Aldo Foschini
VIAZ
VIAZ
non si racconta di un viaggio o forse sì
1
-
Il Comandante Pafol e tutto l'equipaggio della motonave La Rossa, vi
dà il benvenuto a bordo. Tra pochi minuti salperemo verso L'Isolata,
una volta sbarcati sarà possibile visitarla in totale autonomia o
aggregarsi al gruppo visite organizzato. Siete pregati di rimanere ai
vostri posti. Buon viaggio! -
La voce di Pafol echeggiava
dall'altoparlante, tutti i passeggeri erano diligentemente seduti ai
loro posti, mentre ogni membro dell'equipaggio stava per prendere
posizione là dove sarebbe stato più utile.
Furono levati gli
ormeggi e annunciato da un poderoso barrito di sirena il Comandante
virò a tutto babordo il timone, un'altra gita della motonave La
Rossa stava per cominciare.
2
Molti
anni prima, Pafol passando davanti a un grande manifesto che diceva:
“non è il comandante a scegliere la sua nave, ma è la nave a
scegliere il suo comandante”, si era imbarcato sulla Donquixot agli
ordini dell'Ammiraglio Faraglioni, al tempo non aveva ancora la folta
barba bionda che adesso gli ornava il viso e non sapeva fumare la
pipa caratina con quella maestria che lo contraddistingueva ora,
mentre con sguardo sicuro scrutava l'orizzonte marino dalla plancia
di comando della sua motonave.
La Donquixot era la più grande
nave da guerra mai costruita, essa si muoveva grazie a mille motori a
scoppio che davano energia a tre eliche grandi e forti come leviatani
che girando vorticosamente nell'acqua montavano le onde a neve.
Con
uno scafo costruito con una speciale lega di cemento armato
galleggiabile la Donquixot risultava inaffondabile ma ciò che la
rendeva inarrestabile era tutto l'armamentario all'avanguardia del
quale era fornita, da ognuno dei diecimila oblò che circondavano
l'intero perimetro sbucavano altrettanti cannoni per proiettili
intelligenti a esplosione silenziosa.
A poppa erano poste cinque
rampe per missili a testata termonucleare e da ognuna di esse
potevano esserne lanciati tre consecutivamente con un intervallo di
pochi secondi uno dall'altro, poi ci voleva un paio di minuti per
ripetere la sequenza
A prua della Donquixot erano sempre pronti a
fare il loro dovere una coppia di obici spara laser ruotabili, ad
angolo giro, orizzontalmente, verticalmente e se necessario
obliquamente.
Molto altro tra mitraglie, spingarde, catapulte,
fiocine, fionde era sparpagliato un po' dappertutto a disposizione
del primo che passava nei paraggi, ma più in alto di tutto quanto
l'armamentario c'era il vanto della Donquixot: il Vesuvio, ovvero la
più grande bocca di fuoco immaginabile, capace di scaraventare nel
cielo tonnellate di lapilli e lava facendo ricadere tutto sulle
inermi flotte nemiche.
Ma in tutte le battaglie navali che la
Donquixot si era trovata ad affrontare, nessuna di queste armi,
nemmeno la più primitiva fionda, fu mai utilizzata, questo perché
l'Ammiraglio Faraglioni preferiva sempre fare affidamento a ciò che
la Donquixot celava nelle sue viscere, un prodigio ancora più grande
e sorprendente, quello di essere la prima e unica nave da guerra
completamente commutabile.
Essa infatti, grazie a un complesso
sistema di nebbie provocate artificialmente, doppi fondi, giochi di
specchi e argani messi in movimento da un semplice giro di chiave, in
breve tempo era in grado di diventare una lussureggiante nave da
crociera e viceversa, ingannando così le flotte nemiche che
trovandosi all'improvviso al cospetto della più devastante delle
navi da guerra alzavano senza pensarci tanto, bandiera bianca.
Tutti
i novecentonovantanove marinai che formavano l'equipaggio della
Donquixot agli ordini dell'Ammiraglio Faraglioni, oltre che alle
classiche manovre militar marinaresche erano addestrati a una serie
di abilità tipiche degli attori trasformisti così che quando la
Donquixot effettuava la sua commutazione in nave da crociera anche i
suoi abitanti da disciplinati soldati del mare rapidamente assumevano
le sembianze di spregiudicati uomini d'affari o di vanitose dame
ingioiellate per ingannare alla perfezione il nemico.
A capo di
tutto c'era ovviamente lui, l'immarcescibile Faraglioni, ammiraglio
tra gli ammiragli con le sue ventinove patacche appuntate al petto,
ricordo di altrettante eroiche battaglie mai combattute, però vinte
tra le onde del mare. Faraglioni
era un uomo tutto d'un pezzo, un monolite che era diventato
ammiraglio in seguito ad un regolare torneo di Bim Bum Bam così come
era usanza da quelle parti e senza essere mai stato nemmeno una volta
al mare, dimostrò molto presto di che pasta era fatto.
Sulla
Donquixot tutto procedeva con una certa monotonia per Pafol, ma tutto
cambiò quando l'Ammiraglio Faraglioni decise di sferrare l'attacco
decisivo alla Collina dei Mille Fichi, un cruccio che lo tormentava
ogni notte da quando era salito sulla plancia di comando della
Donquixot.
La sera dopo cena convocò a rapporto nella sua cabina
tutti i membri del Gran Consiglio Supremo della Donquixot per
illustrare quella che sarebbe stata la strategia utilizzata nelle ore
successive. Faraglioni spiegò col suo solito fare sbrigativo i vari
passaggi, lo specchio destro acconsentì entusiasticamente, seguito
immediatamente a ruota dallo specchio di fronte, dopo un brevissimo
tentennamento anche lo specchio sinistro diede la sua approvazione e
lo stesso fecero lo specchio in alto e lo specchio in basso, la
strategia proposta dall’Ammiraglio Faraglioni aveva ottenuto come
al solito la maggioranza assoluta dei consensi.
L'Ammiraglio
Faraglioni infilò la chiave che teneva sempre appesa al collo
nell'apposita serratura e diede inizio alla trasformazione della nave
da guerra Donquixot nella nave da crociera Dolcinia, diede ordine a
novecentonovantotto dei suoi uomini di restare vestiti militarmente,
di salire a bordo di tutte le scialuppe di salvataggio e di calarle
in mare; mentre al novecentonovantanovesimo ordinò di cambiarsi,
andare al pianobar e mettersi a suonare al massimo del volume, infine
si lanciò con ardimento su una delle scialuppe, indicando fieramente
la direzione per la conquista della Collina dei Mille Fichi.
Appena arrivati col favore delle tenebre,
sulla costa della Collina dei Mille Fichi tutti scesero agilmente
dalle scialuppe di salvataggio ma la metà degli uomini venne
dilaniata dalle fameliche piccole vongole sparpagliate sulla
battigia, metà della metà rimasta fu inghiottita dalle sabbie
mobili in mezzo alla spiaggia.
La metà della metà ancora in
grado di procedere verso la conquista della collina dei Mille Fichi
precipitò in un crepaccio nascosto ai bordi della boscaglia e la
metà degli uomini rimasti si smarrì nel mezzo della boscaglia ed è
lecito supporre che siano ancora lì in cerca di una via
d'uscita.
Ormai erano rimasti pochissimi uomini insieme
all'Ammiraglio Faraglioni ma poiché in una bettola incontrarono
delle prostitute, per un poco d'amore facile, disertarono
all'istante. L'Ammiraglio Faraglioni arrivò da solo in cima alla
Collina dei Mille Fichi, stava per piantare la bandiera di conquista
ma un caprone nascosto tra gli sterpi gli corse addosso e con una
poderosa testata nelle chiappe lo gettò dall'altra parte.
Così
ebbe fine la carriera dell’Ammiraglio Faraglioni e cominciò quella
nuova di Pafol mentre seduto al pianobar suonava l'ennesimo brano che
nel titolo conteneva la parola mare.
3
Ora
Pafol era diventato l'unico membro dell'equipaggio della nave da
crociera Dolcinia, ormai per la nave da guerra Donquixot non c'era
più niente da fare, era del tutto perduta così come la chiave
rimasta al collo dell'Ammiraglio Faraglioni. Lo stesso giorno le
sirene intonarono il loro canto più triste, Poseidone padrone dei
mari, ordinò onde a lutto, il cielo, in rispetto, si coprì di uno
strato omogeneo di nuvole nere mentre la Dolcinia navigava in
direzione del Triangolo delle Perdute, il cimitero di tutte le
navi.
Quando Pafol cominciò a udire il brontolio del Gorgone, un
vortice eterno posto esattamente al centro del Triangolo e vide il
frenetico agitarsi delle onde, capì e si preparò ad abbandonare la
nave.
Non c'erano più scialuppe di salvataggio a disposizione, ma
nella sua cabina aveva un piccolo canotto gonfiabile a forma di drago
vichingo, lo abbracciò e si lanciò con quello nelle acque
burrascose; pagaiando con tutta l'energia che aveva si allontanò per
non essere risucchiato nel Gorgone.
Uno dei tre angoli che
formavano il Triangolo delle Perdute era l'isola di Tortura, un covo
di malagente ma tutto questo Pafol lo ignorava quando giunse al porto
di Saint-Arembage cantando a squarciagola, per sua fortuna era già
tarda sera e tutti quanti erano a far bisboccia alla Taverna di
Barbarara; c'era soltanto un ragazzo dalla pelle scura intento a
picchiettare ritmicamente sulla lamiera di un grigio galeone. Pafol
tentò di ottenere la sua attenzione chiamandolo, ma il ragazzo
continuava col suo tamburellare, prese allora da terra un sassolino e
lo lanciò facendolo rimbalzare a pochi centimetri dalla dita del
moretto; la stecca ritmica riuscì a fermare il ragazzo che vedendo
Pafol sul molo, lo apostrofò:
- Cosa vuoi da me non l'ho capito/
Ma ascolta bene quello che ti dico/ My name is Julius and i am black/
E parlo solo e soltanto in rap/ Fai attenzione al galeone/ Se vuoi
arrivare alla pensione/ Io in questo posto ci sono nato/ Ma chi
comanda è L'Unghiato/ Quindi lo dico e poi lo nego/ Dì ciò che
vuoi io me ne frego. -
detto questo invitò Pafol a salire a
bordo, ma non fece in tempo a farlo accomodare che un'improvvisa
tromba d'acqua sollevò l'intero galeone ricollocandolo in mare
aperto a diverse miglia di distanza.
La tromba d'acqua fu così
improvvisa, rapida e chirurgica che nient'altro a Saint-Arembage subì
il ben che minimo danno, tanto meno la Taverna di Barbarara dove
tutti erano intenti a far baracca.
Lo spostamento fece sbattere la
testa a Pafol e Julius che rimasero svenuti per diverse ore. Quando
si ripresero stranamente le vele del galeone erano spiegate e
gonfiate dal vento, tutto sembrava procedere come in una normale
navigazione, se non per il fatto che sul galeone c'erano soltanto
loro due ancora un po' intontiti e che entrambi sentivano una voce
dire:
- Scendete nella stiva, prendete tutti i barattoli che
trovate, portateli sul ponte e apriteli, poi rimettetevi a dormire.
-
Una voce infantile eppure determinata che sentivano provenire
dalla loro testa gli stava dando quello strano ordine che
istintivamente Pafol e Julius eseguirono senza battere ciglio.
La
mattina dopo furono svegliati da dei miagolii, sul galeone insieme a
loro c'erano quattro gatti saliti a bordo chissà quando. Miagolavano
e si leccavano soddisfatti il pelo, tutto il galeone era diventato
come d'incanto completamente rosso. La voce misteriosa tornò a farsi
sentire nelle loro teste: - Scendete in cucina e aprite il
frigorifero, troverete delle scatolette di tonno, datele ai quattro
gatti. -
Automaticamente Julius a Pafol eseguirono anche quell’
ordine e per diverse settimane di navigazione le cose andarono avanti
così, con la voce che indicava a Pafol e Julius cosa fare e che loro
eseguivano in maniera automatica senza mai confidarsi che lo facevano
perché una voce nella loro testa gli diceva di farlo.
4
A
Saint-Arembage, dentro alla Taverna di Barbarara nel frattempo il
feroce pirata Torquato L'Unghiato era alla cassa per pagare tutto
quello che avevano tracannato lui e la sua ciurma al completo, tutta
tranne ovviamente Julius che essendo minorenne non poteva frequentare
la Taverna e tantomeno mettersi a bere alcolici, una regola sulla
quale lì a Saint-Arembage nessuno era disposto a
trasgredire.
Insieme a Torquato L'Unghiato c'era Spugna un vecchio
pirata dedito all'alcool e a raccontare strane storie riguardo a una
fantomatica isola che non c'era, Squalo un tipo tanto magro quanto
famelico, Magilla un gigante villoso dalla forza sovrumana, Kabul,
Turiddu eTartaja, tre brutti ceffi che presi ognuno per conto proprio
erano in grado di sgominare un esercito intero, Sgrunz capace di far
raggelare il sangue col solo potere del suo sguardo da gargoile e
infine i Gemelli Banzaj, piccoli e veloci come ninja.
Torquato
L'Unghiato era il capo indiscusso di quella masnada, non aveva
assolutamente nessuna caratteristica fisiognomica che potesse far
immaginare tanta crudeltà, di corporatura tracagnotta sormontata da
un rudimentale riporto per malcelare una testa calva, vestiva un
burocratico completo grigio topo, unica eccentricità le sue unghie
lunghe smaltate di un rosso sanguigno.
Appena uscì dalla Taverna,
Torquato L'Unghiato lanciò un grido stridulo e prolungato che ferì
in profondità il cielo sopra l'Isola di Tortura, subito dopo
stramazzò al suolo, inanimato come un sacco di patate.
La voce
che il galeone di Torquato L'Unghiato era misteriosamente scomparso
non tardò a circolare per tutta Saint-Arembage e tutti corsero a
mettersi al riparo, sapevano infatti che appena si sarebbe ripreso
dallo shock, l'ira di Torquato l'Unghiato non avrebbe dato scampo a
nessuno. Anche gli uomini della sua ciurma apparivano spaesati,
tuttavia restarono lì fermi immobili attorno al loro capo che pian
piano riprese conoscenza.
Ansimando continuamente e con un tick
all'occhio destro che si apriva e chiudeva a intermittenza ordinò ai
suoi sodali di impossessarsi di un'altro galeone, del primo galeone
che avessero trovato.
Trovarono quello di un tal Capitan Carcassa,
pirata di quarta categoria con più naufragi che arrembaggi sulla
groppa, bastò lo sguardo di Sgrunz per risolvere la questione.
A
Squalo fu affidato il compito di razziare quanti più viveri era
possibile trovare in tutta Saint-Arembage e poco dopo tutta la ciurma
si radunò sul ponte del galeone al cospetto di Torquato
L'Unghiato.
La sua figura tracagnotta si ergeva sulla plancia di
comando, lo stridio delle sue unghie che grattavano sulla lamiera fu
il segnale per mettersi in marcia, in cima all'albero maestro fu
issata bandiera nera e gonfiate le vele si levarono i canti di
battaglia mentre il galeone cominciava a masticare voracemente le
onde.
5
Gli
strilli rauchi provenienti da uno stormo di gabbiani svegliarono di
soprassalto Julius che stava dormicchiando al posto di vedetta in
cima all'albero maestro, tanto da farlo quasi precipitare in mare.
Aperti bene gli occhi, vide all'orizzonte uno skyline di silos
e ciminiere.
- Terra/ Terra terra/ Terra/ Terra terra! -
non
riusciva a dire altro che quello mentre scivolava giù per andare a
svegliare Pafol ancora beatamente assopito tra i cuscini del lettone
di Magilla.
Ancora una volta fu la voce misteriosa proveniente
dalle loro teste a indicare ciò che dovevano fare:
- Avvicinatevi
alla riva e dirigete il galeone dentro al canale.-
fidandosi
ciecamente della voce, Pafol e Julius cominciarono le manovre di
avvicinamento alla terra ferma con i quattro gatti ritti a prua che
parevano dirigere col movimento delle loro code tutte le
operazioni.
L'imboccatura del canale apparì a loro ben
evidenziata da due giganteschi bracieri, il galeone entrò
agevolmente proseguendo la navigazione a velocità moderata; due
lunghe file di silos e capannoni industriali intervallati da
slanciate ciminiere da cui scaturiva un fumo denso e indigesto,
facevano da contorno.
Col calar del sole la nebbia cominciò a
celare alla vista tutto l'osservabile; seguendo sempre le indicazioni
della voce misteriosa, Pafol e Julius deviarono il galeone lungo una
diramazione secondaria del canale, un tratto più stretto nel quale
si intravedevano a malapena le grandi reti da pesca appese fuori dai
padelloni.
Presso uno di questi, Pafol e Julius attraccarono il
galeone così come indicato dalla voce, lì fuori seduto ai bordi del
padellone, mentre era intento a pescare con una rudimentale canna,
stava un nano da giardino con la sua folta barba bianca e il berretto
rosso a punta.
- Salve, mi chiamo Deusex Machina e risolvo
problemi. -
il nano si presentò a Pafol e a Julius consegnando il
suo biglietto da visita
- Salve.-
risposero Pafol e Julius un
po' sorpresi.
- Grazie, ma al momento non abbiamo problemi.-
disse
Pafol mettendosi il biglietto da visita in tasca.
- Sicuri? Con un
galeone sottratto al più tremendo pirata che c'è in circolazione?
-
Il nano informò Pafol e Julius che Torquato L'Unghiato era alla
spietata ricerca di colui che aveva osato rubargli il galeone, per
sfuggire all'ira del tremendo pirata, il nano consigliò a Pafol di
trasformare il galeone in una motonave, perché anche se il galeone
non era più grigio ma rosso, un rosso sanguigno raccolto e
conservato in barattoli di latta e poi utilizzato da Torquato per
smaltarsi le sue lunghe unghie, in ogni suo più piccolo dettaglio
era riconoscibilissimo.
Per trasformare il galeone in una motonave
l'unica maniera era quella di recarsi fino alla Ferramenta
Budellazzi.
6
Pafol
e Julius si congedarono dal nano il quale aveva consegnato a loro un
foglio con tutte le indicazioni, lasciarono i galeone in ai quattro
gatti che nel frattempo avevano cominciato a fare amicizia con
qualche anatra di passaggio e si avviarono di buona lena lungo una
cavedagna.
La Ferramenta Budellazzi si trovava quasi dall'altra
parte della GRAN MADR, così era chiamato il luogo dove erano
approdati, la Grande Metropoli Agricola Diffusa Rumagliola, questo
era il nome ufficiale di una metropoli sorta nella Rumaglia
all'estremità sudorientale di una grande pianura fertile, in riva al
mare e protetta da rigogliose colline.
Una metropoli che si era
andata a formare con l'unione di sette città sorelle, dei loro tanti
borghi e sobborghi tentacolari, continuando a mantenere, nonostante
un'urbanizzazione più che evidente, un fortissimo legame con le
antiche tradizioni contadine. Pafol e Julius erano arrivati nel
grande porto di Ramiana, la più grande delle sette città sorelle,
una città di antichi e nobili fasti, si era sviluppata attorno al
grande porto nel quale il canale attraversato col galeone fungeva da
arteria principale.
Ramiana che frequentemente rimaneva nascosta
dalla nebbia era unita alle altre città che formavano la GRAN MADR
da lunghi sobborghi tentacolari alle spalle dei quali si estendevano
ampi campi coltivati, e nella GRAN MADR si coltivava di tutto.
Le
altre sei città che costituivano la GRAN MADR erano: Aremina,
Xezena, Livvì, Fiordargilla, Kornelja e Labassa, le prime cinque si
trovavano in quell'ordine, lungo la Rumagliese una strada che
partendo dal mare separava la grande pianura dalle colline, mentre
Labassa si trovava un po' più a settentrione dove la grande pianura
si estendeva fino a perdersi nell'orizzonte.
Leggendo attentamente
le indicazioni che Deusex Machina aveva scritto sul foglio, Pafol e
Julius sapevano che per arrivare alla Ferramenta Budellazzi dovevano
arrivare fino a Kornelja ma la voce che sentivano dentro le loro
teste li convinse a passare prima da Labassa, dove in una piazza
avrebbero conosciuto qualcuno che sarebbe diventato un loro compagno
di viaggio.
Così si incamminarono, Pafol era il più teso tra i
due, nell'ultimo periodo gliene erano capitate di tutti i colori,
tutto sommato non era passato molto tempo da quando era uno dei
novecentonovantanove marinai della Donquixot e ora si trovava
braccato dal più temibile tra i pirati. Julius invece era
tranquillo, saltellava in qua e in là lungo la strada, si guardava
attorno con curiosità, ogni tanto si tratteneva a raccogliere
sassolini e rametti che poi gettava dopo pochi passi, appariva
spavaldo come si conviene a un giovane pirata.
Il lungo sobborgo
tentacolare che stavano attraversando sembrava dissolversi nel buio e
nella nebbia, secondo la segnaletica stradale per raggiungere Labassa
mancavano pochi chilometri ma ormai non si vedeva più niente e
temendo di perdersi Pafol e Julius decisero di riposarsi riparandosi
nell'androne di un fatiscente palazzo nobiliare presso l'argine di un
fiume.
Il mattino successivo, con la nebbia che si era
completamente diradata, ripresero il cammino e in men che non si dica
arrivarono nella periferia orientale di Labassa, la città meno
abitata di tutta la GRAN MADR, che tuttavia si sviluppava in maniera
alquanto vasta in mezzo alla pianura e a differenza di tutte le altre
città non si diramava partendo da un unico centro storico, ma era il
frutto di vari borghi anticamente separati gli uni dagli altri e
costituiti di tantissime case basse e pochissimi palazzi mai più
alti di quattro piani.
La piazza al centro del quartiere di
Cavalanghé era il luogo in cui erano diretti Pafol e Julius, si
trattava di una piazzetta ovale, completamente circondata da un
porticato e proprio sotto a uno dei suoi archi avrebbero conosciuto
colui che li avrebbe accompagnati nel proseguimento del loro viaggio
verso la Ferramenta Budellazzi.
Arrivati finalmente nella
piazzetta ovale, cercarono di scorgere qualcuno e dalla parte opposta
del porticato videro un uomo, un barbone sdraiato sopra una panchina
arrugginita, stava ronfando beatamente, tra le braccia stringeva un
vecchio violino, Aziz si chiamava.
7
Aziz
era figlio di un mercante di spezie e di una danzatrice del ventre,
uno zio tzigano lo aveva introdotto all'arte del suonare il violino
facendolo diventare uno dei maggiori virtuosi su scala mondiale.
Aziz
aveva perso tutta la sua famiglia nel naufragio del Titania al largo
della Foce Eridia. Lui fu l'unico a salvarsi in quella tragedia,
rimanendo aggrappato alla custodia del suo violino, fu soccorso,
ormai stremato, da una famiglia di Afrumaglioli che si prese cura
di lui crescendolo come un figlio.
Diventato grande andò ad
abitare da solo in un piccolo appartamento a Vall'Amone, un borgo
sulle colline sopra Fiordargiilla. Ogni mattina si svegliava e in
sella alla sua graziella scendeva a valle per esibirsi col suo
violino nelle piazze dove si svolgevano i mercati e alla sera tornava
nella sua umile dimora per rilassarsi sul divano davanti alla tivù.
Una sera d'autunno, mentre stava tornando a casa pedalando sotto la
pioggia si sentì chiamare:
-Hei, Aziz! -
si voltò ma non vide
nessuno.
Pensando di essersi confuso, proseguì per la sua strada
cercando di fare più in fretta possibile per non bagnarsi troppo ma
ancora una volta si sentì chiamare:
- Hei, Aziz! -
questa
volta gli parve proprio di sentire il suo nome scandito chiaramente,
si voltò, vide soltanto un ombra scura poi un lampo.
La
pallottola lo colpì facendolo cadere al suolo, la sua fortuna fu che
prima di penetrargli nel corpo fu deviata da una piccola medaglia con
un immagine sacra e non colpì nessun organo vitale.
Fu
immediatamente soccorso e portato all'ospedale più vicino per
curargli la ferita. Tutti conoscevano Aziz il violinista e, quando si
riprese dall'anestesia, tutti rimasero stupiti e perplessi, non
sembrava più l'Aziz che tutti avevano conosciuto.
- S'èl sté? -
(Cos'è
stato?)
sbraitò
improvvisamente Aziz, i medici e le infermiere al suo capezzale
rimasero per un attimo ammutoliti, non aspettandosi una reazione del
genere.
- Alora? U'n scòr inció? Neca me, to mò!”- (Allora?
Non parla nessuno? Anch'io, ecco!)
e
si rinchiuse in un profondo silenzio interrotto ogni tanto solamente
da una frase:
- Dasim da bé, ch'an spud piò. - (Datemi
da bere, che non sputo più)
per
poi redarguire bruscamente l'interlocutore
- No d l'aqua! A voj de
ven ross, boia de Singuler!” - (Non
dell'acqua! Voglio del vino rosso, boia del Singolare!)
ogni
volta che gli veniva versato un bicchiere pieno d'acqua e ciò
sconvolgeva chiunque avesse conosciuto Aziz perché non lo si era mai
visto bere qualcosa di alcolico, nemmeno per errore.
Inutili
furono i vari tentativi per tentare di farlo tornare in sé, Aziz si
ostinava a tacere o a proferire solo quelle poche parole quando
proprio non ce la faceva più.
Lentamente cominciò a isolarsi da
tutto e da tutti, abbandonò il suo appartemento a Vall'Amone e
cominciò a vagabondare per le strade della GRAN MADR, tra le braccia
aveva sempre il suo vecchio violino che ormai non suonava più.
8
Ad
accorgersi per primo di qualcuno sopra a una panchina fu Julius:
-
Guarda là/ Proprio là/ Sopra quella panca là/ Ci sta uno/ Forse è
meglio/ Che se dorme/ Io lo sveglio. -
Pafol non fece in tempo a
bloccare Julius, il ragazzo aveva già dato un calcio a una lattina
che si trovava proprio lì tra i suoi piedi; un calcio diretto verso
la panchina dove un uomo si stava riposando, si senti uno sdeng-dleng
e un brontolio, la lattina aveva colpito proprio le corde del violino
che Aziz teneva stretto tra le braccia.
Il brontolio era quello di
un barbone che si tirò su molto lentamente. Appena fu seduto alzò
lo sguardo, vide dall'altra parte della piazza un uomo e un ragazzo
che lo stavano fissando.
Sembrava di assistere a uno di quei
duelli western con i protagonisti uno di fronte all'altro e attorno
soltanto silenzio. Durò pochi secondi, ma il tempo sembrava andare
al rallentatore.
Lo sguardo di Aziz si soffermò in particolare
sul ragazzo, il colore della sua pelle, quegli occhi, quel naso,
avevano risvegliato in lui ricordi ormai sopiti da tempo:
- Hoi
te, ad chi sit ‘e fiól? - (Hei
tu, di chi sei figlio?)
-
Te murett, ad chi sit ‘e fiól? - (Tu
moretto di chi sei figlio?)
riinterrogò Aziz.
- Vèn a cva! - (Vieni
qua)
indicando
Julius e invitandolo col gesto delle mani ad avvicinarsi. Julius si
indicò il petto per chiedere conferma di essere lui l'interpellato
-
Sè! Propri te. -
(Sì! Proprio te.)
confermò
Aziz, allora Julius fece qualche passo in avanti, Pafol avrebbe
voluto trattenerlo, ma un attimo di esitazione e Julius era
già
troppo in là.
Ora Julius e Aziz si trovavano uno di fronte
all'altro a poca distanza.
- T'é j'occ d'la Rusina, t’al acnos
la Rusina vera? - (Hai
gli occhi della Rosina, la conosci la Rosina vero?)
Julius
rimase in silenzio e a quel punto anche un po' spaventato.
Anche
Aziz rimase qualche secondo in silenzio, poi gli tornò
improvvisamente la voglia di suonare il violino e attaccò eseguendo
una ninna nanna, quella che aveva imparato anni fa durante la sua
permanenza nella famiglia di Afrumaglioli che l'aveva adottato.
A
sentire quella musica Julius ebbe un rewind di tutta la sua breve
vita:
- Nonna.-
quella musica risvegliò in Julius ricordi che
pensava ormai cancellati, ricordi di quando non era ancora un pirata,
ma era un bambino come tanti altri, un bambino afrumagliolo che
viveva felice insieme a tutta la sua famiglia. Julius si ricordò di
quella ninnananna che gli cantava sempre sua nonna per addormentarlo,
si ricordò del nonno e di quando tornando dai lavori nei campi prima
di entrare in casa si fermava a dare due calci al pallone insieme a
lui.
- Questa è la ninnananna di mia nonna/ Quando sedevo sulle
sue ginocchia/ Me la cantava sempre prima di dormire/ I pomeriggi
prima di giocare nel cortile / Con la palla/ Che rimbalzava sulla
ghiaia e sulla sabbia/ Che io sappia/ Io non ricordavo proprio
niente/ Per favore mi racconti/ Quel che sa di quella gente -
chiese Julius rappando come al solito.
Aziz lo guardò
inarcando le sopracciglia e poi si volto verso Pafol:
- E vo, chi
siv? - (E
voi, chi siete?)
-
Come? Dice a me? -
rispose
Pafol avvicinandosi alla panchina.
- Chi siv? - (Chi
siete?)
Pafol
cominciò a raccontare un po' di cose iniziando da quando era un
bambino grassottello e i suoi compagni di scuola lo prendevano in
giro, quando arrivò a raccontare del suo incontro con Julius, Aziz
lo interruppe bruscamente:
- A j’ ò capì. - (Ho
capito.)
fece
un breve sospiro, poi riprese.
- Te ut à rubè Torquato
L'Unghiato cvand' tc'ira incora znì.” (Ti
ha rapito Torquato L'Unghiato quando eri ancora piccolo.)
disse rivolgendosi a Julius.
9
Aziz
aveva conosciuto Rosina, la nonna di Julius. quando viveva presso la
comunità Afrumagliola, gente dalla pelle nera che si era insediata
nella GRAN MADR all'epoca della sesta migrazione, fu proprio la
Rosina a insegnargli quella ninnananna.
Julius apprese così di
non essere sempre stato un pirata ma di essere stato rapito da
Torquato L'Unghiato e anche Aziz una volta aveva avuto dei problemi
con quel pirata, ma non volle raccontare il fatto.
A quel punto i
tre decisero di proseguire insieme la strada per raggiungere la
Ferramenta Budellazzi. Aziz qualche passo avanti sembrava fare da
guida mentre Julius e Pafol camminavano uno fianco all'altro, le
persone che incrociavano lungo la strada si facevano da parte e
appena venivano superate si voltavano indietro e mormoravano tra
loro:
- Ma quello non è Aziz il violinista? -
stupiti di
vederlo insieme ad altra gente e con uno sguardo sveglio che gli
mancava da molti anni.
Stavano attraversando Labassa ed erano da
poco entrati nel quartiere di Cà Barrak dove ogni mercoledì nella
Piazza del Pavaione si svolgeva il mercato ambulante più imponente
di tutta la GRAN MADR, che a Julius venne sete.
Aziz fece cenno di
entrare nel primo bar, andò verso il bancone e con fare deciso si
rivolse al barista: - - Dasim da bé, a'n spud piò. E neca dl'acva
pr’ ‘e bastêrd. - (Datemi
da bere, non sputo più. E anche dell'acqua per il ragazzo.)
aggiunse
indicando Julius, poi rivolgendosi a Pafol
- E te? - (e
te?)
-
Una birra media, grazie. -
Julius si era già sfiondato al flipper, ma
fu subito invitato da Aziz a sedersi insieme a loro; sul tavolino
c'era una copia del Manicomial Sport, il più diffuso quotidiano
sportivo, macchiata di caffè. Nel locale a parte loro tre e il
barista c'erano solo quattro pensionati intenti a sfidarsi a
carte.
Si dedicarono alle loro bevande, Julius si scolò la
bottiglietta d'acqua tutta d'un fiato, Pafol assaporò la sua birra
con brevi sorsate, mentre Aziz con fare da intenditore aveva appena
annusato l'odore del suo bicchiere colmo di liquore extra forte.
Si
era accorto che Julius lo stava fissando come quando si guarda
qualcosa di sconosciuto e dal quale si rimane affascinati.
- Al
vut sintì? - (Lo
vuoi assaggiare?)
disse
porgendo il bicchiere a Julius che incerto lo prese in mano.
- Va
pian cl'è fôrt. - (Vai
piano che è forte.)
lo avvisò Aziz, ma ciò nonostante Julius si rovesciò di colpo
l'intero contenuto del bicchiere direttamente in gola, così come
aveva visto fare migliaia di volte ai pirati.
L'alcool gli piombò
nello stomaco come una pietra arroventata mentre i suoi effluvi gli
arrivarono alla testa stordendolo, Julius si addormentò di colpo.
-
A l'aveva det cl'éra fôrt, mo u'n era abitué ‘e basterd? -
(L'avevo
detto che era forte, ma non era abituato il ragazzo?)
disse
Aziz rivolgendosi a Pafol che intanto aveva terminato di sorseggiare
la sua birra.
- No, non l'avevo mai visto bere alcolici prima di
adesso. -
- Os-cia fat lavor. - (Urca
che lavoro.)
commentò
Aziz.
Si prese sulla spalle Julius e uscì fuori dal bar, andando
verso una di quelle fontanelle pubbliche che si trovavano a ogni
angolo della Piazza del Pavaione, mise la testa di Julius sotto il
rubinetto e diede il
via allo scroscio di acqua quasi gelata.
La reazione convulsa di
Julius provocò le sguaiate risate di Pafol e Aziz, ma anche un gesto
di tenerezza nei confronti del più piccolo tra loro; un abbraccio a
tre sancì definitivamente l'amicizia che si era creata tra Pafol,
Julius e Aziz.
Con ancor maggior convinzione procedettero nel loro
cammino, per raggiungere la Ferramenta Budellazzi la strada era
ancora lunga per cui decisero di prendere il Trenino, il servizio di
trasporto su rotaia della GRAN MADR.
Si fecero i conti in tasca e
si resero conto che non avevano spiccioli a sufficienza, Pafol e
Julius non avevano in tasca il becco di un quattrino, Aziz aveva
appena speso quel poco che aveva al bar. Davanti alla stazione di
Labassa-Cà Barrak a Pafol venne un'idea
- Aziz, la conosci Minnie
L'Impicciona? -
- Me a cnuseva la Mina mata -
(Conoscevo la Mina matta)
rispose
Aziz d'istinto
- Ma no, dico il brano, quello che fa ... -
disse
Pafol canticchiando le prime note per farsi capire meglio da Aziz
-
Mo' sè! - (Ma
sì!)
rispose
Aziz senza indugio e preso in mano il violino cominciò a
suonare.
Subito Pafol appoggiò il suo cappello rovesciandolo
sull'asfalto in modo che la gente potesse gettarci dentro qualche
moneta e cominciò a canticchiare, intanto Julius che si era messo a
tamburellare su un bidone del rusco proprio lì a fianco aveva
aggiunto alla performance anche degli estemporanei passi di
danza.
Suonarono davanti a un capannello di curiosi per più di
mezz'ora raccogliendo spiccioli a sufficienza per fare il viaggio
fino a Kornelja, entrarono nella stazione e si misero in fila alla
biglietteria automatica.
La loro destinazione finale era un borgo
periferico di Kornelja, quasi al confine con Gran Bullagna, ma
avevano soldi sufficienti solo per arriva alla Stazione Centrale di
Kornelja, dopo avrebbero proseguito a piedi.
Si misero ad
aspettare il Trenino della Linea Gialla, quella che aveva come
capolinea la Stazione Centrale di Ramiana e appunto quella di
Kornelja, salirono appena si aprirono le porte e riuscirono a
mettersi comodi a sedere, non essendo, quello, orario di punta. Il
Trenino fece sosta alle stazioni di Labassa-Santegta,
Labassa-Lamassa, Kiavicca, Kornelja-Selize e finalmente arrivò alla
Stazione Centrale di Kornelja.
Scesi dal treno Pafol, Julius e
Aziz andarono a informarsi sulla strada da prendere per raggiungere
Ozz, il borgo nel quale avrebbero trovato la Ferramente Budellazzi,
la signorina dell'informazione guardò perplessa il trio e prima di
dare una risposta fece una telefonata a una sua collega che si
trovava dall'altra parte della stanza, Pafol, Julius e Aziz stanchi
di aspettare la fine della telefonata che si stava prolungando oltre
ogni limite decisero di chiedere a qualcun'altro.
10
Dopo
oltre un'ora di cammino, durante la quale si ritrovarono spesso nello
stesso punto dal quale erano passati poco prima, finalmente
riuscirono a raggiungere l'estrema periferia occidentale di Kornelja,
da dove cominciava Ozz un borgo dominato da un castello che, narra
una leggenda, pare fosse abitato da un mago molto potente.
La
strada cominciava a salire verso il castello, tutti i muri erano
completamente ricoperti di murales e di graffiti, alcuni in ottimo
stato, altri deteriorati dal tempo, dalle intemperie e da qualche
vandalo. Sotto a un murales che rappresentava un'epica vendemmia
stavano sedute delle comari intente a sferruzzare maglioni di lana,
Aziz chiese a loro da che parte stava la Ferramenta Budellazzi.
-
Per di là. -
risposero in coro continuando a sferruzzare.
- Ad
là in dov? - (Di
là dove?)
replicò
Aziz.
- Là. -
indicò a quel punto la più anziana.
Si
voltarono tutti e tre nella direzione indicata e videro un cartello
pubblicitario con su scritto: Ferramenta Budellazzi – 100mt
avanti.
Quando arrivarono la saracinesca era abbassata, si
intravedeva soltanto una luce penetrare attraverso le persiane
socchiuse al piano superiore e sul campanello nella porta a fianco
c'era scritto: Budellazzi, Pafol provò a suonare nonostante l'ora
tarda; alla finestra si affacciò un signore di mezz'età:
- Chi
è? -
chiese da dietro un paio di occhiali da vista
- Scusi se
la disturbiamo a quest'ora ma c'è stato indicato da un nano di
venire fino alla Ferramenta Budellazzi -
- Che nano? -
- Aveva
un berretto rosso e la barba lunga. -
- Ah, Deusex Machina,
entrate, entrate. -
Pafol, Julius e Aziz entrarono e salirono le
scale; ad aspettarli fuori dall'uscio dell'appartamento c'era il
Signor Budellazzi, un'omarino minuto, coi capelli bianchi e un paio
di spessi occhiali da vista.
- Prego entrate, vi stavo aspettando.
-
Il Signor Budellazzi fece accomodare i suoi ospiti sul divano
mentre lui si accomodò sulla poltrona.
- Allora, io posso
offrirvi ospitalità su all'ultimo piano, in cambio però dovete
darmi una mano giù in ferramenta. -
il Signor Budellazzi mise
subito le cose in chiaro e invitò i tre ad alzarsi dal divano e a
raggiungere l'appartamento al piano superiore.
L'appartamento in
questione era la soffitta arredata con tutti i confort di base,
angolo cucina con tanto di fornello, frigorifero e tavolo con quattro
sedie, angolo gabinetto separato dal resto dell'ambiente da un
modesto quanto opportuno separè in cartongesso e per la zona notte
un letto a castello, un divano letto e un grande armadio a muro dove
riporre il necessario. Una finestra dava su un cortile interno,
un'altra sulla strada. Pafol e Aziz si accordarono con il Signor
Budellazzi per stare in ferramenta a turno uno la mattina e uno il
pomeriggio, mentre per quanto riguardava Julius non essendo possibile
farlo lavorare in regola la decisione fu quella di coinvolgerlo nelle
varie faccende domestiche.
Erano talmente stanchi che si
dimenticarono di accennare al Signor Budellazzi del perché erano
arrivati fin lì e senza mangiare nemmeno un tozzo di pane si
addormentarono così com'erano.
La Ferramenta Budellazzi era un
negozio di vecchio stampo, con tutte le scaffalature in ferro e
decine di cassetti dove veniva riposta la minutaglia e un grande
bancone di legno dietro al quale venivano serviti i clienti.
La
mattina dopo mentre Pafol era giù in bottega insieme al Signor
Budellazzi, Aziz e Julius restarono su nell'appartamento preparando
qualcosa da mangiare con quello che c'era nel frigorifero, mentre al
pomeriggio, come da accordi presi, era Aziz a occuparsi del negozio
insieme al Signor Budellazzi.
11
La
notte, Pafol, Julius e Aziz furono svegliati da un gran baccano che
proveniva dalla strada, si precipitarono alla finestra per vedere
cosa stava succedendo e videro il Signor Budellazzi attorniato da
quattro tipi che sbraitavano.
Con altruismo scesero di corsa per
andare in aiuto del loro padrone di casa, arrivati più vicino si
accorsero però che i quattro non sembravano affatto minacciosi col
Signor Budellazzi che sembrava anzi molto a suo agio, tutti e cinque
infatti avevano tra le mani delle lattine di birra e il baccano che
si sentiva dal piano superiore si rivelò essere fatto di sguaiate
risate alternate a sonori rutti, in particolare quelli potenti e
modulati del più robusto tra di loro.
Pafol, Aziz e Julius
rimasero interdetti di fronte a quella scena il tempo sufficiente per
essere scorti dal Signor Budellazzi che con un cenno li invitò ad
unirsi alla compagnia, scoprirono così che quella cagnara era in
onore del figlio del Signor Budellazzi, Libero Budellazzi da tutti
soprannominato Arlòt, un campione di rutti che quella sera, insieme
agli amici di tante bevute, festeggiava la vittoria a uno dei più
importanti trofei.
I festeggiamenti a base di birra e rutti non
potevano che finire sotto le finestre di casa Budellazzi, Arlòt,
infatti, quando non era a zonzo abitava ancora con il babbo; della
mamma invece non si sapeva più niente da molti anni, l'ultima volta
che fu vista stava passeggiando lungo il rivalino del fiume Amone nei
pressi del ponte detto delle Bambocce a Fiordargilla.
I tre
compresero il coinvolgimento del Signor Budellazzi nei festeggiamenti
in onore del figlio, ma rimasero incuriositi dal buffo cappello a
forma di piramide che il Signor Budellazzi stava indossando in quel
momento, non sapevano ancora nulla della vita
segreta
che conduceva il loro padrone di casa. Ogni sera mentre Aziz, Pafol e
Julius si ritiravano nella loro appartamento, il Signor Budellazzi
attraverso una botola posta dietro al bancone della ferramenta
scendeva attraverso una scala a chiocciola in un tunnel che portava
direttamente ai sotterranei del castello di Ozz, che in linea d'aria
distava poche decine di metri.
Qui si trovava un laboratorio
pieno di polveri, spezie, alambicchi, paioli, pietre, amuleti e libri
antichi, infatti nel Signor Budellazzi dietro la parvenza di un
anonimo bottegaio si nascondeva un appassionato di alchimia,
esoterismo e magia varia.
Quando il Signor Budellazzi si
intratteneva nel suo laboratorio, gli capitava sovente di inalare i
vapori dei suoi esperimenti, ciò ne cambiava completamente il
carattere e dalla persona serie e precisa che era si trasformava in
una scheggia impazzita senza freni inibitori. Di solito tutto
rimaneva occultato all'interno del laboratorio e all'alba ogni cosa
ritornava nella normalità, quella volta però suo figlio era tornato
in piena notte e non ci fu maniera di aspettare che l'effetto fosse
terminato.
12
Il
giorno dopo era un festivo; il Signor Budellazzi andò a bussare alla
porta dell'appartamento in cui erano alloggiati Pafol, Julius ed Aziz
per invitarli ad unirsi a lui e al figlio per il pranzo, i tre
accettarono e si diedero appuntamento per la mezza.
Fu un pranzo
molto soddisfacente per gli stomaci di Pafol, Julius e Aziz che da
tempo non avevano avuto occasione di riempirli a dovere.
Il Signor
Budellazzi approfittò della situazione per parlare del galeone e di
come fare a trasformarlo in una motonave. Pafol , che non si
aspettava che il Signor Budellazzi sapesse già il motivo per cui
erano arrivati fin lì domandò:
- Ma com'è possibile trasformare un galeone in
una motonave? -
- Andiamo. -
rispose il Signor Budellazzi
esortando tutti ad alzarsi da tavola e andare giù nella bottega. Lì,
il Signor Budellazzi toccando un punto preciso sotto al piano del
bancone fece scattare la serratura della botola, scesero per la scala
a chiocciola e proseguirono in fila indiana lungo un cunicolo, in
fondo c'era una porta chiusa a chiave, dietro a quella porta il
laboratorio del Signor Budellazzi.
Da quella volta i tre inquilini
e i due Budellazzi si frequentarono sempre più spesso; delle volte
si incontravano tutti a mangiare una pizza o a guardare una partita
davanti alla tivù, il Signor Budellazzi e Pafol dopo la chiusura
della Ferramenta trascorrevano il tempo insieme giù nel laboratorio
per cercare la maniera per trasformare un galeone in una motonave. Il
Signor Budellazzi si diceva certo che lì da qualche parte c'era la
soluzione. Arlòt, che dietro un'apparenza un po' grezza nascondeva
un animo gentile, si era offerto di insegnare a Julius quelle cose
che un ragazzo della sua età avrebbe dovuto già sapere, Aziz invece
oltre a passare le giornate sempre più frequentemente dietro al
bancone della Ferramenta Budellazzi, il suo tempo libero lo passava
prevalentemente seduto al tavolino di un bar, ogni volta un bar
diverso e senza dare confidenza a nessuno.
13
Le
cose funzionarono così per diverse settimane al termine delle quali
Julius manifestò il desiderio di andare a scuola; la più
accessibile per i costi d'iscrizione ero lo I.E.I. (Istituto
d'Educazione Infantile) che si trovava a Livvì.
Per raggiungere
lo I.E.I. Julius ogni mattina si sarebbe dovuto svegliare molto
presto ed essere accompagnato in auto da Arlòt. L'Istituto di
Educazione Infantile di Livvì era un grande edificio squadrato di
cemento grezzo, con rade finestre molto strette e lunghe per tutta
l'altezza, attorno c'era una cancellata sormontata da rotoli di filo
spinato, l'unico accesso era un grosso portone al quale si accedeva
tramite una rampa. Quando arrivò dentro allo I.E.I. Julius era
l'unico scolaro ad essere scuro di pelle, tutti gli altri ragazzi
erano di un colorito piuttosto pallido, con i capelli biondo platino,
tutti con la riga sulle ventitre, indossavano una camicia bianca con
cravatta bianca, pantaloni di velluto a coste bianco, mocassini
bianchi, intimo, si suppone, bianco.
Unica eccezione a
quell'eccesso di candore, un oggetto che tutti quanti tenevano in
mano, un parallelepipedo simile a un quaderno che sfiorato dalle
pallide dita degli scolari si illuminava e di tanto in tanto emetteva
strani suoni, questo parallelepipedo veniva chiamato Nero perché
quello era il suo colore.
Julius era l'unico a non essere in
possesso di un Nero e la cosa non passò inosservata insieme al suo
dress-code decisamente non conforme e al colore della pelle così
tremendamente in contrasto con quello di tutti gli altri alunni. Le
videocamere di sorveglianza poste all'ingresso della scuola
segnalarono immediatamente qualcosa di anomalo alla centrale di
controllo, immediatamente due U.P.N.D. (Unità Personale Non Docente)
uscirono dalle loro sedi e si diressero verso Julius, senza chiedere
permesso lo presero su di forza e lo nascosero alla vista degli altri
alunni, che occupati con i loro Nero nemmeno si erano accorti di
essere entrati dentro allo I.E.I dove li attendeva il primo giorno di
scuola.
Il braccio meccanico di una delle due U.P.N.D. spruzzò un
gas che fece entrare Julius in uno stato di ipnosi, lo portarono in
una stanza e lì lo spogliarono gettando tutti i suoi indumenti in un
bidone blu elettrico, finita questa operazione le due U.P.N.D. Si
divisero i compiti, una sigillò il bidone con una spessa fascia di
ceralacca per poi rotolarlo su un tapis roulant che portava a un
inceneritore, l'altra aprì un armadio a parete in cui in preciso
ordine di taglia erano posti degli indumenti bianchi come quelli
indossati dagli altri scolari.
Con uno strumento di precisione
furono prese le misure di Julius, e,in un batter d'occhio tutto il
necessario fu posto su un tavolino, dopo cinque minuti Julius uscì
da quella stanza ancora stordito ma vestito di tutto punto. Le uniche
cose a cui le U.P.N.D. non avevano potuto porre rimedio: la
crespatura dei capelli corvini, la pigmentazione della pelle
decisamente poco chiara e un Nero in dotazione, giacchè solitamente
questi venivano acquistati direttamente dai genitori degli alunni.
Le
cose per Julius dentro allo I.E.I. si erano decisamente messe male
fin da subito e non migliorarono certamente col suo ingresso in
classe, l'unico banco rimasto libero era in primissima fila,
attaccato alla cattedra e in bella vista sia dei professori che di
tutti gli altri studenti, l'unico banco tra l'altro non accoppiato,
una solitaria struttura di fòrmica, truciolato e ferro.
La prima
ora di lezione fu tenuta dalla Professoressa Rottenmai, un ologramma
di statura bassa e corporatura sgraziatamente curvilinea, occhiali da
vista calati su un naso aquilino, due ampi pendenti alle orecchie, un
tailleur color crema rancida, calze scure e scarpe dal tacco alto che
a stento servivano a nascondere la scarsa statura. Per il resto la
Professoressa Rottenmai si distingueva per la voce stridula e la
notevole stronzaggine con cui teneva in riga intere classi, spesso
contemporaneamente.
Appena apparve sulla sedia dietro la cattedra
tutti gli scolari scattarono in piedi in un tripudio di:
-
Buongiorno Professoressa! -
soltanto Julius restò seduto e fece
appena un gesto con la mano accompagnato da un tiepido:
- Ciao
Prof. -
La cosa non passò inosservata dalla Professoressa
Rottenmai che senza esitazioni segnò a biro rossa la prima nota
negativa sul registro di classe in corrispondenza del nome di Julius.
Quando fu il momento di mettere mano ai Nero tutti gli altri ragazzi
accesero all'unisono i loro Nero e in punta di indice si apprestarono
a trascrivere ciò che l'ologramma della Professoressa Rottenmai
dettava. Julius invece, rimasto con le mani in mano, si era messo a
guadarsi attorno; quell'atto valse a Julius la seconda nota dopo
nemmeno un'ora del suo primo giorno di scuola.
La mattina del
giorno successivo Arlòt accompagnò Julius fin dentro allo I.E.I.
così come espressamente richiesto nella nota ricevuta, insieme a
loro c'era anche Aziz.
Entrarono prima di tutti quanti gli altri,
Julius essendo stato privato degli unici vestiti che aveva, indossava
una felpa di Arlòt di almeno quattro taglie più larga, una di
quelle a righe orizzontali bianche e blu con la faccia di un maiale
urlante e tra le mani anche quella mattina non aveva un Nero.
Julius
si mise a sedere sul suo banco, mentre Aziz a Arlòt non trovarono di
meglio che piazzarsi, gambe a penzoloni, sopra alla cattedra.
La
classe si riempì rapidamente con tutti gli altri studenti, come al
solito già impegnati a maneggiare i rispettivi Nero, vera e propria
protesi di ognuno.
Al suono di una campanella martellante cominciò
a materializzarsi l'ologramma della Professoressa Rottenmai, questa
volta vestita con un austero tailleur verde scuro. Al completamento
della materializzazione della Professoressa Rottenmai tutti quanti,
compreso Julius, si alzarono dai rispettivi banchi e si esibirono nel
più ossequioso dei saluti, contemporaneamente dalla cattedra, cioè
da dietro l'ologramma, Arlòt si esibì in uno dei suoi tonanti rutti
da campione.
Tutti i ragazzi furono improvvisamente distolti da
quello che stavano facendo in quell'istante, per prima cosa si
incurvarono leggermente le labbra poi scoppiarono tutti quanti in una
fragorosa risata che ruppe l'ordine costituito. A nulla servì il
celere intervento delle U.P.N.D. Ormai il danno era fatto, quel rutto
aveva costretto ogni alunno a guardarsi attorno scoprendo gli altri,
soprattutto Julius che fu osservato con curiosità, una curiosità
positiva, alcuni compagni gli concessero addirittura di appoggiare i
polpastrelli sui propri Nero.
Per quanto riguarda la Professoressa
Rottenmai sparì olograficamente così come era entrata e la
ritrovarono a chilometri di distanza ricoverata in un clinica
psichiatrica per una forte crisi da esaurimento nervoso.
L'ordine
fu ristabilito quando in classe si materializzò l'ologramma del
Direttore dello I.E.I., il tipico dirigente scolastico di fine '800,
longilineo, candido pizzetto a ornamento del mento e sguardo
severo.
Julius cercò di simulare la catatonificazione implorando
con le pupille spalancate un possibile supporto da parte di Arlòt e
di Aziz, ma nessuno dei due si mosse. Aziz aveva riconosciuto nel
Direttore un vecchio cagacazzi sempre pronto a criticarlo e a fargli
le pulci sulla sua maniera di suonare il violino, ad Arlòt invece
non stimolò nessun rutto.
Comunque la decisione di non
mandare più Julius all'I.E.I. era stata presa con un cenno d'intesa
tra i due, ma che il ragazzo dovesse continuare a frequentare una
scuola non era in dubbio.
14
Arlòt
e Aziz si misero insieme a Pafol e al Signor Budellazzi a cercare una
scuola adatta a Julius, ma ogni tentativo che facevano non andava a
buon fine o perché non c'erano più posti disponibili o perché i
costi d'iscrizione risultavano proibitivi.
Stavano
per arrendersi e riconsiderare di rimandare Julius allo I.E.I. quando
Julius che nel frattempo si era addormentato, si svegliò tutto
agitato ripetendo:
-
Monte Arcanzal!/ Monte Arcanzal! -
Gli altri non capirono quello
che stava dicendo, tranne il Signor Budellazzi:
- Libero, vammi a
prendere la mappa della GRAN MADR. -
il Signor Budellazzi era
ormai l'unico a chiamare il proprio figlio col nome di battesimo.
Monte Arcanzal era un luogo sulle colline tra Xezena e Aremina in
cui si trovava un Monastero Sinc; non si trattava di una vera e
propria scuola ma forse lì Julius avrebbe potuto imparare di più e
meglio, tra l'altro l'Abate del Monastero Sinc di Monte Arcanzal era
Fratello Chj col quale il Signor Budellazzi aveva spesso avuto
occasione di scambiare delle e-mail.
Con qualche perplessità
degli altri, il Signor Budellazzi scrisse a Fratello Chj,
informandolo della situazione che si era venuta a creare. Poco tempo
dopo arrivò la risposta:
- Carissimo Gisto, come te la passi?
Questo è sicuramente un segno e sarò lieto di accogliere il giovane
Julius, lasciate che venga da solo, non deve portare niente perché
qua troverà tutto ciò di cui ha bisogno. Dovrà restare rinchiuso
nel Monastero Sinc per un anno intero e non potrà incontrare nessuno
al di fuori prima di aver imparato abbastanza.
Con affetto,
Fratello Chj -
La lettura dell'e-mail inviata da Fratello Chj
non dissipò i dubbi che avevano Arlòt, Aziz e soprattutto Pafol che
non nascondeva col suo silenzio tutta la sua contrarietà. Julius
però appariva convinto di quella scelta.
15
La
pensilina della stazione di Kornelja Centrale era già stipata di
pendolari, Julius prima di salire sul Trenino della Linea Rossa
salutò Aziz, Arlòt e per ultimo Pafol, il quale fece un grande
sforzo a non trattenerlo in un abbraccio quasi paterno. Julius
guardava fuori dal finestrino mentre il Trenino faceva sosta nella
stazioni di Kornelja-Zellva e poi in quella di Castel sul Segno dove
salirono numerosi passeggeri provenienti dalla coincidenza con la
Linea Celeste che collegava Labassa con Valsegno.
Dopo fu la
volta delle stazioni di Pontesegno e di Fiordargilla-Borgomarte prima
di arrivare a fare una sosta più prolungata alla a Fiordargilla
Centrale, che tra tutte le stazioni della GRAN MADR era tra le più
importanti essendo il crocevia di molte Linee e anche il collegamento
con le metropoli limitrofe: Gran Bullagna e Floremagno.
Passata
la Stazione Centrale di Fiordargilla, il Trenino si fermò in
successione nelle stazioni di: Fiordargilla-Durbecchio, Villa Kozina,
di Livvì-Montonese, Livvì Centrale, passata la quale a Julius venne
istintivo un gesto di scherno all'indirizzo dello I.E.I la cui massa
grigiasta faceva capolino tra i palazzi. Poi Livvì-Ronchese,
Frappul, Bartnora, Xezena-Oltrezavio e Xezena Centrale.
Mancavano
soltanto le stazioni di Xezena-Gambetla e quella di Rubicona, poi
finalmente il Trenino sarebbe giunto a Sottarcanzal, il borgo
sviluppatosi ai piedi di Monte Arcanzal. Julius scese veloce dal
Trenino che proseguì il suo viaggio verso la vicina Arèmina, e si
diresse all'uscita della stazione da dove partiva uno stretto
sentiero che si inerpicava su per Monte Arcanzal; il Monastero Sinc
si trovava proprio dietro la vetta, in mezzo a una valle nascosta.
Fratello Chj stava lì fuori dall'uscio del Monastero ad aspettarlo,
con una lanterna accesa nonostante il sole fosse ancora alto, prese
Julius per mano e insieme entrarono dentro al Monastero, il portone
di legno si chiuse lentamente da solo. Il Monastero Sinc di Monte
Arcanzal aveva una struttura a fiore, lo stelo era un lungo corridoio
che dall'ingresso andava verso una corolla a otto petali, ognuno di
questi petali corrispondeva alla camera personale di ogni novizio,
camere dentro la quale i futuri Monaci Sinc si trattenevano per
dormire, studiare e meditare. Al centro della corolla la grande sala
comunitaria, dove si svolgevano tutte quante le attività che
prevedevano la compartecipazione. Fratello Chj trascorreva i suoi
momenti privati in una tenda tonda situata in un luogo appartato a
cui nessuno aveva il permesso di accedere.
Per diventare Monaci
Sinc, oltre a trascorrere un anno intero nel Monastero bisognava
trascorrere un periodo indefinito in totale eremitaggio; molti si
accontentavano di trascorrere soltanto il primo anno e poi cercavano
di sfruttare al meglio tutto ciò che avevano imparato ritornando a
vivere tra la gente, altri tentavano l'esperienza dell'eremitaggio,
chi riusciva a resistere abbastanza poteva diventare un Monaco Sinc.
non tutti ce la facevano e alcuni rinunciavano a metà del loro
percorso, ma chi aveva la forza di diventare Monaco Sinc a quel punto
non aveva più nulla da temere perché aveva raggiunto una conoscenza
e una consapevolezza tale da renderlo capace di “stringere le palle
alla bestia”.
16
Passavano
le settimane e mentre Julius a Monte Arcanzal assimilava sempre nuove
conoscenze e Arlòt aveva ripreso a girare per tornei di rutti, a Ozz
era rimasto Aziz che ogni giorno feriale non mancava di servire
dietro al bancone della ferramenta insieme al Signor Budellazzi.
Pafol invece ogni mattina saliva su un vecchio furgoncino e
raggiungeva il porto di Ramiana, fino al padellone dove era ancora
attraccato il galeone, saliva a bordo e lentamente cominciava a
smontarlo perché quella era la soluzione che lui e il Signor
Budellazzi erano riusciti a trovare, smontare tutto il galeone pezzo
per pezzo e poi provare a rimontarli in modo da realizzare una
motonave. Inoltre c'era un'altra cosa da fare sul galeone, dare da
mangiare ai quattro gatti che impazienti si presentavano sulla
passerella ogni volta che sentivano in lontananza il brontolio del
furgoncino guidato da Pafol.
La loro leccornia preferita era un
misto di pollo ruspante e pesce azzurro triturato grossolanamente e
inzuppato preferibilmente in un brodo tiepido ottenuto con la
lessatura di pollo e pesce, non insieme, ma separatamente. Il più
delle volte però si accontentavano di scatolette o croccantini a
basso costo.
Dopo aver mangiato, per tutto il giorno i gatti non
si facevano vedere, poi, quando il sole cominciava a tramontare,
tornavano miagolando come sirene d'ambulanza. Quello era il segnale
per Pafol di levare le tende, caricare sul furgone tutti i pezzi
staccati dal galeone e tornare a Ozz.
Da quel momento il galeone
era totalmente custodito dai quattro gatti, così aveva ordinato
quella voce misteriosa che ogni tanto continuava a parlare nella
testa di Pafol.
Lui
non aveva mai osato fare diversamente da ciò che quella voce gli
chiedeva e pensava di essere l'unico a sentirla al punto che per non
essere preso per matto non ne aveva mai parlato con nessuno.
Una
volta, Pafol, invece di fare la sua pausa pranzo, mangiandosi il
solito panino imbottito, scelse di andare in un bar poco lontano, un
bar frequentato da gente del posto che passava le giornate a giocare
a carte, bere vino e a raccontare ai rari forestieri di un galeone
attraccato a un padellone, dal quale di notte era possibile
intravedere le sagome di quattro gatti reggersi sulle zampe
posteriori e iniziare a ballare.
Pafol, che ascoltava
incuriosito, sospettò che si stesse parlando proprio del suo
galeone, così decise che una di quelle sere invece di andare via
sarebbe rimasto, quella fu la prima volta in cui non ascoltò la
voce.
Quando i quattro gatti arrivarono sul galeone cominciarono
a girargli intorno miagolando in un modo come non avevano mai fatto,
il sole era quasi tramontato del tutto e il cielo fino a quel momento
completamente pulito, si riempì di minacciose nuvole temporalesche.
Appena sentì i primo goccioloni cadergli sulla testa, Pafol cercò
riparo giù in coperta, ma invece di abbassare la testa al momento
giusto, andò a sbattere la fronte sullo stipite svenendo sul colpo
17
Si
risvegliò non ricordando niente di ciò che gli era capitato la sera
prima e nemmeno di quella storia che aveva sentito al bar, però
aveva la testa fasciata con una tela bianca sporca di orme di gatto.
Avendo già il furgone pieno dei pezzi di galeone decise di
tornare a Ozz. Ad aspettarlo trovò un preoccupatissimo Aziz, quella
mattina il Signor Budellazzi non si era ancora fatto vedere giù
nella ferramenta e bussando alla porta di casa non rispondeva
nessuno. Pafol pensò subito che al signor Budellazzi fosse successo
qualcosa giù nel laboratorio, cercò di aprire la botola nascosta
dietro al bancone, ma non riusciva a trovare il modo per farlo.
-
Csa fasegna? - (Cosa
facciamo?)
chiese Aziz.
- Chiudiamo bottega e troviamo un modo di
raggiungere il laboratorio.-
rispose Pafol, che cominciava ad
agitarsi:
- Quand'è stata l'ultima volta che hai visto il Signor
Budellazzi? - Ajir sira prema d’ sré la butéga, pù me a'so andé
a ‘e marché di cuntadèn a Fiordargilla, e te duv' a sit sté tota
not? - (Ieri
sera prima di chiudere la bottega, poi io sono andato al mercato dei
contadini a Fiordargilla, e te dove sei stato tutta notte?)
-
Ah boh.-
rispose Pafol continuando a cercare la maniera di
sollevare la botola per arrivare al laboratorio del Signor
Budellazzi. Finalmente si sentì un claclang
e, sollevata la botola, Pafol e Aziz cominciarono a scendere la scala
a chiocciola chiamando:
- Signor Budellazzi? Signor Budellazzi?
-
anche attraversando il tunnel che portava al laboratorio:
-
Signor Budellazzi? Signor Budellazzi? -
La
porta del laboratorio era socchiusa, la aprirono e continuarono a
chiamare:
- Signor Budellazzi? Signor Budellazzi?
Il Signor
Budellazzi dentro al laboratorio non c'era e sembrava tutto al
proprio posto, l'unica cosa era una pergamena stesa sul tavolo sulla
quale disegnati c'erano dei geroglifici: un uomo con un cappello a
cilindro bianco in testa teneva in mano un orologio da taschino, poi
c'era disegnato un ponte e un treno, nella riga sotto una serie di
alberi, in quella sotto ancora una scala con una freccia che indicava
in giù, infine delle case tutte colorate.
Aziz provò a
sollevare la pergamena, ma sembrava incollata al tavolo.
- Signor
Budellazzi? Signor Budellazzi?
riprovarono a chiamare, ma niente.
Nell'uscire dal
laboratorio l'occhio di Pafol cadde su qualcosa che prima non aveva
notato, un foglietto di carta per terra. Lo prese su e vide che con
la calligrafia del Signor Budellazzi c'era scritto:
- Io vado, se
non mi vedete tornare vuol dire che ho trovato quello che cercavo.
Gisto
p.s. seguite l'uomo col
cappello a cilindro bianco. -
- Cosa vorrà dire? -
- Un
oman cun un capel bianc in testa u'i sarà in zir a Fiordargilla -
(Un
uomo con un cappello bianco ci sarà in giro a Fiordargilla)
pensò Aziz a voce alta
- Allora andiamo, forse lo troviamo
ancora là. -
disse Pafol già sulla scala a chiocciola.
Spèta
che a vég prema a ‘e lucomud, che a me sté a cva zo u'm fa vnì e
caghèt. -
(Aspetta che a vado prima al gabinetto, che a me stare quaggiù mi fa
venire mal di pancia.)
segnalò
Aziz, tenendosi una mano sulla pancia.
18
Pafol
e Aziz partirono alla volta di Fiordargilla col furgoncino della
Ferramenta Budellazzi prendendo una scorciatoia per non infilarsi nel
traffico della Via Rumagliolese, l'arteria principale di tutta la
GRAN MADR, tra Kornelja e Fiordargilla. Sulla strada incrociarono
nell'ordine: una comitiva di cinquanta cicloamatori sovrappeso tutti
stretti nelle loro tutine colorate che procedevano rigorosamente in
doppia o tripla fila; un trattore con rimorchio pieno di stallatico
che procedeva a zigzag e un'utilitaria che procedeva alla folle
velocità di 20 chilometri orari.
Lasciarono il furgoncino
parcheggiato nei pressi del piazzale dove si svolgeva il mercato dei
contadini, ma non incontrarono nessuno. Si incamminarono quindi verso
il centro storico di Fiordargilla; trattandosi di una città d'arte
non era difficile imbattersi in gente un po' eccentrica, tuttavia
continuavano a non scorgere chi stavano cercando.
Fatto quattro,
cinque volte il giro delle piazze centrali di Fiordargilla, Pafol e
Aziz decisero di andare a sedersi sulla gradinata del Duomo, un
ottimo punto d'osservazione.
- Stiamo qui altri dieci minuti, poi
torniamo a casa. -
disse Pafol con lo sguardo un po' perso nel
vuoto.
Stavano per alzarsi quando improvvisamente Aziz scorse in
mezzo al brulicare di teste un cappello a cilindro bianco
- L' è
a là! - (E'
là!)
Senza
perdere di vista il cappello a cilindro bianco che sgattaiolava tra
la gente, Pafol e Aziz scesero di corsa i gradini. Ora si trovavano a
un centinaio di metri di distanza e vedevano tutta la figura di
quell'uomo con addosso un abito da cerimonia bianco intento a
controllare l'ora dal suo orologio da taschino.
L'uomo
si voltò indietro come se volesse assicurarsi di essere stato visto
e cominciò a incamminarsi verso il Ponte delle Torri; Pafol e Aziz
lo inseguivano a distanza mantenendo sempre il contatto visivo.
In
prossimità del ponte si accorsero di non vederlo più, sul ponte non
c'era e indietro non lo avevano visto tornare. Si guardarono attorno,
finalmente Pafol lo vide che era a metà del rivalino:
- E'
laggiù! -
Lungo il rivalino c'erano soltanto loro tre, l'uomo col
cappello camminava a passo veloce, ogni tanto guardava il suo
orologio da taschino, si voltava indietro e riprendeva a camminare.
Pafol e Aziz lo videro scendere verso il fiume in corrispondenza del
Ponte delle Bambocce.
L'uomo col cappello a cilindro bianco era
sparito nuovamente, le sue orme finivano in corrispondenza di una
porta appoggiata a un pilone del ponte.
- Ma dov'è andato? -
-
U s’ è buté in t'e fiòm. - (si
è gettato nel fiume)
ipotizzò
Aziz senza troppa convinzione
- Ma no, impossibile, avremmo
sentito il tonfo nell'acqua. - considerò Pafol che intanto aveva
messo le mani sulla porta. La porta si spalancò, dietro c'era un
pertugio e Pafol provò a entrarci, era buio pesto, ma sembrava ci
fosse modo di andare avanti, chiamò Aziz invitandolo ad andargli
dietro.
Nel buio Aziz provò a illuminare l'ambiente con un
accendino che portava sempre in tasca, sentirono i passi di qualcuno
che si allontanava e provarono a seguire quel rumore confidando che
fosse provocato dall'uomo col cappello a cilindro bianco. Voltato un
angolo si ritrovarono sulla pensilina di una stazione sotterranea che
a Fiordargilla non c'era, insieme a loro c'era tanta altra gente in
attesa davanti al binario, c'era anche l'uomo col cappello a cilindro
bianco che continuava a voltarsi nella loro direzione.
Non
capivano più dove si trovavano, ad un tratto un fischio annunciò
l'arrivo di una vecchia locomotiva a vapore che trainava i vagoni di
un convoglio futuristico.
Appena si aprirono le porte l'uomo col
cappello a cilindro bianco si voltò verso Pafol e Aziz inviatandoli
inequivocabilmente a salire e ad accomodarsi sui comodi sedili di
quel treno, comode poltrone ergonomiche, i vagoni erano privi di
finestrini, soltanto una sottilissima linea di vetro oscurato
scorreva per tutto il treno.
Appena le porte furono chiuse, i
passeggeri si ritrovarono bloccati sui loro sedili da appositi
dispositivi automatici, la locomotiva ricominciò a masticare carbone
e a girare le bielle per riprendere il viaggio. Il treno cominciò a
muoversi lentamente arrancando come su una cremagliera, una salita
molto ripida, quasi verticale. Un altro fischio annunciò l'inizio di
una discesa altrettanto ripida, la locomotiva con tutti i vagoni
dietro precipitò a spirale, poi il treno cominciò a rallentare fino
a fermarsi poco prima che le rotaie si confondessero con le radici
superficiali degli alberi di un bosco.
Ci fu l'applauso di tutti
i passeggeri e le porte del treno si riaprirono, attorno c'erano
soltanto alberi e cespugli.
19
Tutti
scesero da quel treno e cominciarono a inoltrarsi nel bosco in ordine
casuale, anche Pafol e Julius fecero lo stesso continuando a seguire
l'uomo col cappello a cilindro bianco. Lo videro nascondersi dietro
il tronco di una grossa quercia e poi salutarli per un attimo con la
mano prima di sparire definitivamente. A quel punto Pafol e Aziz si
fecero forza e andarono a vedere dietro quella quercia, si
ritrovarono con i piedi appoggiati sui gradini di una scala mobile
che scendeva giù.
Arrivarono a poter camminare lungo un ampia
strada, ai lati c'erano gli ingressi e le vetrine di negozi di ogni
tipo, bar, ristoranti e templi per qualsiasi etnia e religione,
insegne luminose che si accendevano e si spegnevano al ritmo di una
musica che si diffondeva ovunque.
Tutti si muovevano a piedi e lo
facevano in maniera molto tranquilla, salutando festosamente chiunque
incontravano, Pafol e Aziz procedevano con stupore, ormai dell'uomo
col cappello a cilindro bianco avevano perso le tracce, distratti
com'erano nel guardarsi intorno.
Una ragazzina dai riccioli color
pistacchio che indossava un vestito floreale e un sorriso smagliante,
si accorse di loro e senza presentarsi li invitò a seguirla:
-
Cosa fate lì imbambolati? Seguitemi. -
Pafol e Aziz presi alla
sprovvista iniziarono a seguire quella ragazzina.
- State
cercando qualcosa o qualcuno? -
- Stiamo cercando qualcuno.
rispose Pafol alla domanda della ragazzina.
- E siete sicuri
che è qua? -
- Non
lo sappiamo. non sappiamo nemmeno dove siamo.- -
Eh, propi, in duv a segna? - (Eh
proprio, dove siamo?)
- Siete nel BOSCO, è stato l'uomo col cappello a
cilindro bianco a portarvi fin qua? -
- Sì, sai
dov'è andato? -
- Non lo so e poi non esiste nessun uomo col
cappello a cilindro bianco. -
- Come? -
-Seguitemi.-
La
ragazzina passò sotto a una freccia blu che indicava verso il basso,
le scale mobili erano subito lì che scendevano.
- Forse chi
cercate è più giù. -
- Ma cosa vuol dire che l'uomo col
cappello a cilindro bianco non esiste, noi lo abbiamo visto bene,
vero Aziz? -
- Ció, sé. - (Cio,
sì)
-
- Cosa vuol dire lo avete visto? Lo avete toccato? Avete sentito
la sua voce? -
- No, quello no però... -
- Eccovi arrivati,
io quaggiù non posso starci, buona fortuna! - La ragazzina dai
capelli color pistacchio stava già risalendo le scale mobili contro
mano.
- Ma noi cosa facciamo qua? -
- Tranquilli, ci sarà
qualcun'altro ad aiutarvi. -
Furono le ultime parole della
ragazzina dai capelli color pistacchio udite da Pafol e Aziz.
20
Dove
si trovavano ora era completamente diverso, c'era sempre una larga
strada ma attorno non c'era niente e nessuno, tutto era incolore, non
era bianco, non era nero, nessuna gradazione di grigio e neppure
trasparente. Videro però una porta, provarono ad aprirla, delle luci
si accesero di scatto e davanti al bancone di un bar apparì un orso
con una canottiera attillata e un foulard di seta rosa avvolto
attorno al collo.
Benvenuti, in cosa posso esservi utile?
Aziz
che aveva adocchiato la schiera di superalcolici e vini d'annata
dietro al bancone del bar, rispose senza indugio:
- Dasim da bè
c'a'n spud piò. - (Datemi
da bere che non sputo più.)
L'orso andò dietro al bancone del bar e miscelò per entrambe un
cocktail ad alta gradazione alcolica.
- State cercando qualcosa o
qualcuno? Pafol e Aziz interruppero per un momento il sorseggiare dai
loro tumbler. - Boh, non lo sappiamo, ci ha accompagnato quaggiù una
ragazzina dai capelli color pistacchio. -
rispose Pafol
- Lo
so, vi stavo aspettando.-
- In verità stiamo cercando qualcuno,
però non ci stiamo capendo più niente. -
- Meglio se adesso vi
andate a riposare, domani sarà una lunga giornata, eccovi le chiavi,
la stanza è proprio dietro di voi. -
Si girarono e videro la
porta da cui erano rientrati, questa volta invece che una strada
incolore c'era una camera d'albergo la luce di una lampadina a basso
voltaggio penzolante dal soffitto, illuminava due letti singoli
appoggiati al muro e un tavolino di legno con due
sedie da cucina.
Una finestra si affacciava sul nulla limitrofo e così
com'erano,
senza slacciarsi nemmeno la cintura dei pantaloni, si sdraiarono sui
letti dove favoriti dall'effetto dei cocktail appena bevuti si
addormentarono di schianto.
La mattina dopo si presentarono al
bar, l'orso vestito questa volta con una sgargiante tuta, era lì ad
aspettarli con la colazione già pronta.
- Oggi, vi accompagno
nella vostra ricerca. -
- Ci dica, lei ha mai visto un uomo col cappello a cilindro bianco da
queste parti? -
domandò Pafol intanto che si imburrava una fetta
biscottata. - State cercando lui? -
si informò l'orso
intento a miscelare latte e caffè.
- U j’ è alora? - (C'è
allora?)
- Sì,
ma è inutile cercarlo, è lui a farsi vedere quando vuole
- La
ragazzina dai capelli color pistacchio diceva che non esisteva nessun
uomo col cappello a cilindro bianco. -
intervenì Pafol
- Perché è vero. -
rispose l'orso
-Oh! T’é dèt c'u j' è. - (Oh,
hai detto che c'è)
reagì Aziz un po' stizito
- C'è, ma non ho detto che
c'è veramente.-
continuò l'orso mettendosi sulle spalle uno
zaino e invitandoli a seguirlo.
Uscirono dalla solita porta e si
trovarono su una strada lastricata di pietre dorate, una strada che
saliva dolcemente, ai lati non c'era una siepe abbastanza alta e
folta da non poter vedere oltre.
- Forza, andiamo, dobbiamo
arrivare fino in cima.-
- Cosa c'è in cima? -
chiese Pafol.
-
In duv a segna? - (Dove
siamo?)
aggiunse Aziz.
- Vi sto portando a conoscere l'origine. -
rispose l'orso senza rivolgere lo sguardo.
Pafol e Aziz
guardandosi negli occhi s'intesero di non fare più domande.
Camminarono per diverse ore, sempre su quella strada di pietre
dorate, l'orso avanti di qualche passo e loro dietro affiancati.
-
Fermiamoci un po' qui. -
disse finalmente l'orso.
- Mangiamo
qualcosa che c'è ancora tanta strada da fare. -
aggiunse subito dopo.
Aprì lo zaino, tirò fuori una tira di
pane, un salame a lardelli grossi, mezzo formaggio stagionato, una
brazadèla, tre mele, tre bottiglie di acqua e un fiasco di vino e
cominciò con lo sfettolare pane, salame e formaggio offrendolo a
Pafol e ad Aziz.
Restarono in silenzio, ognuno assorto nei propri
pensieri, impegnati soltanto a masticare e a riprendere le forze, poi
l'orso iniziò a raccogliere quel poco che era avanzato e lo riinfilò
dentro lo zaino.
- Via, dobbiamo arrivare prima che si faccia
troppo tardi. - Pafol e Aziz si alzarono con malavoglia e
seguirono l'orso, convinti di dover camminare ancora per tanto;
preferirono star zitti per non sprecare fiato, l'orso però non era
dello stesso parere e iniziò a intonare una canzoncina dietro
l'altra stimolando Pafol e Aziz a fare altrettanto.
- Eccoci
arrivati, quella là è la casa dove dovete entrare, io torno
indietro.-
- Ma... -
- Tranquilli, suonate al campanello.
-
Come era successo con la ragazzina dai capelli color pistacchio,
anche
l'orso abbandonò Pafol e Aziz senza dare spiegazioni. Questa volta
almeno sapevano già cosa dovevano fare, si avvicinarono alla casa
che vedevano in fondo alla strada, la siepe la circondava tutta a
indicare che oltre a quella casa non c'era più niente; si poteva
soltanto tornare indietro, ma arrivati fin lì che senso avrebbe
avuto tornare indietro?
21
Pafol
suonò al campanello, venne ad aprire un vecchietto appoggiato alla
sua zanetta.
- Benvenuti, accomodatevi pure. -
La casa era
piena di gabbie per uccelli, in ognuna ce n'era uno di una specie
differente dalle altre, alcune piccole, altre più grandi a seconda
della dimensione del volatile ospitato.
- Accomodatevi qui. -
Il
vecchietto invitò Pafol e Aziz a sedersi su dei comodi cuscini
imbottiti al centro di una stanza con un buco nel soffitto.
-
State cercando qualcosa o qualcuno? -
Aziz bloccò con un cenno
della mano Pafol che stava per rispondere.
- Prema, vò chi siv?
- (Prima, voi chi siete?) -
- Io sono il Vecchietto del BOSCO,
ultimo discendente dei Codardi Coraggiosi. -
- Chi? -
Il
Vecchietto del BOSCO allora si alzò dal suo cuscino e andò a
prendere un antiquato televisore, infilò dentro l'apposita fessura
una chiavetta USB che teneva in tasca e fece partire un breve
documentario in bianco e nero:
- Tanto tempo fa, la Terra era un
grande campo di battaglia, le tribù combattevano l'una contro
l'altra, ma nessuna riusciva mai a prevalere, quel periodo di terrore
e distruzione, fu chiamato il Periodo del Fuoco.
Mentre le tribù
continuavano a combattersi tra loro, alcune decisero di allearsi con
quelle più vicine, si formarono così due grandi schieramenti
talmente potenti che smisero di combattersi. Si trattava però di una
tregua dettata più dalla paura che da una vera e
propria
voglia di pace, quel periodo fu chiamato il Periodo del
Ghiaccio.
Dopo parecchio tempo in quella situazione, i ricchi e i
potenti di entrambe le fazioni opposte iniziarono ad accordarsi
segretamente tra loro a danno di tutti i poveri e di tutti gli
emarginati.
Fu allora che alcuni tra la gente la più povera e la
più emarginata della Terra decise di farla finita; il loro capo era
un sordomuto che si guadagnava quel poco per sopravvivere facendo il
mimo davanti ai centri commerciali.
Fu lui il primo a capire che
ribellarsi sarebbe stato inutile, bisognava cercare un'altro posto in
cui iniziare una nuova vita, per questo insieme a pochi amici decise
di partire alla ricerca di quel posto.
I ricchi e i potenti
venuti a saperlo cominciarono a chiamarli codardi scacciandoli da
ogni posto in cui arrivavano; anche chi non era affatto ricco e
potente li scacciava e li derideva.
Ormai allo stremo delle forze
e senza più nulla da mangiare, si fermarono a dormire in mezzo a un
bosco, nascosti da tutti quanti gli altri. Quella notte fecero il
medesimo sogno: fondare proprio lì una città che non era mai stata
immaginata e così fecero. Quegli uomini chiamati codardi
dimostrarono il coraggio di non fermarsi davanti all'impossibile,
questa è la storia dei Codardi Coraggiosi. -
Il Vecchietto del
BOSCO riprese la sua chiavetta USB e si rimise a sedere sul suo
cuscino.
- Questo è capitato tanto tempo fa, io sono l'ultimo di
quelli nati e vissuti sempre qui nel BOSCO. -
- Cosa ci può dire
di una ragazzina dai capelli color pistacchio, di un orso e di un
uomo col cappello a cilindro bianco? - domandò Pafol.
- La ragazzina e l'orso che avete incontrato, non sono
propriamente una ragazzina e un orso. -
- Csa vôl dì? - (Cosa
vuole dire?)
- Loro sono entità
eteree che abitano il BOSCO da molto tempo, molto prima che fosse
fondato dai Codardi Coraggiosi, noi li chiamiamo Traghettatori
perché, assumendo sembianze antropomorfe, accompagnano chiunque
arriva qui e si sente perduto. -
- Anche l'uomo col cappello a
cilindro bianco? -
No, l'uomo con il cappello a cilindro bianco
non esiste, è stato il vostro inconscio a crearlo come scusa
necessaria per farvi arrivare fino qui. -
A quella affermazione
sia Pafol che Aziz si guardarono tra loro perplessi.
- Ma il
Signor Budellazzi è qui? -
- Il Signor Budellazzi? -
Sì, è
sparito e ci ha lasciato questo biglietto Pafol tirò fuori dalla
tasca il foglietto ritrovato sul pavimento del laboratorio e lo diede
da leggere al Vecchietto del Bosco.
Ah, Gisto! -
esclamò il
Vecchietto del BOSCO riconsegnando il foglietto a Pafol:
- E'
passato qualche giorno fa che stava cercando la sua Lice, non so
dov'è ora, ma se non è ancora tornato indietro allora deve averla
trovata qui nel BOSCO.-
Mo indóv? - (Ma
dove?)
-
Questo non lo so, mica so tutto, io non mi muovo mai da
qui.-mentre lo diceva il vecchietto si era nuovamente alzato dal suo
cuscino, uscì di casa e andò a raccogliere una manciata di foglie
dalla siepe dietro casa poi rientrò, da un cassetto tirò fuori una
pipa dalla foggia arcaica e la riempì con una trinciatura delle
foglie appena colte, la accese e cominciò ad aspirare il fumo con
ampie boccate, infine la offrì a Pafol e ad Aziz dicendo:
-
Questa qui è l'origine, ora anche voi potete andare oltre a tutto
ciò che per voi era possibile. -
22
Pafol
e Aziz dopo aver aspirato due e tre boccate si ritrovarono da
un'altra parte, era un posto pieno di case sparse, ognuna con
un'architettura diversa a seconda del gusto di chi l'abitava,
all'interno di una di queste forse avrebbero ritrovato il Signor
Budellazzi insieme alla sua Lice. Il problema per Pafol e Aziz era
che le case erano veramente tante.
- Proviamo a chiedere?
-
propose Pafol.
- Pruvegna pu. - (Proviamo
pure.)
rispose
Aziz, che stava cercando di ricordare qualcosa. Intanto Pafol aveva
suonato al campanello della prima casa incontrata, era abbastanza
strana, tutta ricoperta di pannelli fotovoltaici che la facevano
sembrare un satellite in orbita.
Venne ad aprirgli un tipo con una lunga tunica argentata che
toccava terra, era pelato e portava un paio di occhiali da sole con
lenti molto grandi che gli coprivano quasi tutta la parte superiore
del volto.
- State cercando qualcuno o qualcosa? -
- E' un
Traghettatore. -
pensò tra sè e sè Pafol prima di rispondere
- Stiamo cercando il Signor Budellazzi. -
e mentre lo diceva
cercava di immaginare come potesse essere nella realtà quell'entità
eterea.
- Il Signor Budellazzi ... fatemi pensare ... no, non
conosco nessun Signor Budellazzi. -
Il tipo chiuse la porta in
faccia a Pafol e ad Aziz.
- Quel l'è mat. -
(Quello è matto.)
-
Forse non era un Traghettatore. -
-
Quel u n’ vô dì. - (Quello
non vuol dire)
Stavano
per andare a suonare al campanello di un'altra casa che la porta
dietro di loro si aprì nuovamente.
- Ma cercavate il marito
della Lice? Venite con me. - disse il
tipo di prima invitandoli a seguirlo.
Si ritrovarono davanti a
una casa come quelle che si vedono nei borghi marittimi, di quelle
color pastello, col balconcino infiorato e che dà direttamente sulle
onde che si infrangono sugli scogli.
- Abitano qui. -
disse il
tipo dileguandosi.
Pafol guardò Aziz per avere il suo consenso
prima di suonare al campanello. Si affacciò alla finestra una
robusta signora, coi capelli biondi raccolti in un elegante chignon.
- Salve signora cercavamo il Signor Budellazzi, ci hanno indicato
che abita qui. -
- Chi lo cerca? -
- Siamo due suoi amici. -
a
rispondere era sempre Pafol, mentre Aziz se ne stava più indietro e
cercava di ricordare sempre quella cosa.
Mentre la signora stava
squadrando con gli occhi quei due individui che avevano appena
suonato alla porta, da dentro la casa si sentì qualcuno chiedere.
-
Lice, chi ha suonato? -
A Pafol e ad Aziz sembrò di sentire
proprio la voce del Signor Budellazzi e quindi si misero a gridare
-
Signor Budellazzi! Signor Budellazzi! Siamo noi, Pafol e Aziz!
-
Subito dopo il Signor Budellazzi si affacciò alla porta e li
invitò a entrare.
- Gisto, conosci questi signori? -
- Certo,
Lice.-
I
quattro, seduti nel salotto si presentarono a vicenda, fu una
chiacchierata piacevole nella quale Pafol e Aziz ebbero modo di
apprezzare la bontà dei biscotti appena sfornati dalla Signora
Budellazzi, ad Aziz venne in mente quella cosa che prima non riusciva
a ricordare e si rese conto che non era poi così importante.
-
Sgnór Budellazzi, dmã bsogna arvì butega che l'è du dé c'l è
srêda, a vent cun nujetar? - (Signor
Budellazzi, domani bisogna aprire la bottega che è chiusa da due
gioni, vieni con noi?)
il
Signor Budellazzi strinse tra le sue mani quella della sua Lice, poi
rispose:
- No, ci ho messo tanto a ritrovare la mia Lice, resto
qua.
-Ma Signor Budellazzi. -
intervenne Pafol.
- Il
laboratorio? Quel lavoro che stiamo facendo col galeone, ha presente?
-
- Pafol, a proposito mi sono ricordato di come fare, devi
cercare nel laboratorio un libretto piccolo e sottile, c'è scritto:
Trasmutarium, sono sicuro che riuscirai a fare tutto anche senza di
me. -
- Ma Arlòt? -
- Libero ormai è grande, capirà. -
-
Mo adès che t’e savù in du clé la tu sgnóra, t' pu vni cvand
ch’ut pé? O si no la po' avnì lì a la butega - (Ma
adesso che hai saputo dove la tua signora, poi venire quando ti pare,
o può venire lei alla bottega)
-
No, non è così semplice. -
disse il Signor Budellazzi tenendo
sempre le mani della sua Lice.
- La mia Lice ha già
ingoiato la pillola rossa e io credo proprio che lo farò stasera
prima di andare a letto -
- Cos'è la pillola rossa? -
domandò
Pafol.
-
A tutti quelli che arrivano nel BOSCO viene consegnata una
pillola
rossa e una pillola blu, ingoiando la pillola rossa si rimane qui per
sempre, ingoiando la pillola blu si torna da dove si è venuti e non
si può più tornare qua nel BOSCO. -
- Ma noi non abbiamo avuto
nessuna pillola. -
- Controllate bene in tasca, non ve ne siete
accorti ma sicuramente avrete una piccola scatola contenente due
pillole, una rossa e una blu.
Pafol e Aziz infilarono le mani
nelle tasche e con grande sorpresa tirarono fuori un piccola scatola
di latta, l'aprirono e dentro c'erano due pillole, una rossa e una
blu come aveva detto il Signor Budellazzi.
- E adesso cosa
facciamo? -
domandò Pafol ad Aziz
- A n’e so. - (Non
lo so.)
- Signor Budellazzi è proprio sicuro? -
- Sì, ho voluto
aspettarvi prima di prendere la pillola rossa, adesso posso, voi
invece dovete prendere assolutamente la pillola blu e quando sarete
di là portate i nostri affettuosi saluti a Libero. -
- Ma non
possiamo aspettare anche noi a prendere la pillola? - Aspettare cosa?
Che motivo avete per restare? -
Pafol e Aziz si azzittirono poi
aprirono le loro scatoline di latta, presero le rispettive pillole
blu, guardarono i Signori Budellazzi, si guardarono tra loro,
contarono fino a tre e poi, chiudendo gli occhi, le ingoiarono.
23
Si
risvegliarono sotto il Ponte delle Bambocce.
- Stai bene? -
domandò Pafol ad Aziz
- Me sè. -
(Io sì.)
rispose Aziz.
Risalirono lungo il rivalino per andare a
riprendere il furgoncino che era parcheggiato quasi dall'altra parte
della città, partirono a tutta velocità alla volta di Ozz, questa
volta prendendo la Rumagliolese.
Arrivati a Ozz
nei pressi della Ferramenta Budellazzi videro che fuori c'era Arlòt
tutto agitato.
- Arlòt! -
gli gridarono mentre erano ancora in fase di
parcheggio
- Ma dove eravate? -
Arlòt corse incontro a Pafol
e ad Aziz
- Non trovo mio babbo! -
aggiunse con un’
espressione preoccupatissima.
Prima di dire qualcosa Pafol guardò
Aziz indeciso se dire la cruda verità o far finta di niente.
Aziz che per
carattere non era portato ai giri di parole, mise una mano sulla
spalla di Arlòt.
- Ven dëntar cun nó. - (Vieni
dentro con noi.)
Andarono
su nell'appartamento di Pafol e Aziz, fecero accomodare Arlòt sul
divano e, mentre Aziz dal frigorifero prendeva tre lattine di birra,
Pafol si cercava addosso il foglietto che il Signor Budellazzi aveva
lasciato sul pavimento del laboratorio, trovatolo lo mostrò ad
Arlòt.
E questo cos'è? -
-
Leggilo. -
- E' la calligrafia di mio babbo, mi volete spiegare
cosa diavolo sta succedendo? -
Arlòt appariva molto agitato.
-
Bona. - (Calma.)
intervenne Aziz.
- L'è capité un fat, cl'è un po' fadiga
da di - (E'
capitato un fatto che è un po' faticoso da dire)
-
Cosa?! -
Arlòt non riusciva proprio a calmarsi.
- Quel
foglietto lo abbiamo trovato l'altro giorno nel laboratorio. - Come?
L'altro giorno quando? -
- Due mattine fa, quando stavamo cercando
tuo babbo. -
Pafol raccontò ad Arlòt tutto quello che era
capitato, con Aziz che scuotendo la testa su e giù confermava tutto
quello che diceva. Arlòt stava ad ascoltare, ma non riusciva a
capire perché gli stessero raccontando una storia così assurda.
-
Dai ragazzi, per favore, basta con sto scherzo, ditemi cos'è
successo veramente, dov'è babbo adesso? -
- Mo l'è propi acsè
Arlòt - (Ma
è proprio così Arlòt)
disse
Aziz, alzandosi per andare a prendere dell'altra birra.
-
Scusatemi un attimo. -
Arlòt si alzò in piedi e andò a
rinchiudersi nel bagno, Pafol e Aziz lo sentirono imprecare e
piangere, capirono che era meglio lasciarlo un po' solo.
Dopo lo
sfogo Arlòt tornò in salotto, Pafol si stava facendo un solitario a
carte, Aziz si era aperto un'altra lattina di birra.
-
Scusatemi.-
esordì Arlòt, a sciugandosi le ultime lacrime.
-
Ma com'è la storia delle pillole? -
Pafol
gli spiegò nuovamente che la pillola rossa serviva per rimanere per
sempre nel BOSCO, mentre quella blu per non
tornarci mai più.
-
Ma io che non ci sono ancora stato nel BOSCO, se ci vado e prendo la
pillola rossa potrei rimanere per sempre con mamma e babbo. -
-
Ohi, e funzionareb acsè. - (Oi,
funzionerebbe così)
rispose Aziz con la birra in mano a portata di bocca.
- Come
faccio?! -
Arlòt si buttò a peso morto sul divano.
- Ho
trovato la morosa proprio ieri sera ed ero venuto a dirlo a babbo.
-
disse Arlòt con voce affranta.
- Mo dai?! - (Ma
dai?!)
reagì con curioso entusiasmo Aziz.
- Chi è? chi è? -
gli
diede manforte Pafol.
- Si chiama Teofània, l'ho conosciuta in
un locale a Arémina. - - Com'è? -
- Guardate. -
Arlòt
mostrò una foto di Teofània fatta col telefonino, Pafol e Aziz
rimasero a bocca aperta, Teofània era bellissima.
- Fam capì un
cvël, cs’ et da capì? - (Fammi
capire una cosa, cosa hai da capire?)
-
Però, babbo ... e poi mamma … -
- Gvêrda, ch'u n’ è mort
inció. Adess fa la tu vita - (Guarda
che non è morto nessuno, adesso fa la tua vita.).
24
La
mattina dopo la Ferramenta Budellazzi rimase chiusa, Pafol, Aziz e
Arlòt avevano deciso che non l'avrebbero mai più riaperta. Scesero
giù nel laboratorio del Signor Budellazzi per cercare il
Trasmutarium; questa volta la botola dietro al bancone si aprì
subito, la porta del laboratorio in fondo al tunnel era aperta ancora
dall'ultima volta che c'erano passati Pafol e Aziz. la pergamena con
i geroglifici era sempre sul tavolo e nel riguardarla Pafol e Aziz
riconobbero tutti i riferimenti al BOSCO.
Arlòt, che da tanto
tempo non aveva avuto più occasioni per trattenersi un po' nel
laboratorio, rimirava con la curiosità di un bambino tutti gli
alambicchi, seguendo con gli occhi le evoluzioni che i liquidi al
loro interno avrebbero dovuto fare per passare da uno all'altro in
successione.
Aziz invece si era dedicato ai libri, libri molto
antichi che il Signor Budellazzi era riuscito a recuperare chissà
dove e in che maniera.
- Pafol, gvêrda! - (Pafol,
guarda!)
Pafol
lasciò aperti i cassetti che stava rovistando e andò da Aziz che
teneva un libretto in mano, era il Trasmutarium
- Cosa c'è
scritto? -
domandò Pafol che non riusciva a comprendere quello
che c'era scritto.
- A ne so, parò u'm pé di incantesum. - (Non
lo so però mi sembrano degli incantesimi)
-
Arlòt, vieni a vedere anche te. -
Arlòt raggiunse Pafol e Aziz e
tutti si misero a dare un'occhiata a quel libretto.
- Il Signor
Budellazzi ha detto che è quello che ci serve per
trasformare il
galeone in una motonave, andiamo su alla luce del
sole
per vedere cosa c'è scritto. -
- Io devo andare da Teofània, mi
raccomando, niente scherzi. - Arlòt lasciò la compagnia per
raggiungere la sua morosa con la quale si era dato appuntamento al
parco della rocca di Xezena.
- Ok, ma portacela qua uno di questi
giorni. -
lo salutarono ridacchiando Pafol e Aziz.
Loro erano
rimasti a cercare di capire cosa c'era scritto su quel libretto,
intanto avevano cominciato a chiedersi se aveva ancora senso stare li
a Ozz oppure era il caso di trovare una casa più vicina al porto di
Ramiana dove era attraccato il galeone.
La mattina dopo mentre
facevano colazione, ascoltando il radiogiornale sentirono una notizia
che aumentò la loro preoccupazione: si diceva che Torquato
L'Ungolato con la sua ciurma era al largo di Spritzlanda e aveva
anche inviato un comunicato a tutti i mezzi d'informazione:
- Io
Torquato L'Ungolato giuro che troverò chi mi ha rubato il galeone,
lo troverò quel maledetto! Dovessi graffiare via tutto il mare con
le mie unghie! -
Spritzlanda, la cui zona più antica e nobile era
formata da tanti isolotti che ora si trovavano sotto al mare protetti
da una grande cupola di vetro collegata tramite a un tunnel alla
terra ferma, non era molto distante dal porto di Ramiana e anche se i
pirati si fossero messi a saccheggiarla per benino prima o poi
sarebbero arrivati.
Uscirono di corsa per andare al galeone e,
intanto che Pafol guidava a tutta velocità, Aziz si era messo a
cercare in un giornaletto di annunci se ci fossero appartamenti in
affitto adatti alle loro esigenze; quella mattina la nebbia avvolgeva
Ramiana e il suo porto, e per raggiungere la zona dei padelloni dove
era attraccato il galeone bisognava stare attenti a non finire dritti
nel
canale.
Il galeone era ancora lì, i quattro gatti benché fossero già
passati diversi giorni dall'ultima volta che Pafol gli aveva dato da
mangiare non sembrarono particolarmente affamati, anzi apparivano
estremamente satolli.
Pafol salì sul galeone seguito da Aziz che
i quattro gatti squadrarono e annusarono come cani poliziotto a un
controllo doganale, poi una volta avuto il loro benestare
cominciarono a smontare il galeone pezzo per pezzo e a riempire il
cassone del furgoncino.
- Hai trovato qualche appartamento, Aziz?
-
- Moché, i gosta un òc dla testa. - (Macché,
costano un occhio della testa.)
-
Proviamo a sentire cosa dice Arlòt, magari lui ha qualche buona
idea. -
- Ciãmal pu, s'u n’ a da fê cun la ‘mbrosa. -
(Chiamalo
pure, se non è impegnato con la fidanzata.)
Mentre
Aziz continuava a staccare pezzi di galeone, Pafol si assentò un
attimo per andare alla cabina telefonica di fronte al bar tavolacalda
per chiamare Arlòt. dopo mezz'ora tornò al galeone, tutto pimpante.
- Arlòt, ha detto che ha un’idea, ci raggiunge stasera così
ce ne parla. -
- E vé neca la su dona? -
(Viene anche la sua donna?)
Non me l'ha detto. -
Pafol e Aziz continuarono a smontare
pezzi del galeone per tutta la giornata facendo solo una breve pausa
per mangiare, il furgoncino era stracarico e i gatti si stavano
preparando per la notte, da lontano sì sentì arrivare l'auto di
Arlòt con la musica a tutto volume, era da solo.
-
Beh, ci da par te? -
(Beh sei da solo?)
-
Sì, Teofània è andata a raccogliere la frutta.-
- Noi stavamo
andando via, ci fermiamo da qualche parte a mangiare?
- Ok, vi seguo. -
- Me a vag so cun lo. - (Io
vado su con lui.)
Pafol
salì sul furgoncino e partì mentre Arlòt e Aziz, che era salito in
auto con lui, gli stavano dietro.
Si fermarono
in una baracchina lungo la strada e davanti a tre panini
superimbottiti e tre bottiglie di birra artigianale i tre parlarono
del problema di trovare una posto più vicino al porto di Ramiana
dove portate tutto il galeone smontato, prima dell'arrivo dei pirati.
Arlòt sapeva che c'era una casa abbandonata sulla strada che da Ramiana andava fino a Xezena, una zona quasi disabitata della GRAN MADR circondata da vasti campi, da lì si arrivava facilmente un po' dappertutto, anche alla zona del porto di Ramiana dove era attraccato il galeone; decisero quindi di andarla a vedere. - Andiamo domani. -
25
Il
giorno dopo invece di andare subito a smontare il galeone decisero di
passare prima a vedere la casa abbandonata; si trattava di una casa
colonica a due piani, con un capannone sul retro e un cortile
completamente invaso dalle erbacce.
La casa si trovava quasi al
centro di tutta la GRAN MADR, abbastanza isolata da tutto, ma vicina
una strada di grande scorrimento. Per Arlòt e per Aziz era perfetta,
Pafol invece mostrò qualche dubbio; secondo lui era troppo rischioso
lasciare tutto quanto incustodito, aveva infatti notato che le
serrature erano tutte quante rotte e poi si sarebbe pur trattato di
un'occupazione abusiva.
- Os-cia s’ci premuros. - (Oh,
se sei premuroso.)
lo
apostrofò Aziz e anche Arlot cercò di tranquillizarlo ricordando
che alla ferramenta c'era materiale sufficiente per sistemare tutte
le serrature nella casa.
Pafol, Aziz e Arlòt passarono il resto
della giornata al porto di Ramiana a smontare il galeone, coi quattro
gatti che non si allontanarono troppo rimanendo a osservare quei tre
dal padellone.
A sole già tramontato e coi quattro gatti
nuovamente su un galeone che ormai stava mostrando la propria
intelaiatura, Pafol, Aziz e Arlòt partirono per trascorrere la loro
ultima notte a Ozz.
Quell'ultima notte a Ozz la passarono in
bianco, un po' per caricare il furgoncino e l'auto di Arlòt con i
pezzi del galeone che erano stati stipati, nei giorni precedenti,
all'interno della Ferramenta Budellazzi, un po' perché, prima di
andare a coricarsi, ad Arlòt venne la curiosità di accendere il
computer e scaricando la posta si era accorto di un email da parte di
Fratello Chj.
- Oh, venite qua! -
urlò a Pafol e ad Aziz che
si stavano recando su nel loro appartamento.
- C'è un'email di
Fratello Chj, parla di Julius. -
Nell'email di Fratello Chj
indirizzata a Gisto, si informava che Julius era in procinto di
concludere il suo anno nel Monastero Sinc e molto presto avrebbe
scelto se proseguire il suo percorso per diventare Monaco Sinc.
L'email si concludeva con i saluti di Fratello Chj che chiedeva come
andavano gli affari con la ferramenta.
Arlòt non sapeva se
rispondere, ma la curiosità di conoscere la decisione di Julius che
lo accomunava a Pafol e ad Aziz, lo convinse a farlo, svelando anche
ciò che era capitato a suo babbo. Si risvegliarono che era già
pomeriggio inoltrato, per andare a smontare il galeone si era fatto
tardi, andarono quindi a prendere possesso della casa abbandonata.
La prima cosa che fecero fu scaricare il furgoncino e l'auto di
Arlòt che avevano riempito fino all'inverosimile con tutti i pezzi
del galeone e coi quali riempirono il capannone dietro la casa, poi
passarono a sistemare le varie serrature con quello che avevano
racimolato tra gli scaffali della Ferramenta Budellazzi.
L'ultima
cosa che fecero prima di cenare fu di accendere il computer per
vedere se c'era qualcosa d'importante; tra le decine di spam c'era
anche un'email di Fratello Chj e Arlòt la lesse per tutti.
-
Ciao Libero, ciò che tuo babbo Gisto ha deciso di fare non deve
rattristarti, anzi devi gioire per lui che ora è con la sua Lice e
sono sicuro che un giorno la famiglia Budellazzi si riunirà.
Per
quanto riguarda Julius, proprio oggi mi ha rivelato il suo desiderio
di diventare Monaco Sinc.
Con affetto,
Fratello Chj
p.s.
non è vero che c'è solo una pillola rossa o solo una pillola blu.-
Chiuso il computer andarono a prepararsi la cena e poi subito dopo a
letto per svegliarsi presto il giorno dopo.
La mattina dopo
furono svegliati dal cinguettio di una combriccola di uccelli,
scesero convinti di farsi una tranquilla colazione, ma le notizie del
giornale radio non erano affatto buone. Torquato l'Unghiato e la sua
masnada avevano finito di depredare e devastare Spritzlanda e si
stavano spostando verso sud prosciugando tutto quello che
incontravano sulla loro rotta, a separarli dalla GRAN MADR e in
particolare dal porto di Ramiana era rimasta soltanto la Foce Eridia
e le Paludi Comace, un territorio dove a proliferare erano soltanto
delle ignorantissime zinzale, ditteri di dimensioni preistoriche.
Quando Pafol, Aziz e Arlòt arrivarono al galeone erano
determinati a finire tutto il lavoro che ancora era rimasto da fare
e, sistemati i quattro gatti con una doppia razione di cibo,
cominciarono a svitare, schiodare, scollare, staccare di tutto; Aziz
col furgoncino caricato faceva su e giù tra il porto di Ramiana e la
casa, mentre Pafol e Arlòt continavano a darci di buona lena, senza
sosta.
Erano impegnati a smontare il galeone che non fecero caso
a una voce che proveniva dal padellone.
- Heilà! -
insistette
la voce.
- Heilàà! -
si voltarono ma non videro nessuno.
-
Heilà! sono qua. -
guardarono un po' più in basso e Pafol
riconobbe Deusex Machina, il nano che aveva incontrato la prima volta
che era arrivato col galeone.
- Salve.-
rispose Pafol
continuando a staccare parti di galeone.
-
Come procede? -
domandò il nano alzandosi in punta di piedi per
vedere meglio, - Eh, ce n'è ancora tanta da fare ma
dobbiamo fare prima possibile, immagino che avrà saputo. -
rispose
Pafol riferendosi all'imminente arrivo dei pirati.
- Eh sì, le
voci girano. -
confermò il nano che era sempre molto informato su
tutto quello che succedeva.
- Avete per caso bisogno di un aiuto?
-
Pafol si fermo un attimo guardandosi attorno e guardando il nano
- Beh sì ... ma ... come potrebbe? -
- Sono un risolutore di
problemi. -
Deusex Machina fece un fischio alla maniera dei
pastori, da dietro il padellone uscirono fuori altri nani, con barba
bianca e berretto a punta d'ordinanza.
- Questi sono tutti miei
parenti. -
disse presentandoli.
- E siamo qui per aiutarvi.
-
Pafol non fece in tempo a dire una parola che i nani erano già
saliti sul galeone e si erano già messi a smontarlo tutto al ritmo
di una canzoncina che parlava di lavoro in miniera.
Il lavoro dei
nani agevolò Aziz che così fu in grado di fare più viaggi col
furgoncino pieno fino alla casa, mentre Arlòt che non si incontrava
con Teofània da un paio di giorni approfittò della situazione per
andare a trovarla.
Pafol invece rimase lì e ogni tanto guardava
verso nord temendo di vedersi piombare addosso da un momento
all'altro Torquato L'Unghiato.
Poco prima del tramonto del
galeone non era rimasto più niente tranne la polena che ora
galleggiava sull'acqua e i nani, dopo aver
staccato
l'ultimo pezzo, erano spariti nelle nebbia.
I quattro gatti
arrivarono puntuali come era loro abitudine però questa volta non
scacciarono subito Pafol e Aziz, anzi si strusciarono sulle loro
gambe facendo le fusa, poi andarono a piazzarsi sulla
polena.
Arrivati nella casa, Pafol e Aziz scaricarono per l'ultima
volta il furgoncino, il galeone era praticamente tutto lì pezzo per
pezzo dentro al capannone, però non sapevano ancora come fare a
trasformarlo in una motonave, avevano il Trasmutarium ma non erano
ancora riusciti a decifrarlo.
- E cun ‘e rëst? Cum a fasegna?
- (E
con il resto? Come facciamo?) Aziz
fece notare a Pafol che la polena del galeone era rimasta ancora nel
porto di Ramiana, rossa come rossi erano tutti gli altri singoli
pezzi, si trattava di un pezzo ingombrante che non era possibile
trasportare col furgoncino.
La polena effettivamente era un
grosso problema, il radiogiornale continuava a dire che Torquato
L'Unghiato si stava avvicinando a forte velocità nonostante le
ignorantissime zinzale delle Paludi Comace, bisognava trovare una
soluzione, rapidamente.
26
A
sole appena sorto Pafol e Aziz partirono in direzione del porto di
Ramiana, durante la notte avevano escogitato a una soluzione per
portare via la polena da lì, bisognava farla scivolare il più
possibile verso la parte più interna del porto, fino al Navei, un
canale che collegava Ramiana con Fiordargilla e nasconderla dietro le
canne che crescevano sulle sue rive.
Quando arrivarono i gatti
pretesero di ricevere il cibo come al solito, poi, sempre come era
loro abitudine, lasciarono spazio a Pafol e ad Aziz che cominciarono
a organizzare lo spostamento della polena. Per prima cosa slegarono
la gomena che tratteneva la polena al padellone, la corrente del
canale però la spingeva verso il mare e loro facevano una gran
fatica a trattenerla e trainarla nella direzione opposta. Per
riuscire a portare la polena fino al Navei avrebbero avuto bisogno di
altre braccia, braccia che arrivarono appena in tempo: erano quelle
di Arlòt arrivato lì facendo fischiare le ruote della sua auto.
-
Hei! sono qua, avete bisogno? -
- Sì! -
urlarono in
contemporanea Pafol e Aziz.
Arlòt, si voltò un attimo verso il
posto del passeggero, poi scese dall'auto.
- Ci sono! -
gridò
mentre Pafol e Aziz provvedevano a convocare in loco tutte le
divinità zoomorfe.
- Non riusciamo a portarla via, la corrente è
troppo forte! -
Arlòt li aiutò a riannodare la gomena al
padellone.
Da settentrione giunse uno sciame di zinzale che stava
fuggendo dalle Paludi Comace, un vento acre portava i canti trucidi
di pirati pieni di collera e sete di vendetta.
Torquato
L'Unghiato e i suoi compari stavano arrivando, ormai era una
questione di pochi minuti, le acque del porto avevano cominciato ad
ondeggiare come se fossero in mare aperto, per Pafol, Aziz e Arlòt
c'erano pochissime speranze di riuscire a nascondere la polena, non
erano degli incoscienti e nemmeno degli eroi, fu abbastanza ovvio per
loro abbandonare la polena e andare a nascondersi il più rapidamente
possibile.
Poco dopo un galeone issante bandiera nera arrivò
come uno tsunami nel porto di Ramiana, legata a un padellone Torquato
L'Unghiato riconobbe la polena del suo galeone.
-
Nooooooooooooooooo! -
L'urlo lacerante di Torquato L'Unghiato si
propagò per tutto il porto.
- Trovatemi i bastardi che hanno
distrutto il mio galeone! E datemeli vivi che li voglio scarnificare
con le mie unghie! - sbraitò con voce crudele.
Pafol,
Aziz e Arlòt in quel momento avrebbero desiderato essere da tutta
un'altra parte, il loro nascondiglio sotto a una vecchia barca
rovesciata non poteva certo considerarsi efficace.
Tutti i
pirati, tranne Torquato L'Unghiato, scesero dal galeone per
perlustrare e devastare la zona, ognuno lo avrebbe fatto alla sua
maniera, chi menando fendenti a destra e a manca con le lame delle
loro armi bianche ben affilate, chi sparando a raffica, chi facendolo
di precisione, chi usando soltanto le mani, chi usando soltanto lo
sguardo.
Lo avrebbero sicuramente fatto, ma lì non troppo
distanti dalla polena c'erano ancora i quattro gatti che non erano
incoscienti e non erano eroi, però erano speciali, infatti, proprio
come nella storiella che si raccontava al bar, potevano drizzarsi
sulle zampe
posteriori
e diventare più grandi.
I pirati si trovarono al cospetto di
quattro stragatti molto infastiditi da quella presenza estranea e
benché in maggioranza non poterono far nulla per difendersi dai
graffi e dai morsi che i quattro stragatti non lesinarono dal dargli.
Malconci e terrorizzati i pirati indietreggiarono fino a rifugiarsi
in fondo alla stiva del galeone, soltanto Torquato L'Unghiato
accecato dalla sete di vendetta non indietreggiò di fronte ai
quattro stragatti:
- Venite avanti brutti gattacci, sono pronto
ad affrontarvi con le vostre stesse armi. -
disse mostrando le sue
lunghe unghie rosse, ma ai quattro stragatti non interessava salire
su quel galeone, tornarono ad assumere le sembianze di comuni felis
catus e, con le code dritte, se ne tornarono tranquilli alle loro
faccende.
27
Ancora
nascosti sotto alla barca, Pafol, Aziz e Arlòt non avevano visto e
capito assolutamente nulla di quello che era successo, da qualche
minuto era tornata la calma, provarono a sbirciare e videro Torquato
L'Unghiato dritto in piedi sulla prua del galeone, schiumante di
rabbia, mentre la polena era ancora lì legata al padellone.
-
Csa fasègna? - (Cosa
facciamo?)
domandò
Aziz agli altri due.
- Proviamo ad andare via ...molto lentamente
... piano piano ... senza far rumore ... -
rispose Pafol
cominciando ad allontanarsi seguito da Arlòt e da Aziz.
Erano
quasi fuori pericolo, ma uno dei tre appoggiò accidentalmente il
piede su un sacco di iuta pieno di richiami per uccelli, scatenando
un concerto di cinguettii e starnazzi subito imitato da una
moltitudine di pennuti che si alzarono in volo. Fu così
che Torquato L'Unghiato individuò Pafol, Aziz e Arlòt e capì che
potevano essere stati soltanto loro a rubare e distruggere il suo
galeone.
- Uomini! eccoli là, portatemeli! -
urlò Torquato
L'Unghiato alla ciurma, ma i pirati erano ancora molto restii a
scendere dal galeone, temevano infatti che i quattro stragatti
sarebbero riapparsi. D'altro canto, Torquato L'Unghiato, durante gli
assalti, rimaneva sempre a bordo del galeone godendo in sicurezza del
bottino che i pirati gli procuravano e fu grazie a quell'abitudine
che Pafol, Aziz e Arlòt, correndo a gambe levate, si salvarono
arrivando fino al canale Navei.
Ad aspettarli dentro l'auto di
Arlòt c'era Teofània che nell'attesa si era messa a chattare con
delle sue amiche. Arlòt mollò un bacio con lo schiocco alla sua
morosa, si mise al posto di guida e partì a tutta velocità verso la
casa mentre gli altri due seduti su sedili posteriori non avevano
fiato per aprire bocca.
Il sole stava per tramontare, la polena
era ancora lì e Torquato L'Unghiato prese la decisione di scendere
dal galeone per andare a riprenderne possesso. Anche i quattro
stragatti arrivarono per accomodarsi sulla polena e appena i pirati
li videro mandarono il galeone indietro tutta:
- Che cazzo state
facendo! -
sbraitò Torquato L'Unghiato.
- Tornate subito
indietro! -
il galeone con i pirati se ne stava andando mentre lui
era rimasto aggrappato alla polena.
I quattro stragatti non
dovettero nemmeno graffiarlo perché Torquato L'Unghiato essendo
allergico al loro pelo, starnutì e nel farlo mollò la presa, la
corrente lo portò al largo lontano dalla polena. Senza un galeone e
senza uomini cosa ne sarebbe stato di lui?
28
Dentro
la casa nessuno sapeva cosa fare con tutti quanti quei pezzi di
galeone accatastati nel capannone, l'unica cosa certa per Pafol, Aziz
e Arlòt era che la polena era tornata in mano a Torquato L'Unghiato
e senza di essa non avrebbero potuto trasformare il galeone in una
motonave.
Teofània credeva invece che c'era ancora la
possibilità di recuperare la polena e suggerì all'orecchio di Arlòt
di fare ancora un tentativo.
- Ma no. -
reagì Arlòt
scossando la testa
- E' troppo pericoloso tornare là. -
sussurrò
a Teofània, a cui però non piacque la motivazione:
- Fatemi
capire un po', avete riempito il capannone per niente? Vi manca solo
l'ultimo pezzo che magari è ancora là ad aspettarvi, dai andate al
porto! -
Pafol, Aziz e Arlòt rimasero mogi in silenzio.
- Quindi? -
li
provocò Teofània,
- Domani proviamo a tornare al porto -
provò
a rispondere Pafol
- Eh no, dovete andarci subito. -
-Ma ...
-
provò a giustificarsi altrettanto timidamente Arlòt,
- Niente ma, ci andate adesso a prendere la
polena. -
disse Teofània prima di abbandonarli salendo le scale
per andare a letto.
Aziz che fino a quel momento era stato zitto,
sottovoce disse: - Cio, e sarà mej ch'ai degna rëta.
- (Cio,
sarà meglio che le diamo retta.)
-
Eh, già. -
annuirono gli altri due.
- Alora andèn a avdé
s'u i’ è incora. - (Allora
andiamo a vedere se c'è ancora.)
Pafol,
Aziz e Arlòt salirono sul furgoncino per andare verso il porto di
Ramiana, però, col terrore di ritrovarsi al cospetto dei pirati,
avevano deciso di parcheggiarlo un po' distante dal padellone a cui
era legata la polena e di procedere cautamente a piedi, pronti a
nascondersi o a fuggire a gambe levate.
Era una notte senza
luna e riuscivano a vedere soltanto a pochi passi davanti a loro
grazie alla luce del telefonino di Arlot. Si sentiva solo lo
sciabordio dell'acqua,il frinire delle cicale e il gracidare delle
rane e non si accorsero di essere arrivati vicino al padellone. A
spaventarli furono otto piccoli occhi che li stavano osservando e il
miiiiiiiiiaaaaaooooooooo! che ne seguì. Presi
alla sprovvista si strinsero tra loro trovandosi così
nell'impossibilità di nascondersi o fuggire, ad Arlòt, nella
concitazione del momento, aveva girato il telefonino ed ora lo stesso
stava illuminando proprio in direzione del canale.
- Un gn’ è.
- (Non
c'è.)
sussurrò Aziz che si era ritrovato a guardare proprio da quella
parte.
- Allora i pirati se la sono proprio ripresa. -
disse
Pafol un po' affranto,
- No, un gn’ è piò e galeon di pirëta.
-
disse, questa volta con un tono di voce più forte, Aziz.
I
tre si divincolarono e si misero a guardare verso il canale
illuminandolo con la luce del telefonino di Arlòt; del galeone e dei
pirati non c'era più alcuna traccia e la polena era ancora lì a
galleggiare placida. Stravaccati su di essa i quattro gatti ora non
particolare attenzione a quello che succedeva sulla riva. Felici per
lo
scampato pericolo si abbracciarono fraternamente tra loro e non si
preoccuparono più di non far rumore, poi cominciarono a pensare al
modo migliore per portare la polena via da lì.
- A questo punto
aspettiamo che si faccia giorno, così riusciamo a lavorare meglio.
-
propose Pafol trovando gli altri d'accordo con lui.
-
Intanto vado a prendere il furgoncino disse Arlòt. Aziz e Pafol
rimasero lì seduti appoggiati alla parete del padellone.
- Ci
pensi mai, se invece di ingoiare la pillola blu ingoiavamo la pillola
rossa? -
cominciò Pafol.
- Me, dal vôlt sè. - (Io,
delle volte sì)
rispose Aziz
-
Pu a pëns cl’è sté mej acsè ...forsi - (Poi
penso che è stato meglio così ...forse)
-
Proprio così ...forse -
29
Arlòt
era arrivato con il furgoncino, il sole aveva fatto capolino
sull'orizzonte marittimo e il porto di Ramiana stava cominciando ad
animarsi. I quattro gatti ora erano in posizione di attesa. Aziz
slegò la gomena dal padellone e insieme ad Arlòt la legò all'auto
mentre Pafol era sceso a pelo dell'acqua in modo da assicurarsi che
la polena fosse legata per bene all'altro capo della gomena.
Pensavano infatti di trascinarla via con la forza del furgoncino.
Fecero un primo tentativo, ma la polena muovendosi andò a
incastrarsi tra i pali di sostegno del padellone con i quattro gatti
che, sempre lì sopra, mostrarono di non apprezzare. Pafol, Aziz e
Arlòt si prodigarono dunque a disincastrare la polena spingendola
via con un asse di legno per fare un ulteriore tentativo di traino
col furgoncino, ma nonostante la maggiore attenzione ancora una volta
la polena andò a impattare contro i pali che sostenevano il
padellone.
- Non c'è due senza tre. -
disse Pafol, proponendo
di rinunciare al terzo tentativo sicuro che anche quello sarebbe
fallito.
- Allora in che modo possiamo fare a portare via da qui
la polena? -
domandò Arlòt che intanto stava slegando la gomena
dal furgoncino.
Per tutto quel tempo i quattro gatti non si erano
mossi dalla polena, Pafol aveva provato a farli spostare aprendo le
ultime scatolette che aveva a disposizione, ma loro erano rimasti lì
immobili come sfingi. Fu dopo che Arlòt ebbe finito di separare la
polena dal furgoncino che cominciarono a muoversi in girotondo sempre
più vorticosamente e velocemente, tanto da provocare una tromba
d'acqua che sollevò la polena insieme a loro mentre Pafol, Aziz e
Arlòt osservavano attoniti, senza essere sfiorati da uno sbruffo o
da un soffio di vento.
Improvvisamente tutto finì, i quattro gatti e la
polena non c'erano più, svaniti nel nulla, Pafol, Aziz e Arlòt
decisero di fare mestamente ritorno alla casa dove ad attenderli
c'era Teofània, che difficilmente avrebbe creduto a quello che
andavano a raccontarle. Erano appena saliti in auto che Arlòt sentì
squillare il telefonino, dall'altra parte c'era Teofània tutta
raggiante:
- Che bravi! siete riusciti a portare a casa la
polena, lo dicevo io, ma voi adesso dove siete che non vi vedo, qua
ci sono soltanto quattro gatti che non avevo mai visto prima. -
Arlòt senza dire niente agli altri partì a tutto gas verso la
casa abbandonata.
Cs'èl capité? - (Cos'è
successo?)
domandò
Aziz, Arlòt non gli rispose, però si vedeva che era felice e si
divertiva a suonare il clacson alle auto che incrociava,
- Ma
cos'hai? -
chiese Pafol.
- Vedrete, vedrete! -
rispose
euforicamente Arlòt.
Arrivati alla casa si ritrovarono Teofània
che li aspettava davanti all'uscio di casa,
- Beh, ma dove eravate
finiti? -
Pafol e Aziz non sapevano cosa dire e non capivano
perché sia Arlòt che Teofània fossero così contenti; lo capirono
appena voltarono l'angolo della casa. Là in mezzo al giardino c'era
la polena con i quattro gatti intorno.
Pafol rimase letteralmente
senza fiato, mentre Aziz non faceva altro che ripetere:
- Fati
robi, fati robi, ... - (Che
roba , che roba, …)
Arlòt
e Teofània si scambiarono un appassionato bacio, i quattro gatti si
posizionarono a guardia della polena e da lì non si mossero più
finché non videro Pafol, Aziz, Arlòt e Teofània rientrare in
casa.
Erano tutti seduti attorno al tavolo in cucina, Pafol aveva
tra le mani il Trasmutarium trovato nel laboratorio del Signor
Budellazzi.
- Proviamo a capire cosa c'è scritto qui? -
domandò
guardando gli altri
- Proviamo! -
risposero unitamente Arlòt
e Teofània
- A sèn a cvè apòsta! - (Siamo
qui apposta!)
ribadì
Aziz versando del vino nei bicchieri.
- Allora, cosa c'è
scritto? -
- Non lo so. -
- Fasìm lèzar a me - (Fate
leggere a me.)
Pafol
passò il libretto ad Aziz che cominciò a sfogliare le pagine,
leggendo sommariamente a bassa voce mentre gli altri aspettavano di
sapere cosa c'era scritto e, soprattutto, di scoprire in quale
maniera si sarebbe avverata la magia della trasformazione di ogni
pezzo del galeone in pezzi per costruire una motonave.
Aziz
chiuse il libretto, si scolò il vino che era nel bicchiere e poi
alzandosi in piedi disse:
-E bsogna armunté tot cvãnt -
(Bisogna
rimontare tutto quanto)
-
Cosa? -
Pafol ricominciò ad agitarsi e a girare su e giù per la
stanza fermandosi a guardare fuori dalla finestra,
- Ma come
facciamo? -
disse Arlòt.
- E' un problema. -
rispose
Pafol continuando a guardare fuori dalla finestra che dava verso la
strada.
In
quel momento proprio fuori dal cancello comparve il nano Deusex
Machina,
- Ancora problemi? -
- Ma come? ... -
- Cosa c'è
da fare questa volta? -
chiese Deusex Machina che intanto non si
sa come, era entrato in casa,
- Bisogna rimontare tutto il
galeone. -
rispose Pafol distrattamente.
- Qui? -
domandò
Desex Machina facendo un'espressione di perplessità
- Qui.
-
confermò Pafol senza pensare a cosa stava dicendo.
In
quattro e quattrotto arrivarono tutti gli altri nani parenti di
Deusex Machina e cominciarono a prendere i pezzi del galeone dal
capannone, rimontandolo tutto nel cortile. In poco tempo fu
completato, mancava soltanto la polena che i nani, già spariti,
chissà per quale motivo avevano lasciato appoggiata alla prua, senza
rimontarla.
30
Mo e sra un bèl lavor andé a fé un galeone in t'un curtil?- (Ma sarà un bel lavoro andare a fare un galeone in un cortile?) pensò Aziz a voce alta,
- Adesso come lo riportiamo fino al mare? -
domandò Arlòt, anche lui perplesso per la decisione che aveva preso Pafol.
Pafol non rispose direttamente ai suoi amici.
- Adesso abbiamo di nuovo il galeone, ma a noi serve una motonave, cosa dice di fare il Trasmutarium? -
Aziz lo riaprì alla pagina in cui aveva letto che l'oggetto originale doveva risultare unito prima del rito di tramutazione e proseguì nella lettura riferendo agli altri delle istruzioni in esso contenute.
Per trasformare un oggetto così grande occorrevano almeno quattro persone e loro eran giusto giusto in quattro; ognuno doveva tenere in mano una candela le cui fiammelle dovevano risultare unite in unica fiamma, rivolgerla verso l'oggetto in questione e recitare all'unisono la seguente formula magica, con i relativi movimenti richiesti:
- Ma va là -
avvicinando le candele verso l'oggetto,
- Vieni qua -
riportandole verso di sé, - Ciò che è non sarà -
ruotando le candele in senso orario, - Se sarà non è più - ruotandole in senso antiorario,
- Guarda in su - sollevando in alto le candele
- Guarda in giù -
abbassandole, - Ora non guardare più! - spegnere la fiamma con uno sputo, chiudere gli occhi e pensare intensamente in cosa trasformare l'oggetto originale. Attendere così per un po' di tempo, il tempo che il prodigio si possa compiere.
- Abbiamo delle candele? -
si informò Pafol
Ce n'è una scatola. -
rispose Teofània aprendo un cassetto della cucina,
- Farmiv! Farmiv! - (Fermatevi! Fermatevi!)
- Che c'è Aziz? -
- La polena, l'è armasta zo. U n’ s’ pò fé gnìt. - (La polena è rimasta giù, non si può fare niente.)
- Proviamo a montarla noi. -
propose Arlòt, gonfiando il petto alla maniera dei culturisti e uscendo in cortile.
I quattro gatti che fino a quel momento erano rimasti a sonnecchiare nei pressi della polena incuranti di tutto si svegliarono e cominciarono a soffiare minacciosi,
- Non li ho mai visti così nervosi. -
disse Pafol che aveva seguito Arlòt, - Avranno fame. -
ipotizzò Teofània,
- Ai gatti piace il cetriolo? -
domandò Arlòt -
-E zizarnèl? mo csa dit? - (Il cetriolo? ma cosa dici?)
lo canzonò Aziz.
- C'è rimasto solo quello nel frigo. -
rispose Arlòt rientrato in casa e uscito con un cetriolo in mano. I gatti appena lo videro si mostrarono ancora più nervosi, talmente nervosi che avevano cominciato a gonfiare il pelo e a drizzarsi sulle zampe posteriori; spaventati Pafol, Aziz, Arlòt e Teofània andarono a rinchiudersi dentro la casa, a quel punto i gatti tornarono a stravaccarsi vicino alla polena. - Adesso come facciamo a trasformare il galeone? -
interrogò Pafol, guardando gli altri tre,
- A j’ a pinsarè dmatèna, u s’ è fata ora d'zèna: csa magnègna? - (Ci penseremo domattina, si è fatta ora di cena, cosa mangiamo?)
rispose Aziz sedendosi a tavola. - Ci mangiamo questo cetriolo. -
propose Arlòt agitando la cucurbitacea, - Me a m’ vegh a lèt, a s’ avdè dmatèna. - (Io vado a letto, ci vediamo domattina.)
Arlòt, Teofània e Pafol si divisero il cetriolo e poi andarono a dormire anche loro,
Mentre i due morosi passarono una notte serena abbracciati amorevolmente, Pafol trascorse una notte insonne a pensare al galeone lì fuori al cortile, all'impossibilità di trasformarlo in una motonave e all'altissima probabilità di vedersi piombare all'improvviso i pirati proprio lì nella casa.
Aziz che si era andato a letto prima degli altri fu anche il primo a svegliarsi, sceso in cucina per fare colazione col solito bicchiere di vino bianco frizzante, vide il Trasmutarium lasciato la sera prima sul tavolo da Pafol e cominciò a rileggerlo. Nel farlo notò che le istruzioni dicevano che l'oggetto originale doveva risultare unito, non diceva che doveva essere intero, andò alla finestra per guardare il galeone e si rese conto che la polena appoggiata alla prua era di fatto unita al galeone,
- Forsi ?!... - (Forse ?!...)
pensò,
- Svigìv, cl'è ora! -
sbraitò affacciandosi alle scale che portavano al piano superiore,
- L'incatesum, sbrighìv! - (L'incantesimo, sbrigatevi!)
- Ma la polena? -
domandò Pafol sbadigliando ad ogni gradino che scendeva, - Fa l'istes! - (Fa lo stesso!)
rispose Aziz, dal cortile
Arlòt avvisò di essere sveglio lanciando un sonoro rutto fuori dalla finestra della sua camera, due minuti dopo era anche lui in cortile insieme a Pafol e ad Aziz che spiegava a loro cosa aveva scoperto rileggendo il Trasmutarium.
Ora mancava soltanto Teofània per essere in quattro ed eseguire il rito -Teofània sei pronta? -
- Cinque minuti e arrivo. -
rispose l'unica donna del gruppo da dietro la porta del bagno. - Sbrigati! -
31
Sulla
stessa strada che passava davanti alla casa, un uomo tracagnotto con
le mani nelle tasche di una giacca grigia un po' sdrucita, camminava
con passo nervoso e sguardo all'asfalto, non si era accorto che aveva
quasi investito un Monaco Sinc che era appena sceso alla fermata
della Corriera; il Monaco Sinc però si era accorto di lui e lo aveva
riconosciuto.
- Scusa?! -
lo chiamò il Monaco Sinc,
l'uomo
tracagnotto si fermò per voltarsi indietro e vedere chi lo stava
chiamando e vedendo che si trattava di un Monaco Sinc rispose con
tono arrogante:
- Che c'è? -
Monaco Sinc abbassò il grande
cappuccio sulle spalle, mostrando il volto di un giovane
afrumagliolo, i capelli crespi erano raccolti in tante piccole
treccine, mentre il taglio degli occhi e il bianco del sorriso erano
sempre quelli.
- Julius?! -
esclamò con sorpresa l'uomo
tracagnotto.
- Fratello Julius, caro Torquato L'Unghiato -
rispose
scandendo bene il nome col quale voleva essere chiamato il Monaco
Sinc
- Sei diventato un Monaco? -
sbraitò Torquato
L'Unghiato, puntando gli indici muniti di lunghe unghie rosse, contro
Fratello Julius, il quale non disse niente ma si avvicinò a Torquato
L'Unghiato, sorridente e a braccia aperte, mostrando orgoglioso il
suo saio arancione.
Preso dall'ira Torquato L'Unghiato balzò addosso a Fratello Julius
con l'intento di strozzarlo, ma con una mossa fulminea, il giovane
Monaco
Sinc, si chinò sollevandosi con una mano il grande cappuccio sulla
testa e e con l'altra strinse a tenaglia i testicoli del pirata,
immobilizzandolo e rendendolo momentaneamente innocuo. Sconvolto da
quanto gli era appena successo Torquato L'Unghiato proseguì con
passo incerto la sua camminata andando nella direzione contraria a
quella da dove era venuto, mentre Fratello Julius procedeva
tranquillo per la sua strada.
Tutto si svolse in quei cinque minuti abbondanti che ci vollero a
Teofània per scendere in cortile, ora erano tutti e quattro pronti
per recitare la formula magica, le candele erano accese e pronte per
essere unite a formare un'unica fiamma.
- Av'arcurdìv gnicôsa? -
(Vi
ricordate tutto?)
domandò Aziz,
- Proviamo prima con qualcos'altro?
-
propose Arlòt che non era sicuro di ricordarsi tutta la
sequenza.
- Un's po'. - (Non
si può,)
disse Aziz ricordando che quattro persone erano necessarie
solamente per trasformare oggetti molto grandi.
- Rileggiamo bene
insieme il Trasmutarium. -
consigliò Teofània.
-
Rileggiamolo. -
acconsentirono i tre maschi del quartetto,
- Tutto chiaro? -
- Tutto chiaro! -
Ora i
quattro erano pronti, i quattro gatti che fino a quel momento li
avevano ignorati continuando a sonnecchiare sulla polena aprirono gli
occhi e drizzarono le orecchie.
- Ma va là. Vieni qua, Ciò che è
non sarà. Se sarà non è più. Guarda in su. Guarda in giù. Ora
non guardare più! -
La formula magica fu recitata facendo tutti i movimenti previsti,
adesso
Pafol, Aziz, Arlòt e Teofània erano fermi a occhi chiusi e
pensavano intensamente a una motonave.
A fargli aprire gli
occhi fu una voce infantile, davanti a loro si stagliava una
splendente motonave tutta rossa, davanti a essa c'erano i quattro
gatti diventati di una dimensione maggiore e al posto della polena
c'era una bambina in formato gigante.
-Ciao! -
salutò la
strabambina agitando la mano; spaventati, Pafol, Aziz, Arlòt e
Teofània corsero a nascondersi in casa ma la strabambina li seguì
saltellando allegramente insieme ai quattro stragatti.
- Ciao! -
disse di nuovo la strabambina
affacciandosi all'ingresso, mentre i quattro stragatti si erano
intrufolati in casa.
Al secondo saluto della strabambina Pafol
riconobbe l'identica voce che sentiva ogni tanto dentro la sua testa,
- Ciao. -
rispose un po' titubante uscendo da dentro lo
sgabuzzino in cui si era nascosto insieme agli altri tre, la
strabambina e i quattro stragatti gli corsero incontro abbracciandolo
e strusciandoglisi contro.
- Grazie! -
disse la strabambina
schioccandogli un bacio sulla guancia, mentre gli stragatti si
esibivano in un concerto di fusa.
A quel punto Pafol fece segno
agli altri di uscire e anche loro si presero la meritata razione di
affetto.
32
Davanti
a una tazza di latte la strabambina raccontò di essere di un'altra
dimensione come lo erano i quattro stragatti, erano precipitati in
questa dopo essere caduti in un buco transdimensionale fuggendo da un
Babau. Nel passaggio, per un'inspiegabile ragione, mentre i quattro
stragatti erano diventati più piccoli, ma a piacimento potevano
tornare alla loro dimensione originale e avevano mantenuto i loro
straordinari poteri, lei si era trasformata nella polena del galeone
comandato da Torquato L'Unghiato. Per tutto questo tempo, in quanto
oggetto inanimato, aveva perso la possibilità di muoversi e di
parlare; poteva comunicare esclusivamente attraverso il pensiero
entrando nella testa delle persone con le quali interagiva. Fin dal
principio i quattro gatti le erano restati vicini, senza mai farsi
vedere da anima viva, nell'attesa del giorno in cui la polena sarebbe
potuta ridiventare una strabambina e insieme sarebbero potuti tornare
alla loro dimensione.
Quando Pafol arrivò a Saint-Arembage e
su invito di Julius salì sul galeone di Torquanto L'Unghiato, i
quattro stragatti capirono che quello era il momento di agire, così
diedero vita alla tromba d'acqua, il seguito della storia era
abbastanza noto a chi stava ascoltando.
- Ma adesso come fate a
tornare alla vostra dimensione? - domandò Pafol.
- Non
lo sappiamo. -
rispose mogia la strabambina,
- Bisogna cadere dentro a un'altro
buco transdimensionale, ma non sappiamo come sono fatti. -
-
Ció, e cum us fa a savél, an putrì miga andè in zir acsè spiané.
-(Cio,
e come si fa a saperlo, non potrete mica andare in giro messi così)
- Nel laboratorio di mio
babbo! -
gridò inaspettatamente Arlòt,
- Nel laboratorio di
mio babbo, un giorno ho visto un opuscolo che parlava dei buchi
transdimensionali. -
- Sei sicuro? -
gli
domandò Pafol,
- Ne ho un vago ricordo, ma
non saprei dove altro cercare. - rispose Arlòt.
- Andegna prema ch’u’s fèga trop têrd. - (Andiamo,
prima che si faccia troppo tardi)
suggerì Aziz consegnando le chiavi
dell'auto nelle mani di Arlòt. Teofània si offrì di restare in
casa insieme alla strabambina e i quattro stragatti intanto che
Pafol, Aziz e Arlòt andavano a Ozz a recuperare l'opuscolo in
questione.
Quando arrivarono davanti alla Ferramenta Budellazzi
si resero conto di non avere più le chiavi per entrare dentro,
aprire la bottola, scendere la scala a chiocciola, attraversare il
tunnel ed entrare nel laboratorio.
- E adesso? -
disse
Pafol, rivolgendosi agli altri.
- Mo un'gn’ era un camèn in
t'é laboratôri? - (Ma
non c'era un camino nel laboratorio?)
-
Sì, perché? -
- Ohi, ui sarà neca un camè da una
cvêlca pêrt. - (Oi,
ci sarà anche un comignolo da qualche parte.)
I
tre alzarono lo sguardo per cercare di vedere se, oltre le grondaie
delle case di Ozz, si riuscisse a scorgere un comignolo che potesse
essere quello corrispondente al camino che si trovava all'interno del
laboratorio
magico del Signor Budellazzi. Osservarono, ma non riuscirono a
scorgerne nemmeno uno di plausibile, i comignoli infatti stavano
fumando tutti, indice che in quel momento qualcuno stava cucinando,
cosa assolutamente impossibile riguardo al laboratorio. Decisero
quindi di cercare un'altra soluzione per scoprire come erano fatti i
buchi transdimensionali.
Stavano percorrendo la Rumagliolese
tra Kornelja e Fiordargilla quando, fermi a un semaforo rosso, furono
affiancati da uno scooter bianco cavalcato da un uomo vestito del
medesimo colore che con un cenno della mano invitò chi era alla
guida a seguirlo, Arlòt si mise immediatamente all'inseguimento
dello scooter che procedette dentro Fiordargilla finendo per
costeggiare un tratto di Lungo Amone. Qui l'uomo parcheggiò lo
scooter e si levò il casco rivelando un cappello a cilindro bianco;
immediatamente anche Arlòt fermò l'auto e si incamminò sul
rivalino seguendo quell'uomo col cappello a cilindro bianco.
Anche
Pafol e Aziz scesero dall'auto, ma non capivano le intenzioni di
Arlòt, loro infatti non si erano accorti di quell'uomo sullo scooter
e tanto meno dell'uomo col cappello a cilindro bianco lungo il
rivalino. Soltanto quando raggiunsero Arlòt sotto al Ponte delle
Bambocce, non vedendolo più, a Pafol venne un sospetto:
- Vuoi
vedere che ha visto l'uomo col cappello a cilindro bianco? -
disse
ad Aziz che come lui si stava guardando intorno.
- Csa dit? -
(Cosa
dici?)
-
Ricordi cosa ci disse a proposito dell'uomo col cappello a cilindro
bianco il Vecchietto del BOSCO? -
Aziz fece mente locale e poi
cominciò a chiamare:
- Arlòt, Arlòt! -
subito imitato
da Pafol che si rivolgeva soprattutto verso il pilone dove ci sarebbe
dovuta essere una porta che però loro non erano in
grado
di vedere.
Il loro timore era che una volta arrivato nel BOSCO,
Arlòt avrebbe scelto di ingoiare la pillola rossa.
Resosi
conto che le loro grida risultavano vane, mesti se ne tornarono verso
l'auto, le portiere però erano chiuse e le chiavi le aveva rimaste
Arlòt in tasca.
Si avviarono verso una fermata della Corriera
coscienti che una volta arrivati a casa avrebbero dovuto ammettere il
loro fallimento alla strabambina e raccontare a Teofània che Arlòt
era andato nel BOSCO.
33
La
Corriera si fermò a meno di un centinaio di passa dalla casa, Pafol
e Aziz scesero e si incamminarono per raggiungerla, ma nel farlo non
si erano accorti che Fratello Julius era dietro a loro di qualche
passo, anche lui era diretto alla casa,
- Pafol! Aziz! -
li
chiamò poco prima di giungere a destinazione,
- Julius?!
-
esclamarono insieme Pafol e Aziz senza aver l'istinto di
voltarsi
- Fratello Julius. -
precisò il Monaco Sinc
inserendosi tra di loro e abbracciando i fianchi dei suoi vecchi
amici.
Così abbracciati entrarono insieme nella casa; Pafol e
Aziz avevano scordato completamente la tristezza che li aveva
accompagnati fin lì pensando ad Arlòt che era sparito sotto al
Ponte delle Bambocce e al non essere riusciti a scoprire com'è fatto
un buco trans dimensionale. Appena la vide Fratello Julius fu molto
felice di conoscere Teofània,
- Arlòt dov'è? -
domandò
Fratello Julius non avendolo ancora visto,
- Proprio, Arlòt?
-
chiese Teofània rivolgendosi a Pafol e ad Aziz.
I due restarono un attimo silenziosi poi Pafol
tirò su un respirone e cominciò a raccontare tutto quello che era
successo:
- Quando siamo arrivati davanti alla Ferramenta
Budellazzi ci siamo accorti di non avere più le chiavi per entrare,
abbiamo cercato un altro passaggio per raggiungere il laboratorio, ma
non l'abbiamo trovato, così abbiamo deciso di tornare, ma lungo la
strada Arlòt improvvisamente ha deviato verso il Lungo Amone di
Fiordargilla e arrivati vicino al Ponte delle Bambocce è sceso
dall'auto senza dirci niente e poi non l'abbiamo più visto. -
-
Come non l'avete più visto? -
domandò Teofània strabuzzando gli
occhi
- L'era sparì. - (Era
sparito)
rispose Aziz,
- Abbiamo paura che sia
andato nel BOSCO e lì è rimasto -
concluse Pafol.
Teofània
reagì alla notizia rimanendo in silenzio, un silenzio che fu
interrotto dall'arrivo dei quattro stragatti che subito andarono a
fare le feste a Fratello Julius il quale si mostrò poco turbato alla
loro vista.
- Dai! Ci siete anche voi, ma come siete
cresciuti?! - esclamò facendogli
dei grattini dietro le orecchie.
Timidamente la strabambina, che fino a quel momento era rimasta
nascosta, si fece avanti, non avendolo riconosciuto guardò con
curiosità Fratello Julius che ricambiò lo sguardo di curiosità,
- L'è la polena, at arcôrdat dla polena d'e galeón? - (E'
la polena, ti ricordi della polena del galeone?)
disse
Aziz,
- La polena! Quindi che fine ha fatto il galeone?
-
domandò Fratello Julius che non sembrò tanto turbato del fatto
che la strabambina fosse la polena quanto piuttosto incuriosito di
ciò che era successo al galeone.
- Il galeone è diventato una motonave.
- rispose con un tono di
soddisfazione Pafol. -
Sè, cl'è là fora. - (Sì,
che è la fuori)
commentò Aziz indicando
la finestra sul cortile. - Quindi ci
siete riusciti? Come? Quando? -
- Con un incantesimo che abbiamo trovato nel
laboratorio del Signor Budellazzi, l'abbiamo trasformato poco fa. -
raccontò Pafol facendo venire in mente a Fratello Julius che
proprio poco fa lui si era scontrato con Torquato L'Unghiato.
-E int l'incantesum l'è salteda fora neca la
babena e i cvatar gatón. (E
nell'incantesimo è saltata fuori anche la bambina e quattro gattoni)
aggiunse Aziz. -
Ci siete riusciti
a sapere com'è fatto un buco transdimensionale? - chiese a quel
punto la strabambina,
Aziz e Pafol stavano per ammettere il loro fallimento, ma Fratello
Julius sentendo parlare di buco transdimensionale disse:
- Io
lo so, è una delle prime cose che mi sono state insegnate da
Fratello Chj. -
- Davvero? -
domandarono tutti
incuriositi, compresa Teofània che nel frattempo si era alzata a
guardare fuori dalla finestra.
- Sì, i buchi transdimensionali
qui sono simili a degli specchi grandi e vecchi, se si vuole passare
a un'altra dimensione bisogna correrci contro senza esitazione. -
-
Mo tot i spèc? - (Ma
tutti gli specchi?)
chiese Aziz.
- No, non tutti, solo alcuni specchi grandi e
vecchi. Per distinguere i buchi transdimensionali dagli specchi
normali bisogna controllare se lì vicino c'è anche un letto. -
-
Un letto? -
domandò con sguardo perplesso Pafol -
- Sì, un
letto. -
confermò Fratello Julius
- Ma perché? -
intervenì
Teofània, dimostrando particolare interesse per la
spiegazione
di Fratello Julius.
- Perché da sotto al letto sbuca un
pagliaccio pronto a offrire un sacchetto di caramelle, ma non bisogna
accettarle e tantomeno mangiarle perché quelle caramelle non
finiscono mai e hanno il potere di distrarre dallo scopo di correre
contro lo specchio chiunque lo fa. -
I quattro stragatti si
avvicinarono alla strabambina comunicandole qualcosa alla loro
maniera.
-Davvero? -
chiese sottovoce la bambina ai quattro
stragatti, che risposero affermativamente facendo l'occhiolino.
-
Su in soffitta! -
urlò piena di gioia la bambina.
- Dicono
che su in soffitta c'è uno specchio vecchio e grande e lì vicino
c'è anche un letto.
- Bene! Andiamo. -
esclamò Fratello
Julius alzandosi in piedi e invitando tutti quanti a seguirlo.
34
La
soffitta della casa era molto polverosa, probabilmente non ci saliva
qualcuno da innumerevoli anni, Pafol, Aziz e tutti gli altri non si
erano nemmeno accorti che esisteva perché la scala per accedervi era
nascosta dietro a un armadio. Solo i quattro stragatti se ne erano
accorti grazie alle loro sensibilissime vibrisse.
Il primo a
mettere i piedi sui pioli della scala che saliva su in soffitta fu
Fratello Julius, subito seguito da Pafol e da Aziz; dietro a loro con
due balzi salirono su nella soffitta i quattro stragatti e per ultime
salirono la strabambina e Teofània. La soffitta era bassa, lunga e
stretta, nella parete in fondo si vedeva un grande specchio vecchio
e, poco distante, un letto con una coperta che scendeva fino a
sfiorare il pavimento. Fratello Julius suggerì alla strabambina e ai
quattro stragatti di non avvicinarsi lentamente allo specchio per non
correre il rischio di essere distratti dal pagliaccio sotto al letto,
ma di prendere la rincorsa da lì dov'erano.
Pafol, Aziz e
Fratello Julius si fecero di lato per lasciare tutto lo spazio per la
rincorsa alla strabambina e ai quattro stragatti, Teofània rimase
dietro.
Furono attimi di fusa e di abbracci poi la strabambina
e i quattro stragatti cominciarono a correre per tutta la soffitta e
arrivati a pochi passi dallo specchio saltarono sparendo risucchiati
nel buco transdimensionale.
Dietro a loro anche Teofània aveva
cominciato a correre verso lo specchio, ma la sua corsa fu
bruscamente interrotta da un rumoroso rutto proveniente dal piano
inferiore.
- Arlòt! -
urlò di gioia fermando bruscamente
la sua corsa e precipitandosi giù per la scala.
Il
pagliaccio che era sbucato da sotto al letto, ci rimase di stucco,
era la prima volta che qualcuno rinunciava a saltare nello specchio
senza che lui avesse avuto il tempo e il modo di offrire il suo
sacchetto di caramelle, così per consolarsi cominciò a mangiarle
lui stesso.
Appena vide Arlòt, Teofània gli si gettò al
collo baciandolo, accarezzandolo e abbracciandolo a più non posso;
anche Pafol e Aziz scesero dalla soffitta sorpresi del ritorno di
Arlòt dal BOSCO, per ultimo scese Fratello Julius.
- Dove sono
la strabambina e i quattro stragatti? -
chiese Arlòt guardandosi
intorno.
- Sono appena tornati alla loro dimensione. -
rispose
Fratello Julius appoggiato allo stipite della porta alle spalle di
Arlòt.
Arlòt si girò di scatto, sorpreso di sentire la voce
del suo vecchio giovane amico.
- Julius! -
- Fradel Julius.
- (Fratello
Julius.)
specificò
Aziz che aveva tanta voglia di capire una cosa:
- Arlòt, mo
t’ci andé in t'e BOSCO? T’e vèst i tu? - (Arlot,
mai sei andato nel BOSCO? Hai visto i tuoi?)
-
Certo che li ho visti, stanno bene e vi salutano, il prossimo weekend
torno a trovarli insieme aTeofània. -
- Eh? -
intervenne Pafol
sorpreso dall'affermazione di Arlòt, - Ma sei
tornato non puoi mica tornarci, te lo avevamo poi spiegato come
funzionano le pillole. -
gli ricordò.
- Eh! T'an la mandaré
miga da par lì. - (Eh!
Non la manderai mica da sola)
aggiunse
Aziz, indicando Teofània.
Allora Arlòt spiegò cosa era
successo: - Ieri
sera mentre ero al cesso con la scatoletta contenente le due pillole
tra le mani, ho avuto un'illuminazione e mi sono ricordato della
frase scritta in fondo all''ultima email di Fratello Chj, vi
ricordate cosa c'era scritto? -
- An m'arcôrd gnãca se
incù oja za ‘dbu . - (Non
mi ricordo neanche se oggi ho già bevuto)
rispose
Aziz che nel dubbio si stava versando un'altro bicchiere di vino.
- In fondo all'ultima email di Fratello Chj c'era scritto: non è
vero che c'è solo una pillola rossa o solo una pillola blu. -
-
Cioè? -
- Se le pillole vengono ingoiate contemporaneamente,
l'effetto si annulla! -
- Si annulla? -
- Esatto! Si può andar
via dal BOSCO e tornarci ed è quello che farò il prossimo fine
settimana insieme a Teofània così le faccio conoscere mamma e
babbo. -
disse con evidente entusiasmo Arlòt.
- Os-ci! a
savél prema. - (Urca!
a saperlo prima)
- Ma per arrivare ai tuoi che giro hai fatto te? -
- Ah boh! È
stato tutto strano, prima ho visto sto tipo vestito di bianco che mi
ha fatto il cenno di seguirlo, poi mi sono trovato in una specie di
galleria stretta e buia e all'improvviso in una stazione che non
avevo neanche la minima idea che c'era. -
- Ohi, fena a cvè l'è
pracìs. - (Ohi,
fino a qui è uguale.)
lo interruppe Aziz.
- Poi è arrivato un treno strano e
ci sono salito su, un viaggio che vedrai... -
raccontò
Arlòt rivolgendosi a Teofània per darle l'idea di qualcosa
d'indescrivibile.
- Fino a qui la conosciamo anche
noi, ma nel BOSCO chi hai incontrato? -
domandò
Pafol curioso di sapere se anche lui avesse incontrato gli stessi
Traghettatori.
- Ah ero appena arrivato che mi si è
presentato davanti un bambinetto che sarà stato alto mezzo metro e
mi ha chiesto: cerchi qualcuno o qualcosa? Non ho fatto in tempo a
rispondergli che mi ha preso per mano e mi ha portato giù per una
scala mobile; lì non c'ho capito granché, ma poi è arrivato uno su
un sidecar che mi fa: Sali. -
- E pu?
- (E
poi?)
- E poi siamo passati per questa strada tutta di pietre
dorate e siamo arrivati a una casa dove abita uno che si fa chiamare
il Vecchietto del BOSCO, che ha attaccato a raccontarmi delle storie,
poi, quando gli ho chiesto di mio babbo, fa: Gisto? Mi sa che la
ferramenta non era il suo lavoro, non ne ha ancora aperta una qua.
-
- Cun ‘e sidecar, e nö tota a pè la stre per la ca d'e Vcèt,
pataca! - (Con
il sidecar, noi tutta a piedi la strada per la casa del Vecchietto,
patacca!)
disse Aziz toccando la spalla di Pafol, il quale era
curioso di sapere da Arlòt:
- Immagino che
adesso che sai dove stanno i tuoi non dovrai più fare tutto quel
giro la prossima volta che ci vai. -
- Non so mica come ci sono arrivato, ero lì col Vecchietto che mi
aveva offerto da fumare, non so cos'era, ma non era tabacco, mi sono
trovato davanti a casa dei miei. l'ho riconosciuta perché usciva
fuori l'odore dell'arrosto che faceva sempre mamma. -
- Non si
può trovare da soli la strada. -
interruppe
Fratello Julius, -
Me lo ha insegnato Fratello Chj, c'è sempre l'uomo col
cappello a cilindro bianco da incontrare. -
- Cioè? -
questa volta fu
Teofània a parlare, incuriosita dalla prospettiva di poter andare in
quel luogo misterioso che era il BOSCO. -
- Non c'è altra
possibilità per andare nel BOSCO, se andate sotto al Ponte delle
Bambocce per conto vostro non trovereste nemmeno la porta. -
-
Allora come faccio a ritornare dai miei? -
domandò Arlòt un po' affranto. -
- Prova a sederti
vicino al Ponte delle Bambocce e aspetta, l'uomo col cappello a
cilindro bianco prima o poi lo vedrai passare da quelle parti.
-
rispose Fratello Julius accomiatandosi momentaneamente dalla
compagnia per passare un po di tempo in preghiera solitaria.
35
Il
mattino dopo, il primo a svegliarsi fu Fratello Julius che, col cielo
che cominciava appena a schiarirsi, fece la sua rituale meditazione
dinamica. Aziz si alzò poco dopo costretto dalla necessità di
recarsi al gabinetto per non farsela addosso, il cigolio del suo
letto svegliò anche Pafol che dormiva nella stessa camera. In quella
a fianco invece Arlòt e Teofània continuavano a dormire beatamente
avvinghiati l'uno all'altra. Quando Aziz tornò dal gabinetto vide
Pafol alzato intento a rivestirsi.
- Incù csa fasègna? -
(Oggi
cosa facciamo?)
chiese Aziz mentre si sistemava i pantaloni.
Pafol non rispose, uscì dalla camera e
andò a bussare a quella dove dormivano ancora Arlòt e Teofània.
- Sveglia! -
dall'altra parte della porta si sentì il mugugno
di chi era stato svegliato di soprassalto mentre era nel pieno di un
bel sonno. Dopo un po' di tempo si ritrovarono tutti quanti
giù in cucina attorno al tavolo, compreso Fratello Julius che nel
frattempo aveva preparato la colazione per tutti quanti.
Tutti
erano intenti a spalmarsi un po' di marmellata sulla propria fetta
biscottata o a sorseggiare qualcosa di caldo, a parte Aziz che
preferiva sempre cominciare la giornata in maniera frizzante e
soprattutto alcolica.
Fu proprio Aziz a ripetere per tutti gli
altri la stessa domanda che poco prima aveva fatto a Pafol senza
ricevere risposta.
- Incù csa fasègna? - (Oggi
cosa facciamo?)
Gli altri smisero di fare quello che stavano facendo poi tutti
rivolsero lo sguardo verso Fratello Julius che stava continuando a
sordseggiare una tisana aromatizzata.
-
Io oggi vado a trovare Fratello Chj. -
rispose Fratello Julius
distaccando leggermente la tazza dalla bocca.
- Vai già? -
- Devo andare, mi ha mandato un messaggio, pare
ci siano cose importanti all'orizzonte. -
- Che cose? -
chiese Teofània incuriosita,
- Non lo so, ma se Fratello Chj
vuole vedermi deve essere importante. -
- E noi, cosa facciamo? -
domandò Arlòt ancora un po'
addormentato.
- Voi non avete un uomo con un cappello a
cilindro bianco che vi aspetta al Ponte delle Bambocce? -
rispose
Fratello Julius,
- Voi due invece... -
disse
rivolgendosi a Pafol e ad Aziz
- Penso sappiate benissimo di cosa dovete occuparvi -
e lo disse guardando fuori dalla finestra
la motonave in cortile. Poi bevuta l'ultima sorsata
uscì dalla casa salutando tutti quanti.
- Ci si vede alla
prossima gente! -
Qualche minuto dopo, appena il tempo di
preparare due tre cosette, anche Arlòt e Teofània uscirono dalla
casa,
- Allora andremmo anche noi, devo dire qualcosa a
babbo? - - Salutacelo. -
risposero Aziz e
Pafol con un velo d'invidia per la possibilità che aveva Arlòt di
tornare nel BOSCO.
Rimasti soli Pafol e Aziz, intanto che
sparecchiavano commentarono tra di loro:
- Zerta che Julius,
pardó, Fradel Julius l'è cambiè. -
(Certo
che Julius, pardon, Fratello Julius è cambiato.)
- Sì, è cambiato, un po' mi manca il
piccolo Julius. - Poi insieme uscirono
fuori in cortile a guardare la motonave, restarono lì a contemplarla
per un tempo indefinito interrotto solo dal commento che fece Aziz:
- Bela patachêda fè l'incantesum acve ch'u n’gnè gnãca un
sèc pì d'acva. - (Bella
pataccata fare l'incantesimo qui che non c'è neanche un secchio
pieno d'acqua.)
e al quale Pafol non rispose, forse perché non c'era nessuna
risposta da dare.
Intanto il cielo cominciò
a rannuvolarsi e in brevissimo tempo cominciarono a cadere gocce di
pioggia grosse come duroni. Aziz se n'era già ritornato dentro casa
mentre Pafol, nonostante la pioggia che lo stava infradiciando tutto,
continuava imperterrito a restare fuori ad ammirare la motonave.
-
Mo dai, ven dëtar! - (Ma
dai vieni dentro!)
lo invitò invano Aziz.
- Guarda se è bella. -
disse
Pafol dall'altra parte del vetro della finestra.
- Sè, l'è
propi bèla. - (Sì,
è proprio bella.)
rispose Aziz con un velo di commozione.
Restarono per un
po', uno fuori l'altro dentro, in silenzio a guardare la motonave e
la pioggia che scendeva copiosa e diretta. Non tirava un alito di
vento.
36
In
tutto il resto della GRAN MADR quel giorno era sereno, specialmente a
Fiordargilla dove erano diretti Arlòt e Teofània splendeva un sole
caldo, quasi da scottarsi.
Fiordargilla apparve subito più
frequentata del solito tanto che Arlòt e Teofània furono costretti
a lasciare l'auto parecchio fuori dal centro storico e a stento
riuscirono a salire su un mezzo pubblico che li portò presso le
piazze centrali. Lì si resero conto che erano finiti in una delle
varie manifestazioni enogastromusicali ammantate di tradizionalismo
storico che periodicamente si svolgevano a Fiordargilla.
Li
colpì l'odore della carne sulla brace, il ribollire dell'acqua
pronta ad accogliere chili di pasta, l'effluvio dell'alcool che
veniva versato nei gotti in gran quantità e poi musica in ogni
angolo e per tutti i gusti.
Arlòt e Teofània cercando da
subito qualcuno che portasse un cappello a cilindro bianco, decisero
di avvicinarsi il più possibile al Ponte delle Bambocce. Furono però
presto travolti dalla folla che sopraggiungeva come una mandria di
bufali in preda al panico in direzione opposta.
- Cosa succede?
-
chiese Teofània a una signora con la quale aveva avuto un
brusco impatto.
- Si stanno menando di brutto! -
rispose la
signora senza voltarsi indietro.
Arlòt dall'alto della sua
stazza provò a guardare oltre la gente che gli correva incontro e
scorse a poche decine di metri dei tipi che se le davano di santa
ragione brandendo ogni cosa che si trovasse alla loro portata e nella
foga spesso e malvolentieri a rimetterci erano
gli
inermi avventori dei locali dislocati lungo la strada.
Il
nucleo della rissa si stava avvicinando come un tornado alle piazze
centrali di Fiordargilla, alcune guardie tentavano inutilmente di
frapporsi mostrando l'alt con la paletta.
A dar vita alla rissa
erano i pirati al soldo di Torquato L'Unghiato, che completamente
incuranti di tutto e di tutti continuavano a perpetrare la loro
devastazione.
L'altruismo di Arlòt lo invitava a intervenire,
ma malgrado la robusta presenza non era affatto un tipo abituato a
usare le mani contro qualcuno. Nel caos adocchiò una spillatrice di
birra abbandonata dai gestori che se l'erano data a gambe e, vedendo
che la situazione stava precipitando, si buttò con la bocca sotto al
rubinetto e lo azionò facendosi cadere nel gargarozzo copiose
quantità di bionda e schiumosa birra. Si rialzò nell'istante esatto
nel quale uno dei rissaioli, con un viso malforme e spaventoso gli
stava sbraitando qualcosa di incomprensibile in faccia. La risposta
di Arlòt fu un potente rutto che pettinò all'indietro la chioma
scapigliata di Sgrunz e fermò per un istante gli schiamazzi; un
altro rutto più forte e prolungato di Arlòt interruppe per
pochissimi secondi la devastazione che riprese subito con la stessa
violenza di prima, ma intanto era passata oltre a dove si trovavano
Arlòt e Teofània che a quel punto avevano sgombra la strada per
raggiungere il Ponte delle Bambocce.
L'istinto femminile di
Teofània la faceva tinconare fermando il suo sguardo verso le
vetrine dei negozi, soprattutto quelle che esponevano manichini in
pose plastiche per mostrare l'ultima moda mentre Arlot cercava di
trascinarla via con pazienza. Una vetrina più della altre incuriosì
Teofània: era quella di un negozio che vendeva eleganti completi
maschili, in particolare un manichino posizionato un po' in disparte
che era vestito tutto di bianco e in
testa
sfoggiava un cappello a cilindro. Teofània ne fu attratta perché
per un'attimo le parve di vedere quel manichino farle un cenno con la
mano.
- Ehi, vieni a vedere! -
esclamò ad Arlòt
strattonandolo verso di sé
- Cosa c'è? -
domandò Arlòt
non notando nulla di interessante in quella vetrina
- Quel
manichino là. -
Teofània indicò il manichino vestito di bianco
che proprio in quel momento aveva cambiato posizione andando a
mettere la mano destra sulla tesa del cappello a cilindro.
- Si
è mosso! -
sussurrò tra lo spaventato e l'eccitato Teofània.
Arlòt mostrò uno sguardo di compatimento e poi fece per andare
avanti; Teofània che aveva gettato un'altra volta lo sguardo alla
vetrina non vedendo più il manichino, le si smorzò un urlo in gola.
Subito dopo entrambi videro un uomo vestito esattamente come il
manichino e col cappello a cilindro bianco in testa uscire dal
negozio a bordo di un monopattino e dirigersi agilmente verso il
Ponte delle Torri.
Iniziarono a rincorrerlo, Arlòt era più
veloce di Teofània e la spronava ad accelerare il passo cercando
allo stesso tempo di non perdere di vista l'uomo col cappello a
cilindro bianco che nel frattempo aveva svoltato lungo il rivalino
che conduceva al Ponte delle Bambocce.
Giunti all'inizio del
Ponte delle Torri, Arlot e Teofània si resero conto che l'uomo col
cappello a cilindro bianco aveva abbandonato il monopattino e aveva
proseguito a piedi; non sembrava andare molto veloce e da quella
distanza riuscivano a tenerlo d'occhio benissimo.
L'uomo
col cappello a cilindro bianco arrivato nei pressi del Ponte delle
Bambocce scese il sentiero che portava sotto al primo pilone e come
al solito sparì dalla vista.
Teofània che aveva preceduto
Arlòt nell’inseguimento cominciò a guardarsi intorno non capendo
dove l'uomo col cappello a cilindro bianco potesse essere andato.
- Non c'è più, l'abbiamo perso. -
Arlòt che in quella
situazione si era già trovato la prima cosa che fece fu cercare la
porta.
- Teofània, guarda qua. -
disse mostrando una porta
di legno appoggiata al pilone del ponte.
- Ora stammi vicino, da
ora in avanti quello che succederà non l'hai mai visto e non lo hai
nemmeno mai immaginato. -
detto questo aprì la porta e trascinò
con sè Teofània nel cunicolo illuminandolo con la fiamma tremolante
di un accendino.
37
Mentre
camminavano nel cunicolo e Teofània gli stringeva forte la mano per
non perdere il contatto, Arlòt la rassicurava e la sorprendeva
anticipando quello che da lì a poco sarebbe accaduto.
- Tra un
po' ci ritroveremo in una stazione e a un certo momento dal nulla
arriverà un treno ... -
A ogni descrizione aggiuntiva di Arlòt,
Teofània annuiva, ma ogni volta che ciò che le era stata
preannunciato si avverava non poteva evitare di avere un sussulto e
stringeva ancora più forte la mano di Arlòt per essere sicura di
non perdersi.
Tutto sembrava procedere così come stava
raccontando Arlòt, persino il comportamente dell'uomo col cappello a
cilindro bianco era esattamente quello che Arlòt aveva descritto
pochi attimi prima. Quando il treno arrivò nel BOSCO, l'uomo col
cappello a cilindro bianco andò verso la solita quercia per sparirvi
dietro, Arlòt con Teofània sempre vicina, lo seguì e scesero la
scala mobile; fu lì in fondo che le cose cominciarono a cambiare, ad
accoglierli infatti c'era il Vecchietto del BOSCO.
- Salve Libero,
tu e la signorina siete pregati di seguirmi là. -
e con un ampio
gesto puntò la zanetta verso là.
Arlòt guardò con due occhi
sbarrati Teofània facendole capire che c'era qualcosa di diverso
dall'altra volta.
Là era un passaggio segreto, conosciuto
esclusivamente dal vecchietto del BOSCO per arrivare immediatamente a
casa sua, in fondo alla strade lastricata di pietre dorate.
Arrivati
alla casa il vecchietto del BOSCO, li fece accomodare a sedere su un
divano poi, dopo un po', chiese ad Arlòt di seguirlo, lui soltanto,
in una piccolo studiolo.
- C'è un problema Libero, c'è un
grosso problema. -
esordì
il Vecchietto del BOSCO.
- Ingoiando contemporaneamente sia la
pillola blu che la pillola rossa hai creato un crepa tra questa parte
e quell'altra parte, la parte da dove vieni e da dove sono venuti
tutti gli altri che ora sono da questa parte. Sì, compresi i tuoi
genitori Libero, tutta gente che quando è stato il momento ha
ingoiato la pillola rossa scegliendo di rimanere per sempre qui e non
tornare mai più da dove erano venuti. Certo, ci sono stati molti che
invece hanno scelto di ingoiare la pillola blu e tornare indietro, ma
sapendo di non poter mai più ritornare nel BOSCO, perché così
vanno le cose e così devono andare. -
Poi il vecchietto del BOSCO
fece una pausa più lunga delle altre.
- Tu ora sei diventato
immune al potere delle pillole, ma dovrai assolutamente rimanere
l'unico, nessun altro, compresa la tua amica lì fuori, potrà
sfruttare questo privilegio. -
Il Vecchietto del BOSCO fece
un’altra pausa mentre Arlòt continuava ad ascoltare in silenzio
con le braccia conserte e lo sguardo contrito.
- Immagina se da
ora in avanti chiunque arriva qui nel BOSCO potesse andare e tornare
a proprio piacimento, da questa parte all'altra e viceversa, senza
nessun problema: cambierebbe tutto e non avrebbe più senso. -
Mentre
il Vecchietto del BOSCO fece l'ultima pausa, Arlòt prese timidamente
il coraggio per aprire bocca,
- Ma è stato Fratello Chj a
scrivermi che... -
- Fratello Chj? -
Lo interruppe
immediatamente il vecchietto del Bosco,
- Ora ho capito tutto, ma
tu promettimi che rimarrai l'ultimo ad avere questo privilegio,
promettimelo Libero! -
Così dicendo riaccompagnò Arlòt da
Teofània e li congedò non prima di aver offerto a loro da fumare.
Arlòt
e Teofània, prima di quanto potessero immaginare arrivarono al
livello in cui abitavano i Budellazzi.
I Budellazzi erano
entusiasti di conoscere la morosa del loro figlio e da giorni si
erano preparati per quel momento; la Lice aveva già pronta una cena
con ogni bendidio, erano passati tanti anni dall'ultima volta che
aveva fatto da mangiare a suo figlio, ma ricordava ancora che era uno
di buon appetito e sperava che anche la sua compagna fosse sulla
stessa lunghezza d'onda.
Il Signor Budellazzi dal canto suo si era
prodigato nel sistemare la casa, in particolare un'improvvisata
stanza degli ospiti.
- Babbo! Mamma! -
urlò pieno di
entusiasmo Arlòt appena vide la casa dove abitavano i suoi genitori,
la porta si spalancò e si trovarono di fronte gli uni agli altri;la
prima a parlare fu la Lice
- Entrate e accomodatevi a tavola che è
quasi pronto. -
Attorno a una tavola imbandita a festa i quattro
cominciarono a conoscersi reciprocamente; a tenere le redini del
discorso erano soprattutto le due donne incuriosite l'una verso
l'altra.
Arlòt e suo babbo invece intervenivano in maniera
parsimoniosa aspettando l'occasione buona per ritirarsi in disparte e
parlare di una questione che riguardava loro due e dei loro amici da
quell'altra parte.
A pancia piena e con ancora qualcosina di
commestibile in tavolo così come esige la regola della buona
ospitalità, anche le chiacchiere sembravano arrivate al capolinea.
Fu in quel momento che la Lice per ravvivarle propose a Teofània di
preparare insieme la prossima cena per quando lei e Arlòt sarebbero
tornati a trovarli nel BOSCO.
Teofània fu gratificata da tale
proposta e acconsentì più che
volentieri,
un po' meno entusiasta della prospettiva apparì Arlòt, almeno
all'occhio esperto del Signor Budellazzi che, prima che la situazione
potesse incrinarsi intervenì sviando il discorso verso altri
argomenti.
- Libero, vieni con me che voglio farti vedere una
cosa. -
dicendolo, il Signor Budellazzi prese letteralmente sotto
braccio suo figlio costringendolo ad alzarsi da tavola.
Insieme i
due maschi scesero una scala che portava al piano interrato della
casa; davanti a una porta chiusa con un catenaccio il Signor
Budellazzi aprì delicatamente il lucchetto che lo bloccava e fece
entrare per la prima volta qualcuno nel suo nuovo
laboratorio.
Assomigliava tanto al laboratorio ad Ozz e Arlòt
rimase senza fiato, fermo sotto lo stipite della porta.
- Dai,
vieni dentro e chiudi la porta delicatamente. -
il Signor
Budellazzi prese due sedie e le pose una di fronte all'altra il mezzo
al laboratorio.
- Accomodati. -
Arlòt si sedette continuando a
volgere lo sguardo in ogni direzione, cercando di carpire tutti i
particolari.
- Allora? -
il Signor Budellazzi quando voleva
cominciare un discorso serio con suo figlio esordiva sempre così.
-
Allora? -
Arlòt cominciò a raccontare a suo babbo che Teofània
non avrebbe dovuto ingerire contemporaneamente le due pillole perché
il vecchietto del BOSCO lo aveva proibito, soltanto che Teofània
questo non lo sapeva ancora.
- Figlio mio, bisogna che glielo dici
-
- Sì, ma hai visto come si sono prese bene lei e la mamma? -
-
Ho visto sì, possiamo cercare di rimandare il più possibile la
vostra partenza, però prima o poi arriverà il momento di parlarne,
tu cerca di farlo con Teofània che alla mamma ci penso io. -
Il
Signor Budellazzi si alzò di scatto dalla sedia e si diresse verso
un cassetto dal quale prese un foglio scritto a mano di suo pugno,
-
Anch'io ho un problema. -
- Cosa? -
reagì con stupore Arlot
alzandosi in piedi anche lui
- C'è una cosa che mi manca qui per
completare l'esperimento che sto portando avanti, ed è chiusa in una
scatola a Ozz.-
38
Arlòt
e Teofània si trattennero dai Budellazzi per alcuni giorni, ma poi
arrivò il momento di andarsene perché Arlòt doveva fare una certa
commissione per suo babbo. Teofània si trovò così per la prima
volta ad affrontare la questione della pillola rossa e della pillola
blu.
- Allora le devo ingoiare contemporaneamente, giusto?
-
domandò rivolgendosi ad Arlòt.
Arlòt a quel punto fu
costretto a svelare a Teofània la promessa che aveva fatto al
Vecchietto del BOSCO, dal canto suo nemmeno il Signor Budellazzi
aveva trovato ancora l'occasione di informare sua moglie della
situazione delicata e la reazione delle due donne non fu per nulla
benevola nei confronti dei due uomini.
Teofània turbata dall'idea
di essere costretta a scegliere se prendere la pillola rossa oppure
la pillola blu, andò a rinchiudersi nella cameretta, la Lice invece
mandò via da tavola figlio e marito invitandoli a tornare da dove
erano venuti.
-Te va, va a cagare. -
disse il Signor Budellazzi
ad Arlòt, facendogli l'occhiolino. Arlòt non fece tanto caso a ciò
che gli aveva appena detto suo babbo e appena entrato nella
cameretta, non vedendo Teofània ingoiò le due pillole,
contemporaneamente.
Arlòt si trovò nuovamente sotto al Ponte
delle Bambocce a Fiordargilla; insieme a lui c'era anche Teofània
che sdraiata sul letto al chiuso della cameretta aveva preso la
decisione di ingoiare soltanto la pillola blu, confessando così di
aver poca voglia di relazionarsi eternamente con la suocera.
Insieme
si diressero verso l'auto di Arlòt attraversando una Fiordargilla
molto diversa da come l'avevano lasciata, deserta e desolata, ancora
con i postumi del precedente giorno di festa.
C'erano soltanto i
pirati che un po' malconci bivaccavano ai margini delle piazze
centrali; alla vista di Arlòt e Teofània, Sgrunz brontolò qualcosa
e tentò un'imitazione maldestra del rutto di Arlòt, gli altri si
alzarono e andarono verso Arlòt ignorando Teofània che si era
fermata a osservare distrattamente uno stormo di piccioni che
volteggiava armoniosamente tra la scalinata della cattedrale e le
logge del palazzo di fronte.
Squalo arrivato a pochi centimetri da
Arlòt cominciò ad annusarlo girandogli intorno; intanto anche gli
altri si erano avvicinati ad Arlòt squadrandolo dalla testa ai
piedi, in particolare Sgrunz si intestardì a osservarlo in
faccia.
Non era una bella situazione per Arlòt che, senza una
pinta di birra a portata di mano, aveva poche possibilità di uscire
da quella situazione. Per sua fortuna i pirati non avevano ben chiaro
che cosa volevano fare ad Arlòt e cominciarono a discuterne tra
loro.
Dalle parole passarono rapidamente ai fatti, nel senso
che cominciarono a darsele di santa ragione, Arlòt riuscì ad
approfittare di quel parapiglia correndo incontro a Teofània che
continuava a guardare i piccioni svolazzare e le urlò:
- Vai!
Vai! Vai! -
incitandola mentre marciava di buona lena verso
l'automobile.
Arrivati all'auto si chiusero dentro e senza dirsi
nulla cominciarono ad amoreggiare senza accorgersi che Spugna
abbandonando la rissa li aveva seguiti fin lì e proprio nel pieno
dell'amplesso aveva cominciato a picchiettare sul parabrezza.
-
Hei, voi là dentro. -
Arlòt si bloccò di scatto, ma Teofània
lo invitò a continuare quello che stava facendo prendendogli la
testa tra le mani e spingendola nel cavo del suo seno,
-
Hei, voi là dentro. -
insistette l'anziano pirata.
- Mi chiamo
Spugna, avete per caso visto in giro il mio capitano? -
Ignorando
la bizzarra domanda che proveniva oltre il finestrino dell'auto Arlòt
e Teofània continuarono a darci dentro con crescente entusiasmo fino
a raggiungere l'orgasmo simultaneo.
Mentre si ricomponevano, Arlòt
notò finalmente quel rubicondo vecchietto vestito alla piratesca che
di là dal vetro continuava a ripetere.
- Mi chiamo Spugna, sono
un pirata, e dall'altra sera non trovo il mio capitano, l'avete
visto? -
- Cosa? chi? -
domandò Arlot senza tirare giù il
finestrino
- Torquato L'Unghiato, lo avete visto? -
Nell’udire
quel nome, Arlòt si rese conto della situazione nella quale si erano
cacciati e partì a razzo senza badare alla direzione, agli incroci e
agli autovelox.
Si ritrovarono così da qualche parte ai margini
della GRAN MADR con il serbatoio della benzina completamente a
secco.
- E Adesso? -
chiese Teofània con espressione di
rimprovero.
- I pirati, quelli erano i pirati! Torquanto
L'Unghiato è da qualche parte qui nella GRAN MADR; bisogna avvisare
gli altri. -
- Chiamali. -
disse Teofània indicando il
telefonino appoggiato vicino alla leva del cambio.
- Scarico.
-
mugugnò Arlòt appena guardò lo schermo.
- Pure quello.
-
sibilò Teofània scendendo dall'auto per vedere dove si
trovavano.
Intorno
a loro solo banchi di nebbia, campi di patate e campi di spagnera,
poco più in là si intravedevano le sagome di case basse con radi
campanili che svettavano al di sopra dei tetti; capirono di trovarsi
oltre Labassa.
Arlòt s'incamminò per cercare un po' di benzina
lasciando Teofània in attesa; dopo pù di mezz'ora tornò con una
tanica piena di carburante, delicatamente la riversò dentro il
serbatoio dell'auto cercando di disperderne il meno possibile.
-
Adesso bisogna che vai ad avvisare gli altri che Torquato L'Unghiato
e i suoi pirati sono in giro per la GRAN MADR. Ti accompagno alla
stazione più vicina. Io invece devo andare a Ozz per una cosa che
serve a mio babbo, dì agli altri che starò via per un po'. -
39
Quando
Teofània scese alla fermata più vicina vide che sulla casa ci stava
piovendo sopra e pioveva soltanto lì sopra; una grossa nuvola scura
continuava a riversare sopra la casa e al giardino gocce d'acqua che
avevano formato pozzanghere ormai alte una spanna.
Cercando di
bagnarsi il meno possibile corse alla porta bussando per farsi
aprire. Aziz e Pafol non sentirono niente perché incantati a
guardare la pioggia che cadeva sulla motonave.
- Aprite! -
Gridò
Teofània ormai fradicia
Finalmente le fu aperto da Aziz stupito
di vederla arrivare da sola.
- Ma da quant'è che piove qui?
-
domandò Teofània mentre cercava di asciugarsi.
Pafol e Aziz
le raccontarono che stava piovendo da quando lei e Arlòt erano
andati via e rimasero sorpresi nell'apprendere che stava piovendo
soltanto sopra le loro teste, loro credevano che il maltempo fosse
per tutta la GRAN MADR.
Teofània che nel frattempo era riuscita
ad asciugarsi, si era messa ai fornelli a preparare una zuppa calda
per lei e per quei due che non la smettevano di andare avanti e
indietro tra la porta e la finestra.
- Ma chissà cosa avrà da
fare Arlòt. -
pensava mentre assaporava la sapidità del brodo in
ebollizione.
Arlòt le aveva solo detto che doveva andare a Ozz
per suo babbo e che sarebbe stato via per un po', non aveva aggiunto
altro e lei non aveva fatto in tempo a chiederglielo perché lui era
subito ripartito via appena l'aveva fatta scendere davanti alla
stazione di Labassa-Ialfunsè.
- Venite che è pronto. -
urlò
Teofania mentre metteva il pentolone con la zuppa in mezzo
alla
tavola apparecchiata.
- Et sintù Arlot? - (Hai
sentito Arlot?)
domandò
Aziz tra una cucchiata e l'altra.
- Macchè, ha il telefonino
scarico e il suo caricabatteria l'ha lasciato là. -
rispose
sconsolata Teofània indicandolo riposto in un cestino di
vimini.
Arlòt intanto era arrivato ad Ozz davanti alla
saracinesca abbassata della ferramenta con il preciso scopo di
recuperare ciò che era contenuto in una scatola, precisamente una
scatola di latta di quelle che in origine contenevano biscotti,
quelle scatole con decorazioni natalizie che si regalano proprio in
occasione delle feste.
Non sapeva dove cercare quella scatola, in
bottega, in casa oppure giù nel laboratorio, suo babbo non gli aveva
detto dove l'aveva lasciata l'ultima volta. Entrò in casa scortato
dagli occhi indagatori delle attempate vicine di che si erano fatte
mille congetture sull'improvvisa scomparsa dei Budellazzi. In breve
davanti all'entrata della Ferramenta Budellazzi si formò un
capannello di curiosi che si aspettavano l'imminente
riapertura.
Arlòt cominciò a cercare proprio dalla bottega, però
non aprì la saracinesca, si limitò ad accendere i neon per vedere
un po' meglio,
guardò scansia per scansia, ma della scatola di
latta non c'era l'ombra. D'altra parte era improbabile si trovasse
lì, di solito suo babbo era molto preciso e metodico nella gestione
della ferramenta e tutto quanto era rigorosamente in tinta unita, una
scatola di latta con decorazioni natalizie sarebbe saltata subito
all'occhio; Arlòt allora decise di passare a perlustrare
l'appartamento.
Cominciò dal piccolo atrio, poi passò
immediatamente al tinello dove passavano la maggior parte del tempo
trascorso insieme; aprì le ante di tutti i mobili e anche i
cassetti, trovò tazzine da caffè di
ogni
fattura, posate d'argento e posate usa e getta, servizi di piatti in
peltro e in ceramica, decine di bicchieri originariamente contenitori
di chissà quale crema spalmabile, ma della scatola di latta non
c'era traccia.
Non si trovava neppure nascosta dietro assurdi
soprammobili ricordo di antiche gite o invischiata nelle ragnatele
che ragni domestici avevano filato come festoni per un party di
halloween.
Arlòt decise così di passare alla minuscola cucina;
aprì tutti i pensili che c'erano e pure il frigorifero da cui uscì
un tanfo di marcio e di muffa che lo indusse a chiudere
immediatamente lo sportello e a trattenere con fatica un conato di
vomito.
Arlòt era quasi certo di poterla trovare in cucina quella
scatola di latta, era il posto più ovvio dove trovare una scatola di
latta che aveva contenuto dei biscotti, ma niente.
Pensò di
passare in rassegna la camera dei suoi dimenticando che il suo babbo
le notti le passava sempre giù al laboratorio e la camera era
rimasta esattamente come il giorno in cui la mamma sparì, chiusa a
chiave e la chiave smarrita chissà dove. Gli rimaneva da cercare
soltanto nella sua cameretta.
Arlòt aprì la porta della sua
cameretta dopo tanto tempo che non ci entrava, il letto era disfatto
come al solito, i panni usati buttati a casaccio un po' su una sedia
e un po' per terra, nello stereo ancora l'ultimo cd metal, ascoltato
per caricarsi prima di un torneo di rutti; per il resto varie pile di
fumetti.
Arlòt ivece di mettersi a cercare la scatola di latta si
sdraiò sul letto, prese il primo fumetto a portata di mano e
cominciò a leggerlo, la stanchezza prese presto il sopravvento e si
addormentò.
A chilometri di distanza anche Pafol, Aziz e Teofània
si erano addormentati al suono della pioggia che ancora continuava a
scrosciare.
40
Chi
non dormì quella notte fu Fratello Julius arrivato poche ore prima
nel luogo indicato da Fratello Chj, non si trattava di Monte Arcanzal
ma di un luogo un po' più a sud, Monte Samaré, probabilmente il
luogo più spirituale di tutta la GRAN MADR nonostante dominasse la
più mondana delle sette città sorelle, Aremina.
In cima a Monte
Samarè c'era una grotta e lì Fratello Chj aveva dato appuntamento a
Fratello Julius che fu accolto come la prima volta che arrivò al
Monastero Sinc di Monte Arcanzal.
Fratello Chj accompagnò
Fratello Julius nel ventre della grotta e arrivati in una piccola
camera lo invitò a sedersi; lì presente c'era già un altro Monaco
Sinc.
- Giro di presentazione. -
propose Fratello Chj agli altri
due Monaci Sinc che sedevano davanti a lui
- Ciao, sono Fratello
Chj. -
disse togliendosi il grande cappuccio dalla testa, - Ciao
sono Fratello Julius. -
rispose il secondo Monaco Sinc facendo lo
stesso gesto,
- Ciao sono Sorella Luna. -
disse il terzo Monaco
Sinc rivelando di essere una Monaca Sinc,
per la precisione una
giovane Monaca Sinc afrumagliola.
Fratello Julius non si stupì
dell'esistenza di una Monaca Sinc,
però sentì muoversi dentro un
qualcosa a cui non riusciva a dare un nome.
Durante la recita
del rosario Fratello Julius faticava a concentrarsi sulla preghiera e
i suoi occhi non facevano altro che posarsi di sbieco sul saio
arancione di Sorella Luna la quale da par suo non
era
per niente rimasta insensibile alla presenza di Fratello Julius, in
fondo erano due giovani Monaci Sinc e cosa da non trascurare entrambe
d'origine afrumagliola.
Durante la notte Fratello Julius non
chiuse occhio pensando a Sorella Luna; non faceva altro che rigirarsi
di continuo faticando a trovare una posizione comoda grazie alla
quale poter dormire.
Il mattino presto la voce cantilenante di
Fratello Chj convocò i due Monaci Sinc a inziare la giornata con la
meditazione dinamica, poi dopo parca colazione i Monaci Sinc si
riunirono nuovamente in cerchio come la sera prima.
Questa volta
Fratello Chj disse semplicemente queste parole:
- Io devo andare
via. -
poi si alzò dal cerchio e si allontanò verso l'entrata
della grotta.
Sorella Luna faticò a trattenere le lacrime
perché non aveva compreso il senso delle parole di Fratello Chj.
-
Cosa ti preoccupa? -
domandò Fratello Julius a Sorella Luna,
vedendola così triste, - Fratello Chj ha detto che
deve andare via e io non mi sento ancora pronta. -
rispose Sorella Luna senza riuscire a trattenere le
lacrime.
Fratello Julius allora le prese le mani e la guardò
dritta negli occhi rassicurandola, poi si alzò per raggiungere
Fratello Chj il quale accortosi di essere seguito si fermò e
aspettò.
Fratello Chj e Fratello Julius arrivarono insieme
all'ingresso della grotta, da lì si poteva ammirare un cielo
trapunto di stelle.
Fu davanti a quel firmamento che Fratello Chj,
prima di andare via, rivelò alcune cose a Fratello Julius, il quale
le apprese in rispettoso silenzio.
Al ritorno Fratello Julius vide
che Sorella Luna stava pregando in silenzio e la lasciò tranquilla,
mettendosi lui stesso in preghiera.
Al
sorgere del sole, la cui luce penetrava sottile, rimbalzata dai
cristalli presenti nella grotta, Fratello Julius si alzò e prese per
mano Sorella Luna, dicendo:
- Via si va/ Si va via/ Insieme e in compagnia.
-
I due giovani Monaci Sinc s'incamminarono verso l'uscita della
grotta tenendosi per mano, e insieme scesero verso la GRAN MADR.
41
Non piove più! -
urlò Teofània svegliando Pafol e Aziz,
- Non c'è più la motonave! -
urlò più forte sbalzandoli giù dal letto,
Pafol e Aziz corsero fuori nel cortile, sopra di loro il cielo era ritornato finalmente sereno dopo tanti giorni di pioggia; davanti a loro c’era soltanto una pozza di fango, una grande pozza di fango.
Camminandoci sopra Pafol si sentiva sprofondare e più avanzava più sentiva le sue gambe essere attratte in giù.
- Ció, ció csa fét? - (Ció,ció, cosa fai?)
gli gridò Aziz vedendolo andare giù risucchiato dal fango.
-Vado giù. -
rispose Pafol
-Aiutami! -
Aggiunse in preda al panico.
Aziz allungò le braccia più che poteva per raggiungere Pafol, ma era troppo distante.
- Riprova! -
gridò ad Aziz mentre ormai era sprofondato fino alla cintola.
Al secondo tentativo Aziz potendosi sporgere di più grazie all'aiuto di Teofània che era provvidenzialmente accorsa in aiuto, riuscì ad afferrare la mano di Pafol e a tirarlo fuori,
- Cosa sta succedendo? -
si domandarono a vicenda seduti con la schiena appoggiata al muro della casa.
A Ozz intanto Arlòt era stato svegliato da un raggio di sole che era entrato nella sua cameretta colpendolo dritto sugli occhi. - La scatola di latta, devo trovare la scatola di latta. -
preso dalla fretta di trovare la scatola di latta e pensando che ormai l'unico posto possibile fosse il laboratorio di suo babbo, uscì di corsa dall'appartamento, ma un bisogno impellente lo fece tornare subito sui suoi passi, entrò nel bagno che non aveva affatto considerato per la sua ricerca e, seduto sul water, vide riflessa nello specchio del lavandino la scatola di latta, era lì sopra la sua testa, appoggiata proprio sullo sciacquone.
Arlòt tirò la catena, si allungò per prendere la scatola e senza aprirla uscì fuori, raggiunse l'auto, ci salì sopra e partì via da Ozz diretto verso il Ponte delle Bambocce.
Per la fretta parcheggiò senza preoccuparsi di pagare il parchimetro e si precipitò letteralmente sul sentierino che dal rivalino portava al primo pilone sotto al ponte. Là dove era convinto di trovare la porta, non la vide, si girò intorno per controllare di non essersi sbagliato ponte, ma quello era sicuramente il Ponte delle Bambocce; ricontrollò meglio il pilone, girandoci attorno, ma della porta che le altre volte aveva sempre visto non c'era nessuna traccia. Era lì che stava cercando di capire cosa fare che, in tutta calma, dal rivalino arrivò l'uomo col cappello a cilindro bianco. Passò a pochi centimetri da Arlòt guardandolo con sguardo stupito, tirò fuori l'orologio da taschino per controllare l'ora e, come se fosse stato rassicurato dall'orario indicato, riguardò Arlot con perplessità. Poi magicamente dalla tasca posteriore dei pantaloni tirò fuori una pennellessa con la quale in quattro e quattrotto dipinse una porta iperrealistica sul pilone; l'aprì e con gesto elegante invitò Arlòt a entrare dentro insieme a lui.
Non trattandosi della prima volta Arlòt non fece molta attenzione a tutto ciò che succedeva, con quali sembianze gli si fossero presentati i Traghettatori. A casa del Vecchietto del BOSCO passò per una veloce fumatina, prima di raggiungere casa dei suoi, badando esclusivamente alla scatola di latta che teneva gelosamente stretta al petto.
Quando fu in prossimità della casa dei suoi, cominciò a urlare
- Babbo, babbo, ce l'ho! -
agitando la scatola in alto.
Il Signor Budellazzi aprì la porta e andò incontro a suo figlio, facendogli cenno di abbassare la voce
- Sta zitto che svegli la mamma. -
poi prendendogli via la scatola di latta,
- Ma quanto c'hai messo? sei stitico? -
Arlòt mostrò di non aver capito ciò che intendeva suo babbo con quelle parole e la prima cosa che fece fu quello di andare a salutare sua mamma.
- Dove vai? -
lo fermò urlando sottovoce il Signor Budellazzi.
-Lasciala dormire e vieni giù con me. -
Arlòt seguì suo babbo giù nel nuovo laboratorio magico, qui il Signor Budellazzi aprì la scatola di latta, era piena di piccole buste contenenti dei semi.
- Basilico, origano, timo, maggiorana, rosmarino, dragoncello, menta, mirto, salvia, santoreggia, prezzemolo, pimpinella, tarassaco, melissa, camomilla, canapa e zavagliona, eccolo qua il seme di zavagliona. -
rimise tutti i semi nella scatola di latta tranne quello di zavagliona.
- Ora posso procedere con l'esperimento. -
disse rivolgendosi ad Arlòt, mostrandogli come fosse una sacra reliquia la bustina contenente l'unico seme di zavagliona. - Che esperimento è, babbo? -
domandò Arlòt avvicinandosi al tavolo sul quale il Signor Budellazzi aveva predisposto tutto il necessario.
- Fila da mamma, te. -
gli rispose il Signor Budellazzi, senza nemmeno voltarsi a guardarlo,
-Ma ... -
- Fila! -
Arlòt uscì celermente dal nuovo laboratorio lasciando suo babbo libero di esperimentare in santa pace.
- Ciao Mamma! -
La Lice era sveglia già da un po' e in cucina aveva cominciato a tirare la sfoglia per un chilo di tagliatelle.
- Ohi, sei qua; e Teofània? -
senza chiedergli nulla a suo riguardo, la prima cosa che la mamma chiese ad Arlòt furono notizie della sua morosa.
- Boh, è un po' che non la vedo e ho anche il telefonino scarico. -
rispose Arlòt mettendosi a giochicchiare con gli scarti di impasto come faceva da bambino.
- Sei già andato a salutare babbo? -
- Sì, è giù nel... -
In quell'istante si sentì suonare al campanello di casa e la Lice non fece caso a quello che gli stava dicendo suo figlio.
- Va a vedere chi è. -
Arlot andò ad aprire la porta, davanti si trovò un uomo dai lineamenti orientali
- Gisto è in casa? -
42
Fratello
Julius e Sorella Luna camminavano uno affianco all'altra scendendo
per la strada che dal Monte Samaré giungeva fin sul lungomare di
Aremina.
- Fratello Julius, cosa ti ha detto Fratello Chj?
-
domandò improvvisamente Sorella Luna interrompendo il suo
andare,
- Sorella Luna/ Sorella piccolina /Ciò che Fratel Chj mi
ha svelato stamattina/ Non lo dico adesso/ Ma te lo dirò/ Quando
sarà il tempo Tutto ti dirò. -
rispose Julius, in una maniera
che da molto tempo non usava.
- Fratello Julius, perché
parli in rima? -
- Sorella Luna/ Sorella incuriosita/ Essere se
stessi è vitale nella vita. -
Fratello Julius raccontò a
Sorella Luna la prima rivelazione che gli aveva fatto Fratello Chj e
cioè di non dimenticare mai ciò che si amava fare quando si era
bambini perché è lì che si può trovare la propria essenza.
La
seconda rivelazione di Fratello Chj, Fratello Julius la volle
raccontare a Sorella Luna fermandosi sulle rive di un laghetto al
centro di un vecchio parco di divertimenti da tempo abbandonato;
davanti a loro giaceva semidistrutta la sagoma in cartapesta di un
villaggio pirata.
- Sorella Luna/ Sorella ascolta bene/ Quello che
ti dico scorre nelle nostre vene/ Abbiam la stessa pelle, origine e
missione/ Staremo sempre con il saio arancione. -
Fu così che
Sorella Luna scoprì di essere davvero sorella di Fratello Julius,
nata dopo che lui era stato rapito da Torquato L'Unghiato, non aveva
mai saputo di aver un fratello più grande.
Anche
lei era entrata nel Monastero Sinc di Fratello Chj dopo averlo
sognato, ma soltanto ora rammentava un particolare a cui a suo tempo
non aveva fatto caso. Vide che mentre lei arrivava a Monte Arcanzal
andando incontro a Fratello Chj, sulla strada aveva incrociato un
altro Monaco Sinc che le aveva sorriso da sotto l'ampio cappuccio e
il sorriso era quello di Fratello Julius.
- Fratello Julius/
Fratello fratellone/ Sento che in te/ C'è in sospeso una questione.
-
- Sorella Luna/ Sorella sorellina/ E' la terza cosa che ho
imparato stamattina/ Da solo io non posso/ In due però si può/ Ci
aspettan grandi cose/Ma altro io non so. -
Fratello Julius e
Sorella Luna passarono tutto il resto della notte all'interno del
parco di divertimenti abbandonato; al mattino si incamminarono verso
il centro storico di Aremina.
- Fratello Julius/ Fratello queste
rime/ Se le diciamo corte/ arrivano per prime. -
- Sorella Luna/
Sorella c'hai ragione/ Parliamoci intanto/ Senza iniziar dal nome.
-
- Allora dimmi/ Che strada tu vuoi fare/ Io non mi raccapezzo/
Mi sembra tutto uguale. -
Effettivamente il quartiere di Aremina
che in quel momento stavano attraversando era caratterizzato da
palazzoni tutti uguali, senza nessun particolare che li distinguesse
l'uno dall'altro.
- Non ti preoccupare/ Tra un po' arriviamo al
mare/ Allora lì vedrai/ Che tutto è un po' speciale. -
Girato
l'angolo Fratello Julius e Sorella Luna si ritrovarono sul Lungomare
di Aremina, un brulichio di gente e uno sfavillio di insegne al neon
perennemente accese anche in pieno giorno.
Da una parte un
continuo di hotel, alberghi, pensioni, affittacamere, per ogni
possibilità, alternati a negozi di articoli marittimi, turistici,
sale
gioco,
bar, ristoranti e discoteche.
Dall'altra
parte della strada, quella rivolta verso il mare, si potevano contare
gli stabilimenti marittimi, ognuno di essi caratterizzato dai propri
colori degli ombrelloni e degli sdrai e tutti quanti diffondevano
senza sosta le medesime hit del momento.
- Ehi ti va/ Di fermarci
in qualche bar/ Vorrei stare ferma un po'/ A godermi questo show. -
-
Perché no/ Ci fermiamo per un po'/ Ordiniamo due caffé/ Uno a te
l'altro a me. -
I due Monaci Sinc si accomodarono ai tavoli di un
bar adiacente all'edicola di un giornalaio; mentre sorseggiavano i
caffè Fratello Julius buttò lo sguardo verso l'articolo di un
giornale aperto sul tavolino vicino a loro; parlava di una
devastazione effettuata a Fiordargilla e della stessa cosa capitata
anche a Livvì. In una foto presa da un fermo immagine di una
videocamera, si intravedeva la figura imponente di Magilla.
-
Urca, urca/ Svelta andiamo/ Senza soste ci riusciamo/ a raggiungere
veloci/ Tutti quanti i miei amici. -
-Sì d'accordo/ Come vuoi/
Quelli sono amici tuoi/ Però ancora non capisco/ E ti chiedo di
spiegare/ Ma cos'è sta motonave? -
43
L'arrivo
di Fratello Chj nel BOSCO, fu accolto con sorpresa dalla famiglia
Budellazzi, la Lice ne approfittò per dare sfogo alle sue doti
culinarie preparando un gustoso arrosto con contorno di verdure
miste, mentre Arlòt e soprattutto Gisto attendevano impazienti di
conoscere il motivo di quella visita inattesa.
- Gustosissimo!
-
esclamò Fratello Chj pulendosi la bocca col tovagliolo dopo
aver spazzolato il suo piatto pieno di arrosto e verdure miste.
-
Complimenti alla cuoca! -
ribadì con un cenno di applauso rivolto
alla cucina dove la Lice stava tagliando la ciambella che da lì a
poco avrebbe servito ai convitati.
- Ma come mai da queste parti?
-
domandò Arlòt, versando del vino nel bicchiere di Fratello
Chj
-Avevo nostalgia del BOSCO e avevo voglia di incontrare il mio
caro amico Gisto. -
Rispose Fratello Chj dopo un lieve sorso.
-
Nostalgia? -
la faccia perplessa di Arlòt provocò una sommessa
risata in Fratello Chj.
- Devi sapere caro Arlòt che io qui nel
BOSCO c'ho vissuto metà della mia vita, diciamo che ci sono quasi
nato ed è proprio qui che sono diventato Monaco Sinc grazie agli
insegnamenti dei nativi.
- Ma quindi anche tu, posso darle del tu?
-
- Certo, siamo tra amici, no? -
- Dicevo, quindi anche tu hai
ingoiato le pillole insieme? -
- Ovviamente, fu un suggerimento
dei nativi. -
- E sei tornato solo adesso? come mai? -
-
Una delle cose che ho imparato da Monaco Sinc è che c'è sempre un
tempo per ogni cosa, fino adesso non è stato tempo per me di tornare
nel BOSCO, ora quel tempo è arrivato. -
- Mo dai! e ti è venuto
nostalgia di questo bel posto solo adesso? -
intervenne il Signor
Budellazzi dando una spinta scherzosa sulla spalla di Fratello Chj il
quale, per rimando, la restituì al Signor Budellazzi, - Beh, un po'
nostalgia e un po' necessità. - disse Fratello Chj facendo
l'occhiolino al Signor Budellazzi che intuì ci fosse qualcosa di
molto importante in gioco e Fratello Chj lo avrebbe rivelato soltanto
in via strettamente confidenziale, perciò si rivolse a suo figlio.
-
Arlòt che ne dici se dopo cena prendi le tue pilloline? -
- Ma...
-
- Dai, dai che c'è Teofània che ti sta aspettando. -
- Ah,
Teofània. -
sospirò Arlòt, poco dopo nell'intimità del
gabinetto la pillola rossa e la pillola blu entrarono a braccetto nel
suo esofago.
Finita la cena, Il Signor Budellazzi e Fratello Chj
si alzarono da tavola e scesero giù nel laboratorio, entrambe
sapevano che Arlòt non sarebbe uscito dal gabinetto.
- Cosa mi
devi dire Fratello Chj. -
domandò Gisto chiudendosi la porta del
laboratorio alle spalle.
- Ho avuto una visione Gisto. -
- Una
visione? quale visione? -
la voce di Gisto tradiva una certa
proccupata curiosità.
- Ho visto che la motonave rischia di
essere perduta per sempre se non riesci a realizzare in fretta
l'elisir dell'ubiquità, per questo sono venuto qui ad aiutarti e ho
mandato Fratello Julius insieme a sua sorella affinché operino. -
-
Fratello Julius ha una sorella? -
- Sì, Sorella Luna anche lei diventata una Monaca
Sinc. - raccontò Fratello Chj,
- Cosa può
succedere alla motonave? E Pafol, Aziz? Loro come stanno? Teofania è
con loro? -
il Signor Budellazzi fu preso da un improvviso attacco
di apprensione,
- Stanno tutti bene. -
lo rassicurò Fratello
Chj,
-Anche la motonave sta bene per adesso, ma diciamo che si
trova in una posizione un po' particolare e se non facciamo presto a
realizzare l'elisir dell'ubiquità rischia di rimanerci per sempre
diventando un relitto inutile. -
Il Signor Budellazzi allora andò
verso il tavolo sul quale aveva predisposto tutto il necessario e dal
quale prese in mano un piccolo vaso
- Guarda ho appena piantato il
seme di zavagliona, ci vorranno giorni prima che possa spuntare la
pianta. -
- Lo so e quaggiù al chiuso e al buio farà una gran
fatica, bisogna portare il vaso aprendere un po' d'aria. -
disse
Fratello Chj prendendo in mano il vaso e portandolo nei pressi del
vasistas da cui filtrava aria e luce nel laboratorio.
- E col
resto come sei messo? -
- Direi bene, è tutto pronto -
rispose
il Signor Budellazzi facendo mente locale su tutto quello che serviva
per realizzare l'elisir dell'ubiquità.
- Anche le carte? -
-Le
carte? A cosa servono le carte? -
reagì perplesso il Signor
Budellazzi indicando il tavolo su cui aveva preparato tutti gli
ingredienti e il paiolo pronto per essere messo sul fuoco.
- Ma no
-
rispose
Fratello Chj facendosi una risata
-Le carte non servono per
realizzare l'elisir dell'ubiquità, ma nell'attesa che ne dici di
passare un po' il tempo facendoci qualche partitina? -
Fratello
Chj fece una pausa per capire se il Signor Budellazzi avesse capito
bene.
- Allora, ce l'hai un mazzo di carte qui? -
il Signor
Budellazzi andò verso un vecchio baule e cominciò a rovistare tra
scartoffie che si trovavano all'interno
- Deve essere da qualche
parte qui dentro. -
- Lascia stare, ne ho uno io qui nuovo di
pacca. -
Fratello Chj prese da una tasca un mazzo di carte ancora
incellofanato, lo aprì, mischiò le carte e le e appoggiò sul
tavolo:
-Taglia. -
- A cosa giochiamo? -
domandò il Signor
Budellazzi.
- Per adesso giochiamo a capire che momento è questo.
-
poi Fratello Julius dopo aver disteso le carte sul tavolo
invitò il Signor Budellazzi a sceglierne una.
- Dai, girala.
-
Il Signor Budellazzi girò la carta e comparve l'asso di
coppe.
- E quindi? -
-E quindi sembra sia tempo di bere,
comincia a preparare l'elisir. -
44
Fratello
Julius insieme a Sorella Luna erano arrivati nei pressi della
Stazione Centrale di Aremina decisi a salire sul Trenino della Linea
Rossa per fermarsi a Xezena. Da lì, a piedi, avrebbero proseguito
lungo la strada che passava davanti alla casa dove Pafol, Aziz e
Teofània ancora non riuscivano a capacitarsi della scomparsa della
motonave e di tutto quel fango nel quale ci si poteva sprofondare.
Anche Arlòt, partendo da Fiordargilla alla guida della sua auto era
diretto a Xezena per poi fare la stessa strada verso l'amata e verso
gli amici.
Proprio quel giorno a Xezena era in programma un
rinomato torneo di rutti, ma Arlòt se ne era completamente scordato.
Quando vide i primi manifesti sei per tre che pubblicizzavano
l'evento, pur con tutta la volontà che aveva di proseguire il
viaggio, la passione per quella disciplina lo indusse a deviare verso
il vecchio stadio di Xezena per iscriversi alla Big Burp Battle.
La ressa nella zona del vecchio stadio di Xezena era quella delle
grandi occasioni e la fila di gente che voleva partecipare o che
desiderava semplicemente assistere all'evento si dipanava fino ai
binari di Xezena Centrale, quando scesero dal treno anche Fratello
Julius e Sorella Luna si ritrovarono coinvolti in quel trambusto, ma
grazie alle loro capacità stavano riuscendo a non farsi trasportare
verso lo stadio, ma ad andare nella direzione opposta.
- Fatemi
passare per favore, devo andare a iscrivermi! -
La voce del tipo
che urlava assomigliava tantissimo a quella di Arlòt, Fratello
Julius prese la mano a Sorella Luna per fermarla e intanto cercava di
capire da dove proveniva quella voce.
- Sono Libero Arlòt
Budellazzi devo iscrivermi al Big Burp Battle, per favore lasciatemi
passare! -
Sì, era proprio Arlòt ed era a pochi passi da loro,
ma a separarli c'era un bel po' di gente.
- Arlòt! -
provò
a chiamarlo Fratello Julius, ma Arlot era riuscito a farsi largo e ad
avanzare tra la folla, non rendendosi conto che qualcuno lo stava
chiamando.
Fratello Julius non ci pensò più di tre secondi e
invitò Sorella Luna a seguirlo; si era reso necessario un cambio di
programma, le conseguenze erano imprevedibili, ma bisognava
assolutamente seguire Arlòt al torneo di rutti, glielo diceva
l'intuito e l'intuito di un Monaco Sinc raramente prende delle
cantonate.
Sorella Luna non aveva avuto lo stesso intuito però
si fidava di quello del suo fratellone Monaco Sinc e senza indigio,
anzi con una certa divertita curiosità, lo accompagnò.
Riuscirono ad arrivare appena in tempo prima che i cancelli
fossero chiusi, gli unici posti ancora disponibili erano quelli sul
prato, posti soggetti, quindi, a numerosi per non dire infiniti cambi
di posizione per riuscire a vedere quello che stava succedendo sul
palco. Il palco era come un ring posto al centro del campo da calcio,
un corridoio transennato e controllato dal servizio d'ordine, lo
univa agli spogliatoi.
Il presentatore si mostrò al pubblico,
illuminato dall'occhio di bue, indossava un eccentrico smoking tutto
cosparso di lustrini; ad accompagnarlo c'erano due prosperose miss
dalla poca stoffa addosso.
- Signore e signori, benvenuti alla
Big Burp Battle! -
un coro di urla e schiamazzi si levò per tutto
lo stadio e subito dopo fu invitata ad accomodarsi sulle poltrone
poste su un apposito palchetto la giuria che quell'anno era formata
da un vescovo, da una parrucchiera e da un tacchino.
Allo
squillo di tromba, il presentatore cominciò a chiamare col
proprio
nome di battaglia i contendenti secondo l'ordine di iscrizione,
mentre le due miss li omaggiavano con delle lattine magnum di birra,
appena si presentavano sul palco.
Il primo ad uscire
dallo spogliatoio accompagnato dal boato dello stadio fu l'esperto
Wyomig, poi fu la volta di Cloaca, l'unica donna in gara; a seguire
si mostrò alla folla Tretenori, un cicciobomba dalle potenti doti
rutto canore; al suo fianco si posizionò per ironica casualità il
filiforme Grissino dalle insospettabili capacità, poi fu la volta di
un tale sconosciuto a tutti, un tipo tracagnotto che si mostrò
indossando una maschera nera da cerusico e per questo si presentò
scegliendo come nome di battaglia Peste Nera, infine salì sul palco
Arlòt.
La Big Burp Battle prevedeva tre discipline: potenza,
durata, karaoke, nelle quali i contendenti si sfidavano a coppie. Per
passare il turno bisognava prevalere almeno in due discipline; ad
attendere i vincitori c'era la battaglia finale.
Le coppie erano
state sorteggiate in gran segreto, poco prima di salire sul palco,
dal presentatore stesso. La prima coppia ad affrontarsi per il rutto
più potente fu quella che vedeva coinvolti Wyoming e Grissino, a
prevalere fu l'esperienza del primo.
La seconda coppia a
sfidarsi fu quella che vide affrontarsi Peste Nera contro Tretenori:
soprendendo tutti Peste Nera umiliò il pur potente Tretenori, con un
rutto che rimbombò per diversi minuti nelle orecchie degli
spettatori.
Per ultimi si sfidarono Cloaca e Arlòt e fu una
sfida che la giuria tra gli applausi e le fischia dello stadio
dovette decretare in perfetta parità causa l'astensione del
tacchino.
Nella seconda serie di sfide i contendenti dovevano
mostrare la loro capacità di far durare un rutto per il maggior
tempo possibile.
Questa volta tra Wyoming e Grissino ad avere
la meglio fu il
secondo,
Peste Nera invece si confermò migliore di Tretenori anche nella
durata, il suo rutto fu interrotto per aver superato il tempo limite.
La sfida per il rutto più duraturo tra Arlòt e Cloaca era
particolarmente attesa dopo lo scontro di potenza finito in parità.
Entrambe in passato avevano vinto dei tornei proprio grazie a questa
disciplina. Chi tra i due avesse vinto metteva una seria ipoteca
sulla possibilità di accedere alla battaglia finale. Arlò t ce la
fece per pochi decimi di secondo, ricevendo sportivamente i
complimenti da parte di Cloaca.
La terza serie di sfide era
quella karaoke nella quale i contendenti dovevano ruttocantare un
brano scelto a caso dalla giuria.
La sfida karaoke tra Wyoming e
Grissino era una sfida decisiva per designare il primo finalista. Per
sorteggio il primo ad esibirsi fu Grissino che ancora stremato dopo
la vincente sfida di durata fece alcune stecche che vennero notate
dalla giuria. Wyoming al contrario, fece un esibizione praticamente
perfetta diventando così il primo ad andare a prepararsi per la
battaglia finale.
La sfida tra Peste Nera e Tretenori al fine
del torneo non aveva nessuna importanza, ma il regolamento prevedeva
comunque che si fosse svolta. Tretenori si sentiva sicuro di poter
lasciare un bel ricordo in quanto quella era la sua specialità. Si
sbagliava, anche nel ruttocanto Peste Nera diede sfoggio di una
classe sopraffina.
La decisiva sfida karaoke tra Cloaca e Arlòt
poteva dire soltanto due cose, o vinceva Arlòt e allora sarebbe
andato direttamente lui a sfidare Wyoming e Peste Nera nella
battaglia finale, oppure, in caso di vittoria da parte di Cloaca,
diventava necessario dar vita a una combinata, ovvero gli sfidanti
avrebbero dovuto mostrare le loro doti ruttifere in potenza,durata e
karaoke. Tutto insieme senza un secondo di pausa.
Arlòt
riuscì a far bella mostra delle sue qualità ruttocanore, ma quella
di Cloaca era proprio una bella ruttovoce che il tacchino non esitò
a premiare col suo voto e con una coda a ruota, mandando i due
contendenti alla combinata.
Cloaca e Arlòt furono invitati a
rimanere sul palco, tutto il pubblico presente nello stadio era
ammutolito. Cominciò Cloaca ruttocantando con tutta la potenza che
aveva, ma la sua esibizione non durò oltre il minuto.
Arlòt
avrebbe dovuto fare di meglio, ma mentre attendeva il suo turno
chiedendosi se ne valeva la pena, fu in quel momento che notò tra il
pubblico Fratello Julius. La vista del suo giovane amico gli diede lo
stimolo per impegnarsi al massimo per accedere alla battaglia finale.
45
Già
da un po' Fratello Julius aveva percepito che ci fosse qualcosa di
sospetto nelle prestazioni di Peste Nera, decise quindi di cambiare
posizione per avvicinarsi al palco e capire meglio cosa stava
succedendo.
Nel muoversi ebbe la sensazione che tra il pubblico ci
fossero anche gli altri pirati e per non farsi vedere si sollevò il
cappuccio sulla testa.
- Quello con la maschera/ Non la racconta
giusta/ Diamogli una scarica/ Vediamo se si aggiusta. -
Anche
Sorella Luna aveva avuto la medesima sensazione di Fratello Julius e,
affiancandosi a lui, anche lei aveva cominciato a utilizzare una
delle capacità in dote ai Monaci Sinc, fare andare le cose per il
verso giusto.
La battaglia finale stava per iniziare, al centro
del palco si presentarono più carichi che mai Wyoming, il veterano
di tutte le Big Burple Battle e con ogni probabilità quella sarebbe
stata l'ultima occasione per riuscire a vincerla per la prima volta,
Peste Nera, sorprendente rivelazione di quella sera e Arlòt ancora
un po' provato dalla combinata.
Il presentatore invitò tutto il
pubblico a recitare la conta per designare chi sarebbe stato il primo
a incominciare mentre l'occhio di bue si accendeva e spegneva
illuminando uno alla volta Wyoming, Peste Nera e Arlot.
- Sotto il
ponte di Baracca, c'è Pierin che fa la cacca, la fa dura, dura,
dura, il dottore la misura, la misura trentatrè, uno, due, tre, a
iniziare tocca a te! -
L'occhio di bue restò illuminato su
Wyoming; al secondo giro di conta il prescelto fu Arlòt che
immediatamente cercò tra la folla Fratello Julius là dove l'aveva
scorto qualche minuto prima, ma Fratello Julius si era spostato
proprio alle sue spalle per concentrarsi sulla maschera di Peste
Nera.
Wyoming andò a posizionarsi al centro del palco pronto a
dare sfoggio della sua potenza ruttifera, mentre Arlòt girandosi per
concentrarsi meglio, vide nuovamente Fratello Julius e al suo fianco
un'altro Monaco Sinc.
Per lui fu una sorpresa capace di dargli lo
stimolo giusto per mollare il rutto più potente che si era sentito
fino a quel momento in tutta la serata. Il pubblico si alzò in una
standing ovation che durò un minuto tondo tondo.
Al turno di
Peste Nera tutti erano curiosi di vedere se sarebbe stato in grado di
emettere un altro rutto potentissimo: lo fu ma non quanto quello di
Arlòt. La giuria secondo il regolamento avrebbe dato il suo parere
solo alla fine di tutte e tre le prove per cui tutto quanto appariva
ancora incerto.
Nella prova di durata Wyoming diede il peggio di
sè interropendo la sua prova dopo pochi secondi, per Arlòt non fu
difficile fare meglio, ma anche a lui non andò benissimo.
Per
Peste Nera quella era l'occasione per mettere una seria ipoteca sulla
vittoria finale, ma qualcosa andò storto e anche quella volta la sua
prestazione non fu all'altezza della precedente.
Diventava
decisiva la prova karaoke; benchè in durata Wyoming
avesse
fatto una pessima figura, per lui nulla era perduto, bastava aver la
fortuna di dover ruttocantare su una base abbastanza semplice e per
il resto darci di esperienza e quella a Wyoming non mancava.
La
fortuna non fu benevola con Wyoming e anche l'esperienza non evitò
quelle stecche che lo misero direttamente fuori gioco. Arlòt invece
raccolse l'applauso di tutto lo stadio per essere sicuro di vincere.
Peste Nera voleva mandare in delirio tutto lo stadio, quella era la
sua intenzione quando avvicinò il becco della maschera da cerusico
al microfono, ma dopo pochi secondi dal becco stesso cominciò a
notarsi un po' di fumo. Per nasconderlo Peste Nera andò a coprirlo
con le mani, ma nel farlo infilò una serie impressionante di
stonature. Il pubblico cominciò a fischiare selvaggiamente e,
travolto dall'umiliazione, Peste Nera scappò via confondendosi tra
la gente e alla giuria non restò che decretare la vittoria nella Big
Burp Battle ad Arlòt che come premio ricevette la riproduzione di
una lattina di birra ammaccata ricoperta d'oro.
Ormai il pubblico
presente al veccho stadio di Xezena era andato via, sul prato insieme
a tutto quanto il rusco, Fratello Julius e Sorella Luna che si erano
attardati a uscire notarono la maschera di Peste Nera.
Sorella
Luna la prese in mano e rivolgendosi a Fratello Julius disse.
-
Fratello guarda qua/Che strana roba ha. -
nel becco da cerusico si
poteva notare un piccolo marchingegno ora sbruciacchiato, era facile
intuire che il suo scopo fosse quello di creare in maniera
artificiosa i rutti di Peste Nera.
Chi
fosse in realtà Peste Nera. Fratello Julius lo capì subito
avvicinandosi la maschera al volto, l'odore di chi l'aveva indossata.
Era certamente quello di Torquato L'Unghiato.
46
La
prima preoccupazione di Fratello Julius fu che dentro allo stadio ci
fossero anche gli altri pirati, se la ciurma si riuniva sotto il
comando di Torquato L'Unghiato ci sarebbe stato un grosso problema
nella GRAN MADR. La seconda fu quella di andare a recuperare il suo
amico Arlòt che stava ancora festeggiando la vittoria attorniato dal
presentatore, dalle due miss, dagli altri concorrenti rimasti e,
soprattutto, da una disinibita Cloaca che gli si era letteralmente
avvinghiata addosso ricevendo le attenzioni di un Arlòt mezzo
ubriaco per la quantità di birra scolata.
- Cosa fai?/ Vieni dai/
Non lo vedi siam nei guai/ Tanto tempo non ci resta/ Non andar fuori
di testa. -
Pochi minuti dopo Arlòt era alla guida della sua auto
diretto verso la casa dove Arlòt, Aziz e Teofània ancora non
riuscivano a capacitarsi della sparizione della motonave.
- Hei!
sono tornato. -
urlò Arlot brandendo festante il trofeo che aveva
appena vinto a Xezena.
- Non indovinerete mai chi c'è insieme a
me. -
continuò facendo un occhiolino d'intesa ai due Monaci
Sinc;dentro la casa però tutto era silenzioso.
- Ma dove sono
andati? -
Arlòt andò a cercarli al piano di sopra, era tardi.
- Magari, sono andati a dormire. -
pensò, ma i letti erano
vuoti, sbirciò dalla finestra verso il cortile e non vide la sagoma
della motonave,
- Non c'è più la motonave! Sono spariti tutti!
-
urlò mentre si precipitava giù per le scale in preda al
panico.
- Non c'è più niente, non c'è più nessuno. -
continuava a dire Arlot.
Fratello Julius per calmarlo gli mise una
mano sul cuore, una sulla spalla destra e fece cenno a Sorella Luna
di andare a vedere fuori in cortile,
- Sono qua/ Dormono mi sa.
-
annunciò Sorella Luna affacciandosi alla porta.
- Teofània!
Pafol! Aziz! -
chiamò Arlòt andando fuori di corsa.
Lo
accolsero sbadigliando, con ancora gli occhi chiusi dal sonno, non si
erano accorti che insieme ad Arlòt c'era Fratello Julius e Sorella
Luna. - Guardate chi c'è. -
disse Arlòt indicando Fratello
Julius e Sorella Luna,
- A vèg dopi. - (Vedo
doppio.)
pensò
Aziz che non riusciva a inquadrare bene i due Monaci Sinc.
Gli
abbracci reciproci che si scambiarono appena gli occhi furono aperti,
lasciarono presto il posto alla preoccupazione per la presenza dei
pirati nella GRAN MADR.
Tutti erano convinti che Torquato
L'Unghiato e la sua ciurma fosse di nuovo compatta e che vagando per
la GRAN MADR prima o poi sarebbero arrivati alla motonave, già la
motonave, se ne stavano dimenticando,
- Ma la motonave dove
l'avete nascosta? -
domandò incuriosito Arlòt.
- L’an gn'è
piò. - (Non
c'è più.)
rispose
Aziz dopo qualche secondo d'imbarazzo.
- L'è sparida, puff... -
(E'
sparita, puff...)
continuò
facendo il gesto con le mani di qualcosa che svanisce.
-Cosa?
-
Arlòt non capiva quello che stava dicendo Aziz e cercò nello
sguardo di Teofània e di Pafol una risposta più sensata.
Pafol
taceva tenendo gli occhi bassi, Teofània disse:
- Ha ragione
Aziz, la motonave è sparita improvvisamente dopo la pioggia che è
durata fino a poche ore fa.
- Che pioggia? -
incalzò subito
Arlòt e Teofània si mise a raccontare quanto accaduto.
- Quando
ci siamo lasciati alla stazione di Labassa-Ialfunsè ho preso il
Trenino che mi ha portato a Ramiana e da lì ho preso la Corriera per
scendere alla fermata che sta qualche centinaia di metri qua fuori;
c'era il sole ed era un caldo boia, ma quando sono arrivata pioveva a
dirotto, c'era una grossissima nuvola scura sopra la casa, una
pioggia dritta che non smetteva mai. Quando l'altra notte ha smesso,
la mattina dopo ci siano accorti che la motonave non c'era più e al
suo posto c'era sontanto una pozza di fango, tanto profonda che Pavol
quasi ci sprofondava dentro. -
- Davvero? -
questa volta la
domanda era diretta dritta a Pafol che non potè far altro che
confermare tutto quanto il racconto di Teofània.
Mentre Teofània
stava raccontando a un esterefatto Arlòt e Pafol confermava parola
per parola scossando su e giù la testa, Aziz, Fratello Julius e
Sorella Luna erano usciti fuori e stavano osservando in silenzio la
pozza di fango dove ci sarebbe dovuta essere la motonave,
- Vó aj
capì caicvèl? - (Voi
ci capite qualcosa?)
a
quella domanda Fratello Julius e Sorella Luna non sapevano cosa
rispondere, poco dopo furono raggiunti dagli altri e insieme
cominciarono a ragionare sul da farsi con ragionamenti
inevitabilmente a vanvera.
Anche Fratello Julius e Sorella Luna
si sentivano impotenti davanti a ciò che era successo.
-
Come lo risolviamo questo probl...? -
Pafol non fece in tempo a
finire la frase che dalla strada si sentì il suono del clacson
bitonale di una corriera di montagna. Pochi istanti dopo apparve il
nano Deusex Machina insieme a una comitiva di suoi parenti.
-
Salve amici! ci pensiamo noi a risolvere il problema. -
In un
batter d'occhio, senza aspettare alcun cenno da parte di Pafol,
Deusex Machina e gli altri nani da giardino tirarono fuori dai
pantaloni, vanghe, pale e secchielli e di buona lena, dandosi il
ritmo con una delle loro solite canzoni, si misero ad asportare tutto
il fango.
I nani toglievano il fango, scendevano in profondità
e trovavano altro fango, lo toglievano e scendevano, lo toglievano e
scendevano,
- Eccola! -
si sentì gridare Deusex Machina; i
nani si misero a ripulire tutta la motonave dal fango che la copriva
fino a riportarla al suo bel colore rosso.
Pafol, Aziz, Arlòt,
Teofània, Fratello Julius e Sorella Luna non riuscirono a
trattenersi da un fragoroso applauso all'indirizzo di tutti i nani da
giardino che in poco tempo erano riusciti a riportare alla luce la
motonave.
C'era però un problema, anzi c'erano due problemi,
il primo era che la motonave ora si trovava sotto di loro qualche
decina di metri e stava galleggiando su un fiume sotterraneo, il
secondo erano i nani che nella foga di scavare si erano dimenticati
di crearsi una via per risalire ed erano rimasti giù sulla
motonave.
- Serve aiuto? -
domandò dall'alto Pafol, con un
velo di soddisfazione pensando fosse giunto il momento di sdebitarsi
per tutte le volte che Deusex Machina e i suoi parenti erano giunti
in suo aiuto.
Dal basso, Deusex Machina si guardò intorno e così
fecero tutti gli altri nani, poi in coro risposero:
- No! -
I
nani si tuffarono nel fiume sparendo alla vista di chi stava in alto,
solo Deusex Machina risalì in superficie per un attimo, quello per
dire a Pafol e agli altri:
- Quando, non trovi una via di uscita
prova a guardare dall'altra parte. -
47
Da
un'altra parte, il Signor Budellazzi e Fratello Chj si trovavano alle
prese con la realizzazione dell'elisir dell'ubiquità, una
preparazione in parte simile a un normale bisò, che poi doveva
essere ridotto fino a farne la dose esatta da riempire una fialetta
ghiacciata, guarnita con polvere di fiore di zavagliona
essiccato.
Tutto stava procedendo in maniera perfetta, quando
furono interrotti dal suono del campanello,
- Ma chi sarà adesso?
-
sboffonchiò il Signor Budellazzi.
- Stavi aspettando
qualcuno? -
domandò senza distogliere lo sguardo dal paiolo
ribollente, Fratello Chj.
- Ma no, a quest'ora poi? -
rispose
il Signor Budellazzi, guardando l'orologio appeso alla parete sopra
la porta.
Il campanello suonò nuovamente.
- Vado a vedere chi
è che suona. -
disse con stizza il Signor Budellazzi. Alla porta
si materializzò un tipo longilineo, elegantemente vestito di bianco
dalla testa ai piedi che, senza dire una parola, prese a oscillare un
candido orologio da taschino davanti agli occhi del Signor
Budellazzi.
- Grazie, ma non compriamo niente. -
rispose il
Signor Budellazzi, nell'atto di chiudere la porta. immediatamente si
sentì nuovamente suonare alla porta.
- Ho detto che non compriamo
niente, tanto meno paccottiglia come quella. -
ribadì il Signor
Budellazzi, riaprendo la porta. L'uomo vestito di bianco, senza dire
nulla, riprese a far oscillare l'orologio da
taschino
davanti agli occhi del Signor Budellazzi che nel frattempo era stato
raggiunto da Fratello Chj,
- Presto che è tardi! -
intervenì
Fratello Chj dando la soluzione; l'uomo in bianco sorrise, ringraziò
sollevando leggermente il cappello a cilindro che portava sulla testa
e se ne andò.
-Cosa succede? -
domandò il Signor
Budellazzi.
- Dobbiamo fare più in fretta, la motonave non può
più aspettare. -
rispose Fratello Chj.
Tornati al lavoro,
Fratello Chj invitò il Signor Budellazzi a fare esattamente tutto
quello che faceva lui, così entrambi avvicinarono la mani al paiolo
e come un mantra iniziarono a ripetere.
- Dai, dai, dai, dai, dai,
… -
Il processo di realizzazione dell'elisir dell'ubiquità
accelerò improvvisamente, Fratello Chj invitò il Signor Budellazzi
ad andare a sminuzzare finemente il fiore di zavagliona essiccato
fino a farne una povere con la quale guarnire la fialetta che
precedentemente era stata messa a ghiacciare nel frizer, mentre lui
continuava a mescolare con un lungo mestolo di legno, il vino che
ormai era in piena ebollizione dentro al paiolo.
- Se hai fatto,
passami quella candela là sopra. -
disse Fratello Chj al Signor
Budellazzi indicando un moccolo di cera, posto sul bordo di una
mensola impolverata. Il Signor Budellazzi prese la candela e la porse
a Fratello Chj,
- Hai da accendere? -
Il Signor Budellazzi
prese dalla tasca dei pantaloni una scatola di fiammiferi e la passò
a Fratello Chj, il quale ne sfregò uno per dar fuoco allo stoppino
della candela; una volta che la fiamma fu bella vivace, con un gesto
veloce la accostò alla superficie del vino ribollente dentro al
paiolo. In un istante l'incendio bruciò tutto l'alcool presente
esalando tutto quanto il profumo di un buon bisò.
Fratello Chj
e il Signor Budellazzi si trattennero dal riempire due gotti di
ceramica, perché la ricetta dell'elisir dell'ubiquità non ammetteva
distrazioni, tutto quanto doveva essere svolto secondo un preciso
rituale e ora era giunto il momento di ridurre il bisò a pochi
centilitri, esattamente quelli necessari a riempire la fialetta. Nel
paiolo c'erano dieci litri di bisò e il processo di restrizione
richiedeva parecchie ore, troppe.
Ci pensò Fratello Chj a far
presto e questa volta lo fece da solo, invitando il Signor Budellazzi
ad allontanarsi dal paiolo e raccomandandosi di non guardarlo.
Il
rito segreto, fatto di gesti e parole comprensibili soltanto ai
Monaci Sinc durò mezz'ora alla fine della quale del bisò presente
dentro al paiolo era rimasto solo uno strato appena sufficiente a
intingerci un'unghia.
- Ecco! Ci siamo, tira fuori dal frizer la
fialetta. -
fu l'invito che Fratello Chj rivolse al Signor
Budellazzi.
Ora bisognava fare molta attenzione, tutta la
riduzione di bisò dentro al paiolo doveva essere versata all'interno
della fialetta congelata, non ne doveva andare sprecata nemmeno una
goccia.
Il Signor Budellazzi prese saldamente con le mani il
paiolo e lentamente lo piegò verso Fratello Chj che reggeva la
fialetta.
- Vieni, vieni, piano, piano. -
seguendo le
indicazioni di Fratello Chj, il Signor Budellazzi piegava il paiolo
fino a far cadere le gocce del bisò nell'imboccatura della fialetta.
Immediatamente la polvere di fiore di zavagliona essicato che ornava
la parete interna della fialetta, si sciolse formando un sottile filo
di fumo violetto.
L'elisir dell'ubiquità era pronto ma Fratello
Chj e il Signor
Budellazzi
si erano dimenticati di scegliere chi tra loro due l'avrebbe dovuto
bere; in verità Fratello Chj sapeva benissimo chi doveva farlo,
Da' qua, lo bevo io! -
disse il Signor Budellazzi,
- Sei
sicuro? -
- Sì, ho voglia di vedere cosa sta facendo Libero.
-
Fratello Chj gli porse la fialetta e il Signor Budellazzi senza
tergiversare si piombò dritto in gola l'elisir dell'ubiquità.
48
L'effetto
dell'elisir dell'ubiquità non tardò a manifestarsi, il Signor
Budellazzi sentì sdoppiarsi ogni organo, ogni ossa, ogni muscolo,
ogni vena, ogni nervo, ogni cellula, ogni parte del suo corpo; si
rese conto di essere presente dentro al suo laboratorio nel BOSCO e
di essere presente anche a la GRAN MADR, proprio davanti a una casa
isolata.
Il Signor Budellazzi nel BOSCO non interagiva e non
interferiva col Signor Budellazzi a la GRAN MADR e viceversa, ognuno
ignorando completamente l'esistenza dell'altro se stesso.
Il
Signor Budellazzi nel BOSCO come se avesse appena bevuto dell'acqua
fresca propose all'amico Fratello Chj di andare a fare un giro,
mentre l'altro Signor Budellazzi, quello che si trovava davanti a una
casa isolata nella GRAN MADR accortosi che il cancello era appena
accostato entrò perchè gli era parso di sentire delle voci, tra le
quali anche quella di suo figlio Libero.
Girato l'angolo li vide
tutti: Libero, Teofània, Pafol, Aziz, c'erano anche due Monaci Sinc
e tutti quanti stavano guardando quella che a lui sembrava una buca.
- Hei, ragazzi! -
chiamò senza pensarci.
Arlòt, Pafol,
Aziz, Teofània, Fratello Julius e Sorella Luna erano talmente presi
dalla situazione che non prestarono attenzione a quel richiamo.
Lentamente il Signor Budellazzi si avvicinò al gruppo e appena
vide la voragine non gli uscì nient'altro dalla bocca che uno
stupito,
- Ma cos'è successo? -
Il primo a voltarsi fu proprio
Arlòt
- Babbo, che cazzo ci fai qui? -
farfugliò
vedendo il suo genitore,
- Signor Budellazzi? -
fu la reazione
incredula di Teofània, Pafol e Aziz, mentre Fratello Julius e
Sorella Luna rimasero a guardare in silenzio.
Il Signor Budellazzi
non era in grado di rispondere, non sapeva nemmeno come era arrivato
lì, certo nell'attimo prima di ingerire
l'elisir dell'ubiquità
aveva espresso il desiderio di vedere cosa faceva suo figlio il quel
momento, ma quello era il Signor Budellazzi nel BOSCO prima di bere
l'elisir dell'ubiquità, questo Signor Budellazzi non ne sapeva
assolutamente niente. A non saperne niente era anche il Signor
Budellazzi che ora era in giro per il BOSCO insieme a Fratello Chj,
di certo secondo suo figlio e anche secondo tutti gli altri, il
Signor Budellazzi non poteva essere lì.
- La motonave? -
chiese
improvvisamente il Signor Budellazzi
- L'è a là zo. - (E'
laggiù.)
disse
Aziz indicando il fondo della voragine; il Signor Budellazzi allora
si avvicinò al bordo e con stupore vide la motonave galleggiare su
un fiume sotterraneo.
- Ma come c'è arrivata laggiù? -
domandò
senza distogliere lo sguardo dalla motonave.
Erano talmente scossi
da tutto quello che era accaduto in così breve tempo: la motonave
giù in una voragine e il Signor Budellazzi che arriva
inaspettatamente, che a nessuno riuscì di rispondere. Ci pensò
Fratello Julius a indirizzare la situazione.
- Il tempo sta
passando/ I pirati stan tornando/ Laggiù la motonave/ Non può più
rimanere. -
A sentir nominare i pirati, tutti si dimenticarono
dell'assurda presenza del Signor Budellazzi, Pafol cominciò a sudare
freddo,
Teofània
si strinse forte ad Arlòt e Aziz cercò di nascondere il disagio
versandosi un'altro bicchiere di vino.
- Ragazzi! Bisogna andar
giù a vedere se la motonave si può spostare da lì. -
disse il
Signor Budellazzi facendo il giro attorno alla voragine.
- Da qua,
venite a vedere, sembra che ci siano delle radici che arrivano fino
in fondo e sbucano proprio davanti alla prua della motonave.
-
Effettivamente, cambiando prospettiva, tutti quanti notarono
delle grosse radici che scendendo dal lato in cui si trovava la casa,
come se la casa stessa avesse le radici, arrivavano fino alla prua
della motonave.
-Vado io! -
il primo ad offrirsi fu Arlòt, ma
fu subito fermato da Aziz
- No, te t’ci tròp grös. - (No, tu
sei troppo grosso)
poi prendendo il respiro si offrì lui stesso
giustificando il fatto di essere alto e magro.
- No, Aziz non
voglio che … -
prima che Pafol potesse concludere la frase,
Sorella Luna si era già calata lungo la parete e aveva già mani e
piedi sulle radici.
- Non pensarci su/Vado io/Vado giù. -
Sorella
Luna era a metà della discesa quando perdendo l'equilibrio a causa
di una radice molto scivolosa si trovò senza appiglio e cadde di
schiena.
- Luna! -
Urlò Fratello Julius, mentre gli altri
d'istinto si coprirono gli occhi con le mani
- Hei lassù/Sono
giù
Sorella Luna, come una gatta si era rigirata a mezz'aria ed
era atterrata agilmente sulla motonave.
-
Tutto bene? -
-
Sì sapevo che era un rischio/Però io poi me ne infischio/Sono
Monaca Sinc vedi/Che io cado sempre in piedi. -
Sorella Luna
confermò a quelli che stavano ai bordi della voragine che la
motonave stava galleggiano placidamente sulle acque di un fiume
sotterraneo che scorreva proprio sotto le fondamenta della casa; le
radici ostruivano il passaggio, per questo la motonave non era ancora
scivolata via. - Come facciamo a scendere giù? -
chiese Pafol.
Sorella Luna rassicurò che le radici erano resistenti, ma bisognava
fare attenzione perché alcune erano molto scivolose. Si fecero
quindi coraggio a vicenda e lentamente cominciarono a calarsi.Per
primo andò Pafol, seguito da Aziz, il terzo a scendere fu Arlòt
pronto ad aiutare Teofània qualora avesse avuto bisogno, infine si
calò giù verso la motonave il Signor Budellazzi.
Tutti erano
riusciti ad arrivare sulla motonave, mancava soltanto Fratello
Julius, ma il giovane Monaco Sinc aveva deciso di rimanere a guardia
della casa. Il suo intuito gli diceva che a breve sarebbe arrivati i
pirati e bisognava evitare che potessero scoprire il fiume
sotterraneo.
Scostarono delicatamente le radici e la motonave
cominciò a scivolare sull'acqua del fiume sotterraneo.
49
La
poppa della motonave aveva appena fatto in tempo a oltrepassare le
radici quando Fratello Julius percepì un rumore, come di moto
smarmittate, avvicinarsi a forte velocità.
Con tutta calma andò
verso il cancello e si fermò lì davanti in attesa, col cappuccio
arancione sollevato sulla testa.
L'orda dei pirati arrivò
sollevando un polverone impenetrabile, tra urla sguaiate, colpi di
clacson, sgasate a ripetizione, Fratello Julius rimase immobile
dietro al cancello, con lo sguardo fisso e il sorriso di chi ha
totalmente la situazione sottocontrollo o almeno fa in maniera di
dare quella impressione.
Riconobbe Squalo, Sgrunz, Kabul, Magilla,
Turiddu, Tartaja, i Gemelli Banzaj; c'era anche il vecchio Spugna
seduto su una motoretta per disabili, ma mancava Torquato L'Unghiato.
Senza il capo a dare gli ordini, i pirati diventavano del tutto
imprevedibili.
Fratello Julius ponderò rapidamente tutte le mosse
da fare: attendere agendo di reazione sfoderando tutta l'abilità che
possedeva nell'eseguire la mossa col quale aveva reso innocuo
Torquato L'Unghiato, oppure prendere l'iniziativa rivelandosi ai
pirati, confidando nell'effetto sorpresa.
Scelse l'effetto
sorpresa, prese il cappuccio con le mani e se lo fece scivolare sulla
schiena
- Hei ragazzi, che sorpresa/Che ci fate sulla strada/Voi
non mi riconoscete/Ma anch'io ero un pirata. -
la reazione dei
pirati non tardò molto, immediatamente tacquero e spensero i motori,
soltanto Spugna continuava a stringere ripetutamente la trombetta sul
manubrio della sua carrozzina motorizzata; in un attacco di demenza
senile non si era reso conto di quello che stava accadendo.
-
Julius? -
domandarono e si domandarono in coro i pirati.
-
Fratello Julius. -
rispose il Monaco Sinc.
Julius! C'è Julius!
Julius si è fatto Monaco Sinc! -
l'allegra reazione dei pirati,
con tanto di festosa suonata di clacson
andò oltre le migliori
aspettative di Fratello Julius che non esitò ad aprire il cancello e
ad andare incontro ai suoi vecchi compagni di pirateria.
Come ai
vecchi tempi i gemelli Banzaj lo innalzarono sulle spalle del gigante
Magilla, mentre Kabul, Turiddu e Tartaja gli danzavano allegramente
intorno; Sgrunz esibì la smorfia che, normalizzando lievemente quel
suo sguardo da gargoile, era servita per quietare il piccolo Julius
quando si metteva a piangere.
Nel frattempo Squalo raccontava a
Spugna quello che stava accadendo.
- Julius, dov'è il piccolo
Julius? Voglio toccarlo. -
chiedeva Spugna a Squalo, con gli occhi
umidi dalla commozione.
- Spugna vuole toccarti. vieni -
Squalo
chiamò Fratello Julius allungando le sue braccia per farlo scendere
dalle spalle di Magilla.
Fratello Julius si avvicinò a Spugna che
con mani incerte cominciò ad accarezzarlo come per leggere un
alfabeto braille.
- Sei proprio tu, Julius? -
sussurrava il
vecchio Spugna.
- Adesso si chiama Fratello Julius, è diventato
un Monaco Sinc. -
intervenne Squalo che non aveva smesso di
stare a fianco di Spugna.
- Oh! Davvero? -
- Davvero Spugna/
Pirata ubriacone/ Ma tu chiamami Julius/ Per tequesto è il mio nome.
-
Spugna allungò le braccia verso il collo di Fratello
Julius.
- Fatti abbracciare, Julius. -
Il più vecchio e quello
che era stato il più giovane dei pirati restarono per un po'
abbracciati in silenzio, mentre gli altri pirati aspettavano per
ricominciare a festeggiare rumorosamente.
A tutta la scena stava
assistendo da qualche minuto un uomo a bordo di un'auto di grossa
cilindrata; passava da quelle parti e si era fermato pochi metri più
avanti, incuriosito da quel che stava accadendo.
L'uomo scese
dalla macchina e si avvicinò sicuro alla comitiva, era di robusta
costituzione, indossava una giacca argentata e un cappello a falde
larghe in testa a coprire una rasatura totale; gli occhi erano
nascosti da un paio di occhiali con le lenti oscurate.
- Buona
giornata Signori! il mio nome è Steve Pelloni, Amministratore
Delegato di tutta quanta ‘sta baracca. -
presentandosi fece un
ampio cenno con la mano indicando tutto il paesaggio circostante,
-
Sto proprio cercando un gruppo di persone intraprendenti, piene di
entusiasmo, gente con dello sbuzzo, per realizzare una roba
straordinaria e voi siete proprio i tipi giusti, ve lo dico io che di
queste robe me ne intendo. -
Steve Pelloni proseguì il suo
discorso distribuendo ai presenti i suoi biglietti da visita.
-
Non esitate a contattarmi! -
salì nuovamente sulla sua automobile
viaggiando verso sud.
Fratello Julius e i nove pirati rimasero lì
a guardare Steve Pelloni allontanarsi e a rigirarsi tra le mani i
biglietti da visita.
- Oi, ppperò … -
esordì Tartaja
-
Iiio mmmi sssarei aaanche rrrotto dddi fffare iiil pppirata. -
-
Anche me! -
aggiunse Magilla, cercando approvazione nelle
espressioni degli amici pirati.
Sgrunz grugnì che a lui non
piaceva più fare il pirata, lo stesso pensiero lo fecero intendere
all'unisono i Gemelli Banzaj gettando a terra tutte le armi ninja
nascoste nei loro kimono e facendo il saluto di commiato.
Kabul
scaraventò la sua scimitarra nel fosso accompagnando il lancio con
un zaghroutah, mentre Turiddu sparò in aria le ultime pallottole
della sua carriera da pirata.
Più indeciso a smetterla col fare
il pirata apparve Squalo; gli altri erano nati pirati, lui lo era
diventato per fame dopo un'infanzia vissuto nell'indigenza.
-
Spugna, cosa dici di fare? -
- Fare cosa, Squalo? -
Spugna
che mezzo cieco e mezzo sordo non aveva ben inteso quello che stava
succedendo.
- Smettere di fare i pirati, Spugna. -
- Oh beh,
quanto vuoi che io possa durare ancora a fare delle scorribande così
come sono messo? Se posso andare in pensione ci vado ben volentieri.
-
- Allora smetto anch'io, però rimaniamo insieme vero?
-
domandò Squalo a tutti.
- Dovete stare insieme/ Vedrete che
vi piace/ Passar dal male al bene/ Sarà molto efficace. -
Fratello
Julius rallegrato della redenzione dei suoi vecchi compagni, li
esortò a intraprendere la nuova vita che Steve Pelloni gli aveva
prospettato.
Un po' a malincuore non lì seguì perché lui la
pirateria l'aveva
abbandonata
già da tempo ed ora era un Monaco Sinc, non poteva essere
nient'altro.
50
Il
Signor Budellazzi e Fratello Chj stavano rincasando dalla
passeggiata, nel tragitto avevano chiacchierato del più e del meno,
trovandosi d'accordo su gran parte degli argomenti sciorinati
alternativamente e in particolare sul clima che, nel BOSCO, era
decisamente migliore che nella GRAN MADR.
Solo quando furono
rientrati in casa, Fratello Chj decise che era arrivato il momento di
chiedere al Signor Budellazzi se si sentisse bene,
- Sì, che sto
bene, abito in una bella casa insieme a una moglie amorevole, vivo in
uno dei posti più tranquilli che ci siano, non mi sono mai sentito
così bene di salute, ma perché me lo chiedi? -
Fratello Chj
indugiò un attimo prima di rispondere, aveva notato che durante
tutta la passeggiata il Signor Budellazzi non aveva mai fatto cenno a
suo figlio al quale era molto legato.
- No, niente, così,
curiosità di un vecchio Monaco Sinc. -
Poi, dopo una pausa
durante la quale cercò di trovare le parole giuste, riprese a fare
domande al Signor Budellazzi.
- E tuo figlio? La Ferramenta adesso
la gestisce lui, immagino. -
il silenzio e lo sguardo ebete del
Signor Budellazzi come risposta, rivelò ciò che Fratello Chj
sospettava: come effetto collaterale prodotto dall'elisir
dell'ubiquità, non solo il corpo si scindeva in due corpi ben
distinti e distanti, ma anche l'anima si divideva allo stesso modo,
così ciò che provava l'una, i sentimenti, le preoccupazioni, le
sensazioni, l'altra non era in grado di provarli più.
Se questo
Signor Budellazzi non aveva reagito a una domanda sul proprio figlio,
poteva significare soltanto una cosa: non aveva un figlio, per
l'assurdo e allo stesso semplice fatto che ad avere un figlio era
l'altro Signor Budellazzi.
Resosi
conto della situazione Fratello Chj scelse di non insistere
sull'argomento e spostò la chiacchierata verso argomenti più
consoni al Signor Budellazzi lì presente.
Ora, pensava tra sé
e sé, si trattava soltanto di attendere che l'effetto procurato
dall'elisir dell'ubiquità svanisse, ma quanto poteva durare
l'attesa? Ore? Giorni? Per sempre? Non si sapeva.
Ecco, se
l'effetto dell'elisir dell'ubiquità non aveva scadenza, poteva
essere un bel casino: cosa sarebbe potuto accadere, per esempio, se
un giorno i due Signor Budellazzi si fossero incontrati?
E se uno
dei due Signor Budellazzi avesse ingerito nuovamente l'elisir
dell'ubiquità? Quanti Signor Budellazzi sarebbero potuti esistere?
Per fortuna era una cosa praticamente impossibile. Per quanto fosse
abbastanza semplice ottenere la riduzione di bisò, la polvere di
fiore di zavagliona era altamente difficile da ottenere trattandosi
di una pianta rarissima.
Confortato da quest'ultima
considerazione, Fratello Chj pensò che era giunto il momento di
lasciare il BOSCO, la sua presenza lì ormai non era più
necessaria.
- Senti Gisto, io me ne andrei. -
- Di già? Non
ti fermi nemmeno a cena? -
Fratello Chj, valutò l'opportunità di
fermarsi per un'ultima cena insieme al suo amico e a quella brava
cuoca di sua moglie.
- Ma sì, resto a cena poi però vado, ho da
sbrigare un po' di cose -
Il Signor Budellazzi rinfrancato dalla
decisione di Fratello Chj si affacciò sul corridoio e urlò a Lice
di preparare la cena.
- Lice! Fratello Chj rimane a cena. -
La
cena preparata quella sera dalla Lice fu come al solito abbondante e
saporita.
- I miei complimenti alla cuoca. -
commentò Fratello
Chj asciugandosi la bocca con il tovagliolo.
Lice
accolse i complimenti con un sorriso d'orgoglio.
- Un caffé, un
amaro? -
- A questo punto abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno;
prendo un caffè e un amaro, se è possibile. -
Il Signor
Budellazzi, mentre Lice era andata in cucina per mettere su la moka
per i caffè, si alzò per andare a prendere dal mobile dei liquori,
un po' di bottiglie con i bicchierini adatti.
- Allora, hai
proprio deciso di andare? -
- Sì Gisto, è ora che vada.
-
confermò Fratello Chj.
- Ci rivedremo presto però, non far
mica passare tutti questi anni. -
- Contaci Gisto. -
rispose
Fratello Chj mentre pensava che andava via proprio per incontrare
l'altro Signor Budellazzi.
I due vecchi amici sorseggiarono
insieme per l'ultima volta caffè e amaro, poi Fratello Chj andò a
salutare Lice che si era trattenuta in cucina a sistemare.
Uscito
dalla casa, mise le mani in tasca e tirò fuori il blister con la
pillola rossa e la pillola blu, si guardò intorno per assicurarsi
che non ci fosse nessuno presente e le ingerì contemporaneamente,
probabilmente non sarebbe mai più tornato nel BOSCO, però era
meglio lasciare quella porta sempre aperta.
Si ritrovò
come previsto sotto il Ponte delle Bambocce, andò alla cabina
telefonica più vicina, alzò la cornetta e digitò il numero che
aveva scritto su un foglietto tutto spiegazzato.
- Ciao, vediamoci
alla spiaggia libera tra Ramiana e Aremina. -
51
In
ordinata fila indiana, con a capo Spugna che dava l'andatura, gli ex
pirati percorrevano le strade della GRAN MADR; meta del loro
viaggiare era incontrarsi con l'Amministratore Delegato Steve
Pelloni, che li attendeva nella suite del Grand Hotel di Aremina dove
aveva sede uno dei suoi sette uffici.
Steve Pelloni, per quella
sera aveva un solo e unico progetto, scoparsi l'ennesima turista che
aveva deciso di svernare sulle spiagge sud della GRAN MADR. Non si
aspettava di certo che quegli scalmanati che aveva incontrato sulla
strada si presentassero puntuali, dieci minuti prima dell'ora di
cena, cena rigorosamente a lume di candela, soltanto per due.
Steve
Pelloni stava in piedi con impaziente attesa davanti alla grande
vetrata dietro alla sua scrivania; sapeva che la fortunata era stata
prelevata pochi minuti prima e che a breve sarebbe giunta davanti
alla sua porta. Un timido toc toc e lui le avrebbe aperto la sua
stanza della felicità, l'avrebbe fatta sedere a tavola e con modi
romantici ma decisi l'avrebbe sedotta fino a portarsela a letto.
Toc toc.
Steve Pelloni, si sistemò rapidamente la giacca e
andò ad aprire elegantemente la porta, sicuro di trovarsi di fronte
la sensuale bionda che aveva invitato qualche giorno prima.
-
Avanti, -
Si ritrovò di fronte le faccie sudicie di Spugna,
Squalo, Sgrunz, Magilla, Kabul, Tartaja, Turiddu e dei Gemelli
Banzaj. A far da portavoce fu Squalo.
- Buonasera Signor
Amministratore Delegato, saremmo venuti qui per quel lavoro che c'ha
offerto oggi. -
- Ma che caz ...Benvenuti! Prego, accomodatevi. -
Appena
entrati gli ex pirati, Steve Pelloni si chiuse la porta dietro le
spalle; tutto quanto il suo progetto serale era improvvisamente
andato a farsi friggere, ma pur di non mandare completamente a monte
la serata, approfittò dell'occasione per illustrare ciò a cui stava
pensando da un po' di tempo.
- Ssstava aaaspettando qqqualcuno?
-
chiese Tartaja educatamente, notando la tavola imbandita,
-
No, no è soltanto per una frugale cena di lavoro, che posso
tranquillamente rimandare. -
- Cazzo, cazzo, cazzo! -
pensò
tra i denti Steve Pelloni rammaricandosi di ciò che non sarebbe
potuto più accadere quella sera.
- Accomodatevi prego -
Steve
Pelloni andò a posizionarsi dietro la sua scrivania, metre gli
expirati andarono a sedersi con qualche difficoltà dovute alla
conformazione delle stesse sulle poltrone e sul divano poste di
fronte.
- Allora, signori miei. -
Steve Pelloni, prima di
proseguire si accese il sigaro, un rito che era abituato a fare ogni
volta che cominciava una riunione,
- Io sono alla ricerca di un
gruppo di persone coese, capaci e intraprendenti a cui affidare un
compito molto particolare. -
Fece una pausa per vedere le reazioni
dei presenti, poi riprese.
Un compito molto particolare che potrà
dare una svolta positiva, anche e soprattutto dal punto di vista
socioeconomicoculturale. -
altra pausa per monitorare
l'attenzione,
- Ma non soltanto, questa attività che vi andrò ad
illustrare ha certamente anche un fine filantropico, oserei
affermare. -
Steve Pelloni dispiegò sulla scrivania una cartina
della GRAN MADR.
-
Avvicinatevi prego. -
Gli ex pirati si alzarono e si
avvicinarono alla scrivania; con il dito Steve Pelloni indicò un
punto sulla cartina, un punto in mare aperto.
- Qui, qui signori
miei è dove si andrà a fare la storia. -
Sotto al polpastrello
appoggiato sulla cartina c'era una X disegnata a pennarello che
copriva parzialmente un minuscolo triangolo
Proprio lì, si
trovava L'isolata, un'isola artificiale costruita moltissimo tempo fa
da una civiltà ormai scomparsa, L'Isolata, che ora sarebbe dovuta
essere ridotta a un ammasso di ferro arrugginito e di legno marcio,
se non addirittura completamente distrutta e sommersa dal mare,
incredibilmente appariva ancora nel suo pieno splendore. Questo,
secondo una leggenda a cui Steve Pelloni intendeva dare credito, era
dovuta a una energia illimitata la cui origine risultava ancora
misteriosa.
Secondo la visione dell'Amministratore Delegato,
scoprire la fonte di tale energia illimitata, poteva risolvere tanti
di quei problemi nella GRAN MADR.
- Prima però ... -
proseguì
Steve Pelloni togliendo il dito dalla cartina.
- Prima servono i
soldi per finanziare le ricerche. Per questo ho pensato
all'organizzazione di uno spettacolo d'arte varia itinerante da
svolgere nelle principali piazze, ingresso ovviamente a offerta
libera che così la gente ci viene senza tanti pensieri e con tanto
di stand gastronomico annesso che così alla gente viene ancor più
voglia di venirci perchè si mangia anche. Ovviamente roba abbondante
e genuina del posto, con vino e birra a fiumi, che non badiamo mica a
spese quando c'è da far baldoria noi qua nella GRAN MADR. -
Gli
ex pirati continuavano ad ascoltare attentamente pur non
capendoci
sostanzialmente niente.
- Ecco, quello che serve sono volontari
come voi per mettere su questo spettacolo d'arte varia itinerante con
stand gastronomico annesso, è inutile che vi dica che soldi non ce
ne sono e, se ce ne fossero, servono appunto per tutte le cose che ci
sono da fare, ma un piatto e un bicchiere di vino per ciascuno di
voi, come è vero che mi chiamo Steve Pelloni e sono l'Amministratore
Delegato della GRAN MADR quelli ah beh! Ci sono. -
- Possiamo pensarci un'attimo? -
- Tutto
il tempo che volete. -
Gli ex pirati si fecero due conti in tasca,
racimolando tre monete e mezzo più una rondella di plastica buona
soltanto da infilare nei carrelli della spesa.
- Accettiamo,
quando si comincia? -
- Anche da subito, io pensavo che sarebbe il
caso di partire proprio da qua, da Aremina, avete già delle idee?
-
Gli ex pirati non avevano la minima idea di quello che potevano
fare, ma la prospettiva di poter mettere qualcosa sotto i denti li
indusse a elucubrare qualcosa.
- Per adesso no, ma ci stiamo già
pensando. -
- Mi fido di voi, e per adesso grazie e arrivederci.
-
Furono le ultime parole di Steve Pelloni mentre accompagnava
alla porta i suoi interlocutori.
-Oh, finalmente! -
Steve
Pelloni si stravaccò sulla poltrona appena deformata da Magilla e si
versò un bicchiere abbondante di un superalcolico a caso e lo
sorseggiò con tutta tranquillità mentre osservava le luci notturne
di là dal vetro.
La serata non era poi andata così male.
52
La
motonave scivolava lentamente, trascinata dalla corrente del fiume
sotterraneo, attorno c'era un buio inimmaginabile e un silenzio
carico di mistero; nessuno aveva il coraggio di fiatare, la frequenza
dei battiti cardiaci era l'unica testimonianza di quanta ansia fosse
lì presente, solo Sorella Luna che stava seduta a gambe incrociate
sulla prua della motonave, aveva il sorriso di un'attesa un po'
incosciente, mentre gli altri erano tutti rannicchiati a
poppa.
Ognuno, in attesa di un futuro sotto forma di una qualche
specie di luce o di un qualsiasi rumore che tardava ad arrivare, si
era messo a fare i conti col proprio passato.
Arlòt e Teofània
istintivamente si tenevano per mano e, più che a far conti coi
rispettivi passati remoti, Teofània in particolare preferiva non
andare molto in là con i ricordi, si erano messi a ripensare a
quello che era capitato negli ultimi tempi, a quanto avevano sentito
la mancanza l'uno dell'altra, alla paura di perdersi e di non
ritrovarsi più.
Aziz, che di passato coi quali fare i conti ne
aveva un bel po', tornando a quei momenti in cui suonava il violino
nelle piazze della GRAN MADR, pensò che quello era ciò che sapeva
fare e nonostante tutto quanto gli era capitato, suonare il violino
nelle piazze della GRAN MADR era ciò che voleva fare.
Pafol si
rese conto che tutto quello che gli era capitato era stato per caso:
per caso quando si ritrovò da solo sulla Dolcinia in seguito alla
battaglia dei Mille Fichi; per caso quando la tromba d'acqua
trasportò lontano da Saint'Arembage il galeone dei pirati sul quale
si trovavano insieme a Julius; per caso o giù di lì, ogni
volta era arrivato il nano Deusex Machina a toglierlo dai guai; per
caso un mucchio di altre cose che gli erano capitate, o forse no,
niente era stato per caso: qualcuno stava ricalcando un disegno ben
definito
e lui era soltanto la punta della matita.
Adesso di
là da questo buio e da questo silenzio cosa lo aspettava?
Per il
Signor Budellazzi quei momenti furono molto tormentati, sapeva che da
qualche parte lì, oltre al buio e al silenzio,sulla motonave c'era
suo figlio Libero, ma un pensiero cominciò a ronzargli per la
testa.
- Se ho un figlio ho anche una moglie, una compagna,
un'amica del cuore? -
Gisto, quel Gisto si era completamente
dimenticato di Lice, quindi cominciò a cercare tra i suoi ricordi
che presto lo portarono dietro al bancone della Ferramenta Budellazzi
e poi giù nel laboratorio, ricordò il giorno in cui arrivarono
Pafol, Julius e Aziz e le risate notturne al ritorno a casa di Libero
dopo uno dei tanti tornei di rutti.
Nei suoi ricordi però c'erano
dei grandi vuoti, quelli nei quali c'era Lice, soprattutto quelli con
Lice nel BOSCO, che non poteva ricordare perché erano ricordi
rimasti all'altro Signor Budellazzi.
- Eppure deve esserci qua
Con
questo tormento il Signor Bulcos'altro nel mio passato. -
Continuava a rimuginare il Signor Budellazzi, sfregandosi le
dita, soprattutto l'anulare sinistro attorno al quale c'era un anello
che non riusciva a motivare.dellazzi passò tutto il tempo trascorso
mentre la motonave scivolava lenta trasportata dalla corrente del
fiume
sotterraneo;
un tormento che gli cagionò un peggioramento repentino della salute.
53
Nel
frattempo, Fratello Chj e Fratello Julius si erano dati appuntamente
alla spiaggia libera tra Ramiana e Aremina, ma prima Fratello Chj
fece una piccola deviazione recandosi al Grand Hotel per parlare a
Steve Pelloni.
Steve Pelloni pur essendo un uomo dalle maniere
piuttosto mondane, non disdegnava affatto, anzi provava un profondo
rispetto verso gli uomini spirituali come lo erano i Monaci Sinc; in
particolare verso Fratello Chj che andava a trovare almeno una volta
al mese da quando era diventato il suo personale confidente.
Questa
volta però non era Steve Pelloni ad aver bisogno di confidarsi con
Fratello Chj, ma era il Monaco Sinc a dover chiedere un favore
all'Amministratore Delegato della GRAN MADR.
Fratello Chj giunto
alla reception del Grand Hotel si fece annunciare e subito venne
accolto da Steve Pelloni con grande entusiasmo.
- Fratello Chj, a
cosa debbo questa visita? -
- Vedi Steve, in tutti questi anni sei
stato tu a venire da me per confidarmi i tuoi dubbi, per chiedermi
dei consigli e io per te ci sono sempre stato cercando di darti le
risposte migliori per te e per il tuo lavoro, questa volta sono io
che ho bisogno. -
Steve Pelloni preso alla sprovvista
dall'inaspettata visita, non riusciva proprio a immaginare quale
potesse essere il motivo per il quale Fratello Chj aveva bisogno di
lui.
- Volentieri Fratello Chj, ma cosa posso fare io? -
Fratello
Chj sapeva bene cosa voleva dall'Amministratore Delegato della GRAN
MADR e senza tanti giri di parole andò subito al sodo della
questione. Era sicuro, si trattava di una buona idea, mancava
soltanto una cosa per realizzarla, l'assenso da parte sua.
Steve
Pelloni si fidava ciecamente di Fratello Chj e per quanto l'idea gli
parve bizzarra, non esitò un attimo a dirsi disponibile, ma lo
invitò ad andare subito insieme a lui al podere dove si stavano
preparando gli expirati, per comunicare il cambio di programma.
Gli
expirati avevano scelto come luogo dove dedicarsi alla preparazione
dello spettacolo per finanziare le ricerche a L'Isolata, un vecchio
podere nelle colline tra Livvì e Fiordargilla, abitato tempo
addietro da una comunità di sagratori, gente dedita
all'organizzazione di sagre paesane. Lì, benchè un po' malmesso,
avevano trovato tutto quello che occorreva.
Agli expirati non
mancava certamente l'entusiasmo per affrontare quella situazione,
purtroppo ciò di cui difettavano era l'organizzazione e soprattutto
la disciplina; non capitava più che si mettessero a litigare o
tantomeno a menarsi violentemente tra di loro, però divagavano
frequentemente perdendosi tra battute e scherzi reciproci, così che
gira e rigira alla fine della giornata non avevano combinato un bel
niente.
Steve Pelloni e Fratello Chj si resero conto della
situazione appena arrivarono al vecchio podere, gli expirati erano
impegnati in una battaglia di gavettoni benché la giornata non fosse
delle più torride.
Uno dei gavettoni lanciati da Tartaja, il
cecchino della compagnia, diretto ai Gemelli Banzaj, i più veloci a
muoversi, colpì il parabrezza dell'auto di Steve Pelloni che
inchiodò di colpo, uscendo fuori come una furia,
- Oooh! -
A
Steve Pelloni gli si poteva toccare tutto, ma non la sua autombile
che faceva lavare e lucidare tutte le settimane.
Immediatamente
tutti gli expirati rimasero di ghiaccio, era dai tempi delle
scorribande che non sentivano un rugghio del genere, di solito era di
Torquato L'Unghiato quando veniva disturbato a
sproposito
durante la pennichella del dopo pranzo.
Bastò l'intervento di
Fratello Chj per calmare la scena.
- Come va ragazzi? -
Gli
expirati cercarono di ricomporsi e simulare goffamente una situazione
in cui tutto procedeva ottimamente.
- Benissimo! -
A questo
punto Steve Pelloni cominciò a declamare quanto la situazione si
fosse evoluta e in questo trovò in Fratello Chj un eccellente
alleato.
Invece di lamentarsi degli inesistenti progressi fatti
dagli expirati nella preparazione degli spettacoli per finanziare le
ricerche sull'isola artificiale, si mostrò comprensivo addossandosi
tutta la colpa per aver appioppato un compito così gravoso e al di
sopra delle loro, pur notevoli, capacità.
Fratello Chj rincarò
la dose elogiando la buona volontà degli expirati, una buona volontà
che andava assolutamente premiata e per questo.
- Sappiamo che
non saprete rinunciare alla proposta che vi stiamo per fare.
-
Effettivamente gli expirati accolsero con un entusiasmo sfrenato
la proposta offerta: si trattava di tornare a fare qualcosa che
conoscevano molto bene, ora dovevano solamente aspettare che gli
fosse comunicato quando ricominciare.
54
Il
buio attorno alla motonave lentamente cominciò a farsi chiarore,
iniziò a udirsi un lieve sciabordio e le sagome piano piano
divennero sempre più nitide.
La
prima a rendersene conto fu Sorella Luna che alzatasi in piedi si
rivolse ai suoi compagni di viaggio ancora sommersi nei loro ricordi.
-
Ci siamo! -
ormai disabituati alla luce e a qualsiasi rumore,
Pafol, Aziz, Arlòt e Teofània si sentirono talmente disorientati e
a disagio che per istinto chiusero gli occhi e si tapparono le
orecchie.
- Che succede? -
chiesero spaventati, Sorella Luna
li esortò ad aprire gli occhi.
- Guardate! Il mare! -
Il
mare, eccolo finalmente, il fiume sotterraneo era emerso nei pressi
di una spiaggia libera tra l'estremità sud di Ramiana e quella nord
di Aremina, là dove l'abitato della GRAN MADR abbandonava la costa,
lasciando una zona relativamente incontaminata protetta da dune di
sabbia e una vasta pineta. Incuriositi seppur titubanti i passeggeri
della motonave aprirono gli occhi, ad attenderli sulla sabbia c'era
Fratello Julius con una grande sacca vicino ai piedi e, arrivato
appena in tempo dalla chiacchierata con gli expirati, anche Fratello
Chj, mentre Steve Pelloni era rimasto ad attendere in auto ai margini
della pineta.
La prima a scendere dalla motonave, così com'era
stata la prima a salirci, fu Sorella Luna che corse ad abbracciare
suo fratello.
- Sorellina sei tornata/ Dimmi un po'/ Com'è
andata? -
- Fratellone, è stata dura/ C'era un buio da paura/ Un
silenzio da spavento/ Il mio cuore ora è contento. -
Fratello
Julius, mise mano alla sacca e rovistandoci dentro con le mani tirò
fuori un piccolo oggetto e lo donò a Sorella Luna.
- Tieni
Luna ‘sto regalo/ Fanne l'uso a te più caro. -
Sorella Luna
accolse sul palmo della mano il piccolo cristallo che Fratello Julius
le stava porgendo e immediatamente se la portò al petto, poi corse
ad abbracciare Fratello Chj.
Il secondo a scendere dalla
motonave fu Aziz, che guardandosi intorno, continuava a ripetere
-
Fati robi, fati robi, … - (che robe, che robe, ...)
e mentre
si girava intorno, indeciso da che parte andare, fu Fratello Julius
ad andargli incontro; fu un lungo abbraccio tra i due al quale si
aggiunse anche Pafol che nel frattempo era sceso dalla motonave.
Fratello Julius nella sacca aveva dei doni anche per i suoi vecchi
amici, - Pafol mio caro amico/ Sono sicuro in ciò che dico/ Questo
dono ti do in mano/ Sia per te un talismano. -
Nella scatola di
legno che Fratello Julius donò a Pafol, c'era una pipa caratina
finemente intarsiata, Pafol con gli occhi lucidi dall'emozione se la
mise immediatamente tra le labbra facendo finta di assaporare l'aroma
del tabacco incendiato.
Ad Aziz che era rimasto compiaciuto
della felicità di Pafol nel ricevere la pipa, Fratello Julius donò
ciò che di più prezioso poteva esistere per quel vecchio musicista,
un violino nuovo di pacca.
Aziz appena vide uscire dalla sacca
la sagoma inconfondibile dello strumento ad arco, scoppiò in un
pianto di sincera felicità, lo prese in mano e cominciò a suonare
un'allegro motivetto saltellando qua e là come un grillo.
-
Caro Arlòt, Teofània Cara/ Una cosa già vi è chiara/ Voi starete
sempre insieme/ Questo cuore vi appartiene -
dalla sacca ormai
vuota, Fratello Julius prese la scatola di un puzzle tridimensionale,
la figura da costruire era proprio quella di un cuore.
Arlòt e
Teofània furono molto felici per il dono ricevuto e abbracciarono
affettuosamente Fratello Julius.
Il primo a voltarsi indietro
verso la motonave fu Arlòt, erano passati già alcuni minuti e suo
babbo non era ancora sceso.
- Babbo ?! -
Il Signor
Budellazzi non rispondeva e Arlòt cominciò a preoccuparsi
-
Babbo, ci sei ?! -
Ancora niente e allora Arlòt lasciò la mano
di Teofània che per tutto quel tempo non aveva mai smesso di
stringere e si incamminò verso la motonave con passo svelto.
-
Fermati! Vado io. -
Fratello Chj che aveva capito ciò che
stava accadendo, raggiunse Arlòt e appoggiandogli una mano sulla
spalla lo bloccò proseguendo verso la motonave. - Credimi, è meglio
se vado io, -
disse, ancora rivolgendosi ad Arlòt mentre si
stava accingendo a salire sulla motonave.
Quando Fratello Chj
riuscì a raggiungerlo Il Signor Budellazzi era ormai completamente
privo di forza, con l'anello tra le dita, sussurrava flebilmente.
- Lice? Lice, amore mio, dove sei? -
Fratello Chj si rese
subito conto che ormai non c'era più tempo per il Signor Budellazzi,
l'effetto dell'elisir dell'ubiquità stava per svanire e insieme a
lui anche Il Signor Budellazzi, quello lì, perché quell'altro nel
BOSCO probabilmente stava godendo ancora di ottima salute e presto
sarebbe ritornato ad essere l'unico Signor Budellazzi, con un corpo e
un anima unici.
Senza parlare Fratello Chj appoggià le sua
mani sulla testa del Signor Budellazzi accompagnandolo dolcemente
nella sua sparizione.
A sparizione del Signor Budellazzi
avvenuta, Fratello Chj si accinse a scendere dalla motonave sotto la
quale nel frattempo si era formato un capannello, vedendo scendere
Fratello Chj da solo, tutti si voltarono verso Arlòt, aspettando una
sua reazione.
- E babbo? -
prima di rispondere, Fratello Chj
fece cenno a tutti gli altri di allontanarsi e poi abbracciando Arlot
gli sussurrò all'orecchio:
- Tuo babbo è scomparso. -
- E'
morto? -
domandò Arlòt senza divincolarsi dal tenero abbraccio
di Fratello Chj.
- No, è scomparso. - rispose Fratello Chj con
un tono di voce totalmente rassicurante.
- Ora non sei in grado
di capire ciò che è accaduto, ma posso assicurarti che tuo babbo
sta bene ed è felice. -
Arlòt, anche se non aveva capito, mostrò
un timido sorriso subito ricambiato da Fratello Chj.
- Ora vai,
anzi... -
rivolgendosi anche agli altri
- Andiamo tutti
che c'è ancora tanto da fare e l'Amministratore Delegato ci sta
aspettando. -
- Chi ci aspetta? -
- Cos'è successo al Signor
Budellazzi? -
Fratello Chj veniva tempestato di domande alle quali
non intendeva ripondere, almeno non subito,
- Lo scoprirete
presto, per adesso abbiate fiducia in me.-
55
Ad
aspettarli appena fuori dalla pineta che divideva l'abitato della
GRAN MADR dalla spiaggia libera c'era Steve Pelloni, seduto al posto
di guida della sua automobile, sfogliava un giornaletto mentre
dall'autoradio una musica tamarra usciva a tutto volume. Con quelle
distrazioni non si era accorto che Fratello Chj era tornato
accompagnato da altra gente.
- Steve! Eccoci qua. -
lo
chiamò Fratello Chj avvicinandosi al finestrino,
- Eh? Ah!
-
Steve Pelloni gettò malamente il giornaletto sul tappetino e
spenta l'autoradio uscì dall'auto, si sistemò un po' tirandosi su i
pantaloni si riassettò la giacca, sollevò gli occhiali scuri sulla
fronte e squadrò per bene chi si trovava di fronte.
- Sono
loro? -
domandò a Fratello Chj.
Assicurato di trovarsi
davanti alle persone giuste, si presentò stringendo vigorosamente le
mani a tutti, indugiando un po' di più quando si trovò al cospetto
di Teofània la quale tentò con un velato imbarazzo di sottrarsi a
quello sguardo da marpione.
- Conosci questo signore, Fratello
Chj? -
chiese Fratello Julius a bassavoce,
- Certo Fratello
Julius, conosco Steve Pelloni da tanto tempo. -
- Me, a n’ ò
incora capì gnìt. - (io,
non ho ancora capito niente)
Aziz che era un po' di tempo che non apriva bocca, cercò
chiarimenti su tutto quello che stava accadendo.
- Il
Signor...? -
- Aziz, am ciãm Aziz. - (Aziz,
mi chiamo Aziz)
-
Il Signor Aziz. -
riprese
Steve Pelloni,
- Ha totalmente ragione, è ora che vi venga
spiegata la ragione di questo incontro, ma non credo proprio sia
questo il posto adatto. -
Steve Pelloni prese in mano il suo
telefonino e fece una chiamata; dopo neanche mezzominuto furono
raggiunti da un taxi sul quale furono invitati a salire Arlòt,
Teofània, Pafol e Aziz, mentre i tre Monaci Sinc si accomodarono a
bordo dell'auto di Steve Pelloni.
Il luogo dove Steve Pelloni
aveva deciso di svelare tutto era una vecchia balera, quel giorno
chiusa e lui per qualche ragione aveva le chiavi per entrare.
Fece
accomodare tutti sui comodi divanetti di finta pelle rossa che
circondavano la pista da ballo e srotolò sul tavolino di plexiglass
trasparente la mappa della GRAN MADR così come aveva fatto nel suo
ufficio del Grand Hotel di Aremina davanti agli expirati.
- La
ragione per la quale ci troviamo qui è questa. -
il suo dito
indice puntò dritto su L'Isolata,
- Me, an gn’ ò incora
capì gnìt. - (io
non ho ancora capito niente.)
intervenne nuovamente Aziz con un tono col quale manifestava
una certa impazienza, Steve Pelloni, proseguì dritto a raccontare
con il trasporto che lo caratterizzava ciò che si raccontava
riguardo a L'Isolata e di quella energia illimitata di origine
misterosa alla quale intendeva accedere per il bene di tutta la GRAN
MADR e dei suoi abitanti.
- Beh, cosa ci vuole ad andarci,
quanto ci sarà da qui a là' -
intervenne Pavol calcolando a
spanella la distanza che sulla mappa stesa sul tavolino c'era tra la
costa della GRAN MADR e il punto indicato da Steve Pelloni.
- Il problema non è la distanza è che non è ancora stato trovato
il modo di avvicinarsi nè via mare, nè via aerea. -
svelò Steve Pelloni,
-
C'è qualcosa che impedisce di avvicinarsi all'Isolata. -
Gli
sguardi interrogativi dei suoi interlocutori e la presenza del suo
confidente Fratello Chj lo indussero a raccontare ciò che aveva
sempre evitato di fare ogni volta che provava a proporre a qualcuno
una spedizione verso L'Isolata.
- Ecco, è successo che tutti
quelli che hanno tentato di raggiungere L'Isolata, pochi casi ad
essere sinceri, al ritorno hanno sempre raccontato la stessa storia.
- Ac stôria? - (Che
storia?)
domandò Aziz avvicinandosi verso Steve Pelloni.
- Che
improvvisamente si ritrovavano un'altra imbarcazione che gli andava
incontro dritta di prua ed erano costretti a virare per evitare lo
scontro. -
- Ma poi si rivira e si va verso L'Isolata. -
pensò
Arlòt ad alta voce.
- E no! Ogni volta che si punta verso
L'Isolata, improvvisamente sbuca fuori un'imbarcazione che viene
incontro, tocca virare sempre, alla fine impazziscono tutti. -
Steve
Pelloni prima di proseguire si alzò in piedi e si tolse la giacca.
- Ma lo sapete qual'è il problema? Il
problema è che dai dati satellitari sull'Isolata non c'è anima
viva, figuriamoci e ci sono imbarcazioni che vanno contro altre
imbarcazioni. -
- Arrivarci dall'alto? Con un elicottero?
-
propose Teofània mettendo in mostra il suo intuito femminile
- Ma cara, dove vuoi far atterrare un elicottero, che L'Isolata è
tutta fatta a punte, e poi ci sono sempre dei gran nuvoloni sopra che
non si vede di sotto. -
Steve Pelloni tornò a sedersi sul
divanetto aspettando qualche reazione.
La
reazione non tardò molto ad arrivare, fu Pafol che rigirandosi la
pipa da poco ricevuta in dono da Fratello Julius, domandò:
- E
perché dovremmo tentare di andarci noi su L'Isolata? -
Steve
Pelloni provò a spiegare, ma tutti furono distratti dal rumore
sempre più ravvicinato di motori smarmittati.
- E' permesso?
-
gli expirati fecero il loro ingresso nella balera.
56
Proprio
voi, accomodatevi pure. -
Steve Pelloni fece gli onori di casa
andando a prendere qualcosa da bere dalla zona bar, mentre alla vista
dei pirati tutti gli altri, tranne i Monaci Sinc si misero sulla
difensiva.
- Cosa sta succedendo? -
Pafol molto spaventato
dell'arrivo di coloro che credeva ancora pirati iniziò a guardarsi
attorno come un animale chiuso in gabbia indeciso se tentare una
disperata fuga o combattere per la sopravvivenza.
- Pafol, Aziz,
Arlòt, Teofània, state tranquilli, qua siamo tutti dalla stessa
parte, anche loro fanno parte del progetto. -
Gli expirati fecero
cenni di consenso alle affermazioni di Fratello Chj e si accomodarono
diligentementi sui divanetti rimasti liberi.
Steve Pelloni
riprese il discorso alla fine del quale informò i presenti che a
tentare di raggiungere L'Isolata sarebbero stati proprio gli
expirati, usando la motonave.
Un brusio si levò nella balera e
Fratello Chj chiamò in disparte Steve Pelloni.
- Steve, cos'è questa storia? Perché me ne avevi parlato? -
-
Scusami Fratello Chj, ma mi sembrava la soluzione migliore. -
-
Ti capisco Steve, ciò che dici ha un suo senso, ma guardali bene.
-
Fratello Chj senza farsi notare troppo indicò il gruppetto
degli expirati che intanto si stavano bevendo delle spume sputandosi
vicendevolmente il contenuto.
- Boh, a me sembrano dei bravi
ragazzi, un po' eccentrici, ma chi non è un po'
eccentrico a questo mondo. -
- Fossero solo un po' eccentrici non
ci sarebbe nessun problema Steve, è che sono po' indisicplinati,
hanno bisogno di qualcuno a badarli. -
- Ma
come si potrebbe fare? -
domandò Steve Pelloni riconoscendo
che Fratello Chj diceva il giusto.
- Prova a mischiare le squadre, bisogna tirare fuori il meglio da
ognuno di loro. -
suggerì il Monaco Sinc,
-
Allora facciamo così. -
Steve Pelloni, si scolò tutto d'un colpo
un gintonic e facendo affidamento alle sue qualità dialettiche
disse:
- Vi vedo perplessi, se la proposta che vi ho fatto non
è di vostro gradimento, si può fare in un' altra maniera, per
esempio si possono mischiare le squadre. -
Sia gli expirati che il gruppetto della motonave mostrarono
perplessità riguardo all'ipotesi di mischiare le squadre,
-
Fratello Chj, secondo te può essere una buona idea fare una squadra
mista con questi ragazzi qua? -
Fratello Chj assecondò Steve
Pelloni rincarando la dose,
- A me non sembra una buona idea,
questa è un'ottima idea! -
- Allora facciamo scegliere a loro chi
partirà verso L'Isolata con la motonave? -
- Mmmm... -
Fratello Chj si guardò un po' intorno per capire dagli sguardi
chi
erano
i più adatti ad intraprendere questa avventura.
- Io farei
scegliere chi sarà il capitano della motonave, poi sarà lui a
scegliere chi salirà sulla motonave con lui, si faceva così una
volta, se ben ricordo. -
poi rivolgendosi direttamente a Fratello
Julius e a Sorella Luna disse:
- Ovviamente noi Monaci Sinc ci
asteniamo. -
- Ovviamente, Fratello Chj -
risposero
ubbidienti, seguendo una regola dei Monaci Sinc.
- Bene, chi
volete fare capitano della motonave? -
domandò Steve Pelloni.
Immediatamente si formarono due capannelli, quello formato dagli
expirati e quello con Pafol, Aziz, Arlòt e Teofània, c'era un
evidente disparità, ma il voto doveva essere, secondo l'intento di
Steve Pelloni, individuale e soprattutto libero.
Dopo un po'
prese la parola Spugna, il più anziano tra i presenti.
- Io
sono stanco, ho una certa età e vorrei andare in pensione, per
favore non fatemi capitano, anzi non chiedetemi proprio di salire
sulla motonave. -
- Aaanche aaa mmme, nnnon fffatemi
mmmica cccapitano, ccche nnnon ssson bbbuono dddi dddare dddegli
ooordini. -
- Tranquillo Tartaja che non ti facciamo capitano.
-
ribattè Squalo tra le risa degli altri expirati.
Anche I
Gemelli Banzaj con la gestualità rituale derivata dalla loro
tradizione orientale fecero intendere la loro contrarietà a
diventare capitani della motonave.
-
Oh,
non dovete mica decidere chi non sarà capitano, dovete decidere chi
lo sarà, su dai, scegliete! -
Steve Pelloni che era un tipo a
cui non piaceva quando si andava per le lunghe, mise i presenti
davanti a una decisione da prendere immediatamente. Squalo prese la
parola facendosi portavoce degli expirati,
- Noi di motonavi non
ci capiamo proprio niente, se si trattava di un galeone magari
qualcosa potevamo saperla, ma di una motonave proprio no, è meglio
se il capitano lo scelgono loro. -
Pafol, Aziz, Arlòt e Teofània
furono presi alla sprovvista, tra di loro avevano più che altro
fatto delle scommesse su chi avrebbero scelto gli altri. - Noi? -
domandò Arlòt, per essere sicuro di aver capito bene.
- Sì
voi, dai decidete. chi sarà il capitano della motonave? -
Steve
Pelloni, cominciava a impazientirsi, si stava facendo tardi e lui
aveva in programma una delle solite cene a lume di candela.
-
Pafol, te t’ci l'onic adàt. - (Pafol,
tu sei l'unico adatto)
disse Aziz, con l'approvazione di Arlot e Teofània.
- Io?! -
Pafol non voleva dichiararlo, ma lo sentiva di essere lui il
capitano della motonave, in fondo l'aveva sempre considerata la sua
motonave.
- E allora, viva Capitan Pafol! -
decretò Steve
Pelloni.
- Viva! -
risposero tutti gli
altri e i più contenti della decisione furono gli expirati.
Aziz prese in mano il suo violino e cominciò
a suonare, subito accompagnato dal battito di mani e di piedi degli
expirati, Arlòt e Teofània si misero a ballare in pista sulle note
del motivetto allegro suonato da Aziz e anche Fratello Julius e
Sorella Luna non si trattennero dal cimentarsi nella danza. Al
riguardo c'era una regola dei Monaci Sinc che diceva: se c'è da
ballare si balla.
Pafol ancora scosso dalla decisione appena
presa fu avvicinato da Steve Pelloni e da Fratello Chj, il primo si
complimentò dando appuntamento per il pranzo del giorno dopo, il
secondo rassicurò Pavol che lo avrebbe aiutato a scegliere la
squadra migliore per salpare verso L'Isolata.
57
Mentre
gli expirati avevano salutato la compagnia dirigendosi nuovamente
verso il vecchio podere sulle colline tra Fiordargilla e Livvì,
promettendo di farsi trovare, nella tarda mattinata del giorno dopo,
alla spiaggia libera, Pafol, Aziz, Arlòt, Teofània insieme ai tre
Monaci Sinc si incamminarono verso la motonave.
Tutti
aspettavano che a iniziare qualsiasi discorso fosse Pafol, ma il
neocapitano sembrava non aver voglia di chiacchierare e anzi tendeva
a rimanere indietro quasi a mostrare il desiderio di distanziarsi dal
gruppo per rimanere da solo,
- Dai, cl'è têrd. - (Dai
che è tardi.)
Aziz cercò di esortarlo ad accellerare il passo, ma fu subito
invitato a desistere da Fratello Chj,
- Lascialo stare, in
questo momento è meglio se Pafol sta dietro a tutti quanti, non
sempre un buon comandante è chi sta alla testa a volte è necessario
che stia nelle retrovie per aver più chiara la situazione. -
- Fratello Chj, dici che sta scegliendo chi tra noi
salirà sulla motonave insieme a quegl'altri? -
domandò Arlòt,
sempre insieme a Teofània, con un po' d'apprensione.
- Probabile. -
rispose laconico Fratello Chj, dirigendosi
verso Fratello Julius e Sorella Luna che si trovavano a qualche
decina di metri più avanti. - Hei voi due! -
- Sì? Fratello
Chj. -
risposero i due giovani Monaci Sinc volgendosi indietro.
- Noi tre dobbiamo parlare e sapete di cosa. -
Fratello
Julius e Sorella Luna sapevano che prima o poi questo momento sarebbe
arrivato, sapevano cioè che le loro strade si sarebbero separate
perché così voleva una delle regole dei Monaci Sinc: il Monaco Sinc
è un solitario, quando frequenta altre persone lo fa solo per loro
necessità e mai per un tempo troppo prolungato. - Dobbiamo
lasciarci proprio adesso Fratello Chj? -
- Sì, Sorella Luna,
tu e tuo fratello avete già passato troppo tempo insieme e tu hai
bisogno di fare la tua esperienza. -
- Ma io come faccio a
lasciare i miei amici proprio adesso? Sono tanto preoccupato per
Pafol. -
- Comprendo la tua preoccupazione Fratello Julius, ma
ricordati che hai già fatto molto e ora è arrivato il momento di
lasciare che le cose vadano da sé. -
Fratello Chj lasciò
trascorrere qualche minuto di silenzio poi prese la mano di Fratello
Julius e quella di Sorella Luna, le unì tra loro dicendo.
- Adesso godetevi queste ultime ore insieme sapendo
che un giorno potrete incotrarvi di nuovo, io e Sorella Luna domani
mattina presto andremo via, ognuno per la propria strada, tu Fratello
Julius resta. -
Poi Fratello Chj lasciò procedere avanti i due
Monaci Sinc e si lasciò passare anche da Aziz, Arlòt e Teofània,
per affiancarsi a Pafol.
- Come va capitano!?
-
- Eh? Ah sei tu Fratello Chj. -
Pafol, assorto nei suoi
pensieri non si era accorto che ormai erano arrivati alla spiaggia
libera dove si trovava la motonave, dovevano solo attraversare un
tratto di pineta e scavallare le dune di sabbia.
- Hai scelto
chi prendere con te sulla motonave? -
- Io, questi li vorrei
prendere tutti. -
rispose Pafol volgendo lo sguardo in avanti.
- Pensaci bene Pafol, pensaci
bene, scegliti le persone più adatte per affrontare quest'avventura,
tu lo sai che non sarà una passeggiata. - Con quelle parole
Fratello Chj, oltre a ricordagli le conseguenze a cui rischiava di
incorrere nell'affrontare quell'esperienza, voleva far capire a Pafol
che le persone meritano di essere collocate al posto giusto e non
bisognerebbe fargli fare ciò per il quale non sono portate.
- Ci penserò Fratello Chj. -
58
Per
tutta la notte Pafol faticò a prendere sonno, il compito che era
stato chiamato a svolgere richiedeva un'assoluta ponderazione,
le
parole di Fratello Chj non avevano fatto altro che alimentare quei
dubbi che nella notte prendevano la forma di incubi nei quali si
vedeva fallire miseramente, perdendo la fiducia di tutti
quanti.
Quando il sole fece capolino all'orizzonte, Pafol ebbe
l'unico momento di abbiocco, così non si rese conto che Fratello Chj
e Sorella Luna erano andati via; a svegliarlo fu lo schiamazzo degli
expirati giunti all'appuntamento in perfetto orario.
Aziz, Arlòt,
Teofània e Fratello Julius era svegli già da un po' e in attesa di
conoscere la decisione di Pafol avevano improvvisato una sfida a
racchettoni.
Pafol si rese conto che non avrebbe potuto ritardare
ancora per molto la sua decisione, quindi convocò tutti vicino alla
motonave, - Qualcuno ha visto Fratello Chj e Sorella Luna?
-
Fratello Julius che era l'unico ad essere a conoscenza di
dov'erano andati, spiegò ciò che gli era stato detto la sera prima,
Pafol si rattristò per la mancanza di Fratello Chj, al suo fianco,
la sua presenza gli dava un senso di sicurezza.
- Pafol, dai!/Ce la fai/Scegli e dicci con
chi vai. - Fratello Julius
si portò al suo fianco per dimostrargli sostegno, Pafol rinfrancato
della presenza della prima persona incontrata all'inizio di
quell'avventura, prese coraggio e face sapere che con lui sulla
motonave voleva soltanto gli expirati e Fratello Julius.
-Ma io
avevo detto che volevo andare in pensione. -
- Ah, è vero,
scusami Spugna, tu puoi restare a terra insieme ad Arlòt, Teofània
e Aziz. -
- Neca me? - (Anch'io)
domandò deluso Aziz.
- T'an um vu piò cun te dop tot ste tëmp?
(non
mi vuoi più con te dopo tutto questo tempo?)
Aziz
non volle restare lì e dando di schiena a Pafol andò via col
violino sulle spalle, a nulla servirono gli inviti che tutti gli
rivolgevano a tornare indietro, soltanto Spugna andò a raggiungerlo
oltre le dune ai margini della pineta.
- Dai, non fare così, se
Pafol ha scelto di non prenderti con te avrà avuto le sue ragioni,
guardami, ho qualche anno in più di te, ma non tanti, ho passato una
vita in mare e ti assicuro che non è una bella vita, fossi in te mi
godrei questi ultimi stracci di vita a fare ciò che mi rende felice,
te per esempio ti ho visto come cambi di espressione quando ti metti
a suonare il violino, a me invece piace suonare l'organetto, non son
di certo bravo come te, ma me la cavicchio. -
Le parole di Spugna
servirono a rasserenare Aziz che ebbe come la sensazione di aver
incontrato un nuovo amico e, quando si sentì chiedere:
- Ti andrebbe di fare qualche suonatina in giro e
poi spenderci i soldi guadagnati andando a bere in qualche bar? -
ne ebbe la gradita conferma.
Teofània e Arlòt invece
accolsero la decisione di Pafol con sollievo, poco prima si erano
confidati il desiderio di metter su famiglia.
Fratello Julius
dal canto suo aveva accettato più che volentieri di farsi
coinvolgere da Pafol, ma prima di mettersi a sua completa
disposizione volle isolarsi un po' per rendere grazie del dono
ricevuto rotolandosi allegramente giù da una duna.
Gli expirati
furono i primi ad avvicinarsi a Pafol, acclamandolo, portandolo in
trionfo e pronti ad eseguire i suoi comandi; fosse stato per loro
sarebbero saliti immediatamente sulla motonave pronti per salpare
verso L'Isolata, ma Pafol frenò subito il loro entusiasmo.
- Calma, prima bisogna informare l'Amministratore Delegato
che dovrebbe essere qui tra due orette e poi ditemi un po', quando
salta fuori Torquato L'Unghiato? -
- Torquato? Buono quello, è sparito
lasciandoci qua come degli imbecilli. -
rispose Squalo scaracciando per terra.
-Valà valà, meglio
perderlo che smarrirlo quello. -
aggiunse Turiddu agitando il
pugno come a voler colpirlo, seguirono pernacchie varie da parte
degli altri expirati.
Spugna che era tornato proprio in quel
momento insieme ad Aziz, accortosi di ciò che stava accadendo,
intervenì per mettere definitivamente fine all'argomento,
-
Torquato L'Unghiato non esiste più, dimentichiamolo tutti. -
Poi
rivolgendosi a Pafol lo rassicuro che quelli lì erano i migliori
uomini che potesse mai scegliere per fare quello che doveva fare.
- Io li conosco bene, ho passato una vita in mare insieme a loro,
mai avuto un problema. -
Pafol ascoltò rinfrancato dalle parole
di Spugna ma non potè fare a meno di notare che anche Aziz era
tornato. .
- Aziz, amico mio, non sei arrabbiato con me, vero?
-
- Bah, a j so armast un po' mêl, mo a dila tota t’e fat
bën e pu adès me am met andé in zir cun e mi nôv amig Spugna e a
sunè e a d’bè, a la fazaza di chi u'n s po dì. - (Bah,
ci sono rimasto un po' male ma a dira tutta hai fatto bene, E poi
adesso io mi metto ad andare in giro con il mio nuovo amico Spugna e
suoniamo e beviamo alla facciaccia di chi non si può dire.)
In
quel momento apparve sulla cima della duna Steve Pelloni insieme a
Fratello Julius che gli stava illustrando la scelta che Pafol aveva
fatto.
- Beh! alla fine hanno fatto come la pensavo io, lo sapevo
che finiva cosi, ho un sesto senso per queste cose. -
disse con
compicimento rivolgendosi all'amico Monaco Sinc, mentre insieme
scendevano giù dalla duna per raggiungere gli altri vicino alla
motonave.
59
Allora,
quando si …oilà! Che bella motonave tutta rossa! - Steve Pelloni
stava per chiedere a Pafol quando intendeva partire ma alla vista
della motonave tutta verniciata di rosso da cima a fondo ne rimase
esterefatto. - L'avete già battezzata? -
domandò ai presenti
-
No e a dir la verità non c'era neanche venuto in mente di darle un
nome. - rispose Pafol a nome di tutti.
- Ma come no? Bisogna
darle sempre un nome a una motonave e poi ci vuole anche una gran
festa. -
- Festa! Festa! Festa! … -
cominciarono a ripetere
gli expirati saltellando in girotondo.
- Lei Signorina, potrebbe
fare da madrina. -
disse Steve Pelloni rivolgendosi a Teofània
che acconsentì con un lieve rossore delle guance.
- Per la festa
ci vuole qualcosa da bere e da mangiare, dove lo andiamo a prendere?
-
domandò Arlòt sempre ben disposto a far baracca. - Se
torniamo a prendere la roba su al podere, io posso mettermi a cuocere
qualcosa. -
propose Turiddu,
- Ottimo, allora
stasera si fa festa e domani mattina presto si battezza la motonave.
-
confermò Steve Pelloni fermandosi ancora una volta a rimirare
la motonave.
- Ma cosa ne dite
se la chiamiamo La Rossa. -
- La
Rossa? -
chiesero alcuni,
- Ah, rossa è
rossa. -
constatarono altri
- Allora la chiamiamo La
Rossa? -
domandò Pafol in cerca di conferma
- Sì dai, viva La Rossa! -
urlarono tutti con entusiasmo.
Gli expirati partirono a tutto
gas verso il vecchio podere a recuperare un po' di pentolame e
qualche fornello dove cuocere quello che gli altri si apprestavano a
comperare presso un mercato ambulante che sapevano non troppo lontano
da lì. Steve Pelloni si congedò dal gruppo scusandosi di non poter
presenziare alla festa, anche per quella sera aveva programmato una
cena a lume di candela.
- Io
rimango qua con La Rossa, non mi va di lasciarla da sola. -
disse
Pafol mentre i suoi amici stavano andando a far la spesa.
- Giusto, un capitano non abbandona mai la sua nave. -
gli
rispose Spugna rivolgendogli un cenno d'intesa.
Verso il tramonto
gli expirati tornarono dal vecchio podere con pentole, padelle,
graticole, fornelli e anche un paio di tavoli e qualche panca di
legno.
Dal mercato ambulante Fratello Julius, Aziz, Spugna, Arlòt
e Teofània avevano portato soprattutto della carne da fare ai ferri,
braciole di maiale e di manzo in quantità, qualche pollo bello
pasciuto, poi del castrato, tanto castrato. Come contorno tre grossi
sacchi
di patate da fare fritte, qualche salume, del formaggio da sfettolare
nell'attesa che il resto cuocesse e soprattutto varie fiasche di vino
rosso per aiutare l'ingestione. Qualcuno si mise subito a cuocere la
carne, a pelare e a friggere le patate sotto le direttive di Turiddu,
altri prepararono la tavolata coordinati da Pafol, contemporaneamente
Aziz e Spugna si erano messi in disparte a provare insieme qualcosa
da suonare dopo la mangiata. - E' pronto! -
urlò Turiddu, invitando tutti quanti a sedersi attorno alla
tavola. A conclusione dell' abbondante abbuffata Aziz e
Spugna diedero il via al loro primo concertino in duo e suonarono
fino a notte fonda mentre le fiasche di vino rosso passavano di bocca
in bocca; quella sera anche Fratello Julius ci diede sotto col vino.
60
Cominciarono a riprendersi dalla sbornia nel primo pomeriggio, - Ci siamo? - domandò l'Amministratore Delegato della GRAN MADR che era lì pronto da qualche ora indossando la fascia istituzionale e tenendo stretta nella mano la bottiglia di spumante da spaccare contro la chiglia della motonave,
- Ci siamo! -
esclamò Pafol, inciampando sulla scala per salire sulla motonave. Gli expirati gli andarono dietro inciampando a loro volta sempre sullo stesso piolo. Per ultimo mise piede su La Rossa, Fratello Julius che pur essendo la prima volta in assoluto che beveva vino in quantità, aveva retto l'alcool meglio di tutti gli altri.
Tutto era pronto per il varo della motonave, ma prima bisognava scrivere sulle fiancate vicino alla prua e anche dietro nelle poppa il suo nome ovvero: La Rossa. - Qualcuno ha da scrivere? - domandò Steve Pelloni senza ottenere una risposta positiva. Si decise quindi di incidere il nome della motonave, per farlo si offrì Kabul che con la punta di un chiodo sfilato da un tavolo, a testa in giù e tenuto saldamente per i piedi da Magilla scrisse La Rossa in una calligrafia tutta arzigogolata.
A quel punto tutto pareva pronto per il varo, Steve Pelloni passò la bottiglia di spumante nelle mani di Teofània, Aziz e Spugna improvvisarono una marcetta con violino e organetto a cui Arlòt diede un tono più epico tenendo il tempo con sonori e potenti rutti. - Evviva La Rossa! - fu il grido che levarono tutti appena la bottiglia di spumante lanciata con una violenza inimmaginabile da Teofània si frantumò sul La Rossa. - A L'Isolata! - fu l'ordine che poco dopo diede Pafol, accendendo il motore della motonave.
Gli expirati si misero ai loro posti, Fratello Julius si piazzò sulla punta della prua, così come gli aveva chiesto il comandante, era lui che avrebbe dovuto annunciare quando L'Isolata sarebbe stata in vista. La Rossa cominciò a tagliare le onde una dopo l'altra mentre la costa della GRAN MADR lentamente si allontanava, all'orizzonte ancora non veniva segnalato niente, Pafol al timone fumava nervosamente la sua pipa caratina, tutti gli altri tacevano in attesa di qualsiasi ordine.
Dopo una cinquantina di miglia nautiche a Fratello Julius parve di scorgere qualcosa all'orizzonte, stava prendendo fiato per gridare. - L'Isolata! - ma improvvisamente come fosse sbucata dal nulla si ritrov con una nave che puntava dritto di prua verso La Rossa.
- Nave dritta di prua! - urlò a Pafol che immediatamente diede l'ordine di mettere il motore indietro tutta e iniziò a girare a più non posso il timone.
Sulla motonave il panico coinvolse tutti quanti, la collisione con l'altra imbarcazione fu evitato per un soffio; tornata la calma Pafol preferì rallentare il motore e riunire sulla plancia tutti quanti. - L'abbiamo scampata proprio bella. -
fu il commento sottintendeso dagli sguardi spauriti degli expirati. - Facciamo un altro tentativo? - Domandò Pafol senza sperarci troppo, gli expirati abituati a eseguire degli ordini soprattutto in mare aperto, si guardarono indecisi tra di loro. - - Boh... -
- Mah... - - Scusatemi tutti. - la voce di Fratello Julius che era rimasto dietro si fece avanti tra lo sconcerto generale. - E' stata un'illusione/ Veder l'imbarcazione/ Adesso che rifletto/ Invece era uno riflesso/ Bisogna aver coraggio/ Andiamo all'arrembaggio! -
Vedendo che i dubbi e il timore non si erano per niente dissipati, Fratello Julius si rivolse direttamente a Pafol sussurandogli all'orecchio. - Ricordati dello specchio nella soffitta della casa. - - Come?! - Fratello Julius fece l'occhiolino a Pafol e tornò al suo posto sulla punta della prua. - Motori avanti tutta! - Ordinò Pafol riportando La Rossa in direzione dell'isola artificiale. All'improvviso apparve nuovamente una nave dritta di prua, Fratello Julius questa volta alzò le braccia al cielo e con un enequivocabile gesto in avanti urlò a Pafol.
- Vai! -
Pafol diede ordine di mandare il motore avanti tutta e con le mani
ben salde al timone guidò la motonave dritta verso l'altra.
Un niente prima della collisione così come era apparsa, improvvisamene l'altra imbarcazione svanì, La Rossa squarciò lo specchio come se fosse un sottilissimo velo e di fronte apparve l'isola artificiale in tutto il suo splendore.
- Ecco L'Isolata! -
urlò Fratello Julius. - Ce l'abbiamo fatta! -
urlò Pafol, tra le grida di gioia e l'entusiasmo di tutti. Nessuno poteva immaginare che la notte prima, un uomo tracagnotto su una precaria barca a remi e con un disperato desiderio di cambiare vita, li aveva preceduti su L'Isolata.
...
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