pazienza che non vuol dire stare immobili e inermi ma vuol dire scegliere la strada da percorrere e camminare senza fermarsi mai.

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