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Si pensò che il proiettile che lo colpì alla spalla avesse leso qualche nervo che non si sa bene con quale effetto domino aveva intaccato la zona del cervello adibita al linguaggio e al raziocinio.
Fu trasportato d’urgenza in una clinica per malati mentali in una località segreta, lì provarono a curarlo, a far tornare il vecchio Aziz, quello dalla parlantina sciolta, quello che col violino faceva innamorare le ragazze soprattutto se suonava Help o Ticket to ride o Lady Jane o Yesterday, ma che si innamorò di Fatima fin dal primo giorno di prima elementari.
Fatima che si chiamava proprio così dalla nascita, in onore della Madonna.
Tutto inutile, Aziz continuava a parlare con la sua nuova lingua, e non è che parlasse molto, anzi spesso taceva, ma non perché non sapesse cosa dire ma perché non aveva voglia di dire niente, e poi si era rotto di tutta quella gente attorno a mala pena riusciva a sopportare Fatima e poi mai che si potesse aver un attimo di intimità con la propria moglie, c’erano sempre presenti almeno 2 infermieri e le telecamere a circuito chiuso che filmavano ogni suo passo.
Passarono gli anni e Aziz non uscì più dalla clinica, Fatima fu l’ultima ad abbandonarlo mentre fu il trentatre barrato ad abbandonare Fatima distesa esanime sull'asfalto, quel giorno che c’era lo sciopero dei tranvieri.
Chi guidava quel tram non si seppe mai, qualcuno notò due grandi enormi ombre scure.
Quando Pavol Tricheco trovò la casa di Aziz, non la trovò come un tempo, possibile che Aziz si fosse trasferito?
Chiese informazioni al vicinato, nessuno seppe dargli risposta, sul campanello c’ era ancora il cartellino sbiadito:
Aziz Bin-Moah e Fatima Mariani.
Pavol andò oltre, poi tornò indietro verso il porto, ormai convinto che Aziz non abitava più in quella città, cercò Julius e lo trovò mentre giocava con un flipper in un bar pieno di vecchi marinai, entrò anche lui e si appoggio al banco ordinando una media scura.
Mentre sorseggiava la schiuma volle fare un ultimo tentativo e chiese al barista se per caso avesse mai sentito parlare di un certo Aziz il violinista, tutto il bar si ammutolì solo la pallina del flipper seviziato da Julius continuava sbatacchiare in qua e in là.
Lì qualcuno sapeva.
Alcuni marinai invitarono Pavol a sedersi al loro tavolo, a uno sguardo veloce poteva sembrare che Pavol fosse uno di loro, stesso maglione di lana grossa, stessa barba incolte, stessi baffi spioventi, stesso odore di tabacco, gli raccontarono di un matto che parlava strano e che girava con un violino e che tutte le notti di luna piena andava al cimitero e suonava serenate alla tomba di una certa Fatima Mariani morta investita da un tram.
“D’accordo, Aziz suonava il violino, e sua moglie si chiamava Fatima Mariani”
pensò Pavol tra sé e sé
“Ma matto e che parlava strano?”
Questa poi non sapeva dove mettersela
“E dove lo posso trovare?”
chiese ai suoi nuovi amici.
“Lo trovi certamente al parco, dorme sempre su una panchina vicino al laghetto”
gli rispose il più vecchio del gruppo.
Chiamò Julius e insieme uscirono veloci verso il parco.
“Hei lo sai ho fatto il botto, col flipper oggi ho sbancato il lotto,
dovevi vedere come girava la pallina ma che faccia hai? sembri venir dalla cantina?”
Pavol non aveva voglia di parlare, lo sguardo dritto a tre metri davanti a se giusto per non incespicare in qualche sampietrino messo male, sudava dagli occhi.
Anche a Julius passò la voglia di parlare, ormai conosceva abbastanza bene Pavol da capire che quello era il momento di tacere, fisso anche lui lo sguardo avanti di tre metri e insieme giunsero al parco.
Il laghetto si trovava proprio nel centro del parco, un laghetto tondo come un cratere dove nuotavano in armonia natatoria: cigni, folaghe, germani e oche.
Qualche bambino gettava briciole di pane tra le sbarre del recinto, guardando ammirato i pesci venir a pelo d’ acqua a papparsi il briciolo.
Su una panchina poco più in là un uomo sdraiato la occupava per intero.
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