giovedì 25 ottobre 2012

venì, venì e mi amore


(la n'è brisal una rece)



La prima volta che ho conosciuto Pietro erano i primi anni '80, io ero un ragazzo dell'ACR e lui insieme ad altri educatori suonava nei “Duriam Duriam”.
Sono passati una trentina di anni, nei quali ho seguito il percorso musicale di Pietro, dai già citati “Duriam Duriam” (in seguito “Gulliver”) e i più intimistici “Vertigine Lenta” (“Lo stelo del fiore” a distanza di anni resta uno dei demo migliori che mi sia capitato di ascoltare), fino all'inizio della carriera solista e alla decisione di assumere lo pseudonimo Quinzân.
Gli ultimi dieci anni, grazie ad amicizie diventate comuni, li abbiamo trascorsi collaborando a stretto contatto nell'esaltante esperienza del folk festival “La Musica nelle Aie” e adesso sono qui ad aiutarlo nella promozione del suo nuovo album “Venì, venì e mi amore”.
La prima volta che ho ascoltato “Venì, venì e mi amore” sono rimasto un po' spiazzato trovandolo differente dai precedenti “U n' piov” e “Lom a merz”, ma ancora saldamente romagnolo, perfetta sintesi di quella Romagna,  terra tradizionalmente abituata ad assorbire e fare propri suoni provenienti da altre parti del mondo.
Venì, Venì e mi amore” è soprattutto un album che riesce ad esprimere al meglio quello che è il “mondo Quinzân”, un mondo fatto dell'amore per la propria terra, quella coltivata e che gli permette di produrre vini di ottima qualità, quella raccontata ai ragazzi che frequentano la sua Fattoria didattica e ovviamente fatto di tutte quelle esperienze sociali, culturali e relazionali vissute in prima persona da Pietro senza risparmiarsi.
Un album pieno di suoni, quasi schizofrenico con quel suo alternarsi di canzoni allegre e malinconiche (in realtà c'è un disegno ben preciso), che hanno il pregio di risultare piacevoli a seconda dell'umore... e dell'età di chi ascolta.