lunedì 24 ottobre 2011

con moderato dolore


(per la morte di un vip)


sarà perché nella mia vita non ho mai e non intendo nemmeno iniziare da ora, fatto di qualsiasi personaggio un idolo, al massimo c'è sempre stato qualcuno verso il quale per un motivo o per un altro ho provato particolare stima ma senza farne un icona da venerare.
Per questo motivo quando sopraggiunge la morte di un vip non riesco ad andare oltre a un moderato dolore, a un dispiacere di circostanza e non posso fare a meno di chiedermi se gli altri hanno un livello di sensibilità maggiore della mia oppure si omologano soltanto.
Per quel che mi riguarda penso che conserverò quel dolore necessario per momenti più miei.

martedì 18 ottobre 2011

7 anni

(di blog)

7 anni di "Cose dell'Aldo mondo" su 3 diverse piattaforme (per necessità e per scelta), 748 post ( a maggioranza completamente originali!) in 2556 giorni (praticamente un post ogni 3 giorni e mezzo), svariati argomenti trattati (però con pochi commenti) non tantissime visite (ma sufficienti per stare nella "colonna di sinistra" delle classifiche sui blog) e tutto sommato un bellissimo passatempo.

lunedì 17 ottobre 2011

fottuta velocità

(ciò che manca è la resistenza)



mettere insieme dei pensieri per costruire un discorso sensato non è mai facile quando questi pensieri sono tanti e anche un po' contrastanti tra loro come quelli che si possono generare dopo episodi come quelli del 15 ottobre a Roma, il rischio è quello di far di tutta l'erba un fascio o di perdersi in “sìmaperò” altrettanto deleteri, ciò che è certo è che la responsabilità di tutto questo non è da cercare nei singoli o nelle situazioni circostanziate, la responsabilità sta oltre e sta dentro ognuno di noi, è nell'epoca e nella cultura che viviamo quotidianamente, quella della velocità.
Ciò che ci sta fregando è il tutto e subito è l'abitudine a frequentare i supermercati dove in poche decine di metri trovi tutto l'occorrente per fare una spesa che una volta toccava fare almeno il giro del quartiere e a ogni bottega bisognava aspettare il proprio turno prima di poter essere serviti, è la moda del fast food, del self-service, ovvero del contrario di tutto ciò che vuol dire sedersi comodi, aspettare e gustare con calma, è sapere che un film appena uscito nelle sale cinematografiche domani te lo puoi già vedere comodo dal tuo divano di casa perché è già uscito il dvd o lo danno già in tv, è quella cosa per cui ogni marchingegno che compri diventa già vecchio che non hai avuto ancora il tempo per imparare a usarlo ed è incompatibile, e tu diventi incompatibile, con ciò che gira attorno.
Ciò che ci sta fregando è vivere in un'epoca in cui la cultura predominante è quella del non saper attendere, è quella che per cui ci si stufa presto delle cose, specie se queste non producono i risultati sperati nell'immediato; certo è un modo di vivere a cui ormai siamo assuefatti, che ci piace perché è comodo (già...comodità... altra cosa che ci sta fregando) e allora succede che anche nelle cose meno materiali questa mania della velocità, del tutto e subito, del non poter attendere, del cambiamento rapido prende il sopravvento, quindi si cambia nome ai partiti, si cambia nome ai movimenti, quasi vergognandosi di ciò che si era e sostanzialmente si è ancora, si agisce di fretta, non ci si guarda attorno, non ci si guarda dentro, si colpisce e si scappa, senza aspettare, incapaci ormai della pur minima resistenza.
Resistenza, si chiamava Resistenza una sessantina di anni perché non è stata fatta con velocità, non è stato un gesto rapido, uno sforzo improvviso, lo scoppio di un  petardo, è stata rinuncia, metodo, costanza, è stata pazienza che non vuol dire stare immobili e inermi ma vuol dire scegliere la strada da percorrere e camminare senza fermarsi mai.

mercoledì 12 ottobre 2011

ma che cultura?


(a fajence)


(post originale del 14/3/11 che torna a bomba in questi giorni)


Quando la cultura eccede nell'onanismo è un fallimento.
Trovo che questo sia il risultato di certe situazioni di mia conoscenza che da almeno cinque anni, si riempiono la bocca del termine cultura alternandolo con altri vocaboli quali arte o contemporaneità.
Sia ben chiaro, l'idea di base è ottima e anche coloro che si sono assunti il ruolo di promotori hanno (avrebbero) tutte le carte in regola, ma ritengo che a questo punto invece di continuare a raccontarsele sia giunto il momento di tirare le somme e sinceramente io non ho visto e non vedo dei grandi risultati.
Credo che si sia voluto puntare troppo in alto, scegliendo percorsi invisibili e incomprensibili alla gente, la quale purtroppo nuota in un livello culturale piatto e molto basso. 
Con ciò non voglio dire che ci si dovrebbe adattare a questa melma però sono convinto che esistano ben altri modi di fare cultura per elevare e smuovere il livello culturale anche di chi apparentemente appare alieno al riguardo.
Non è la gente che deve andare verso la cultura ma la cultura che deve andare incontro alla gente e la gente checchè se ne dica ne ha sete, però è necessario che le si faccia notare che ciò che le viene offerto è potabile e dissetante e non un intruglio che anche l'occhio tende a rifiutare.
L'esempio non mancherebbe e guarda caso è quello che relativamente al tam tam promozionale e al supporto finanziario è quello che muove più gente e non riceve critiche.


martedì 11 ottobre 2011

del porco non si butta via niente

(poesia in ritmo di valzer)


si buttano stelle filanti e coriandoli
nei giorni di festa dai carri allegorici
si buttano riso e fiori agli sposi
si buttano riso e fiori agli sposi

si butta la pasta che bolle già l'acqua
e un poco di sale per insaporirla
si butta lo sguardo a una bella vista
si butta lo sguardo a una bella vista

si buttan monete nel pozzo profondo
per un desiderio che è sempre lo stesso
si mangia la polpa si butta via il resto
si mangia la polpa si butta via il resto

si butta via il rusco maleodorante
si butta lontano quel suo odore fetente
ma del porco non si butta via niente
ma del porco non si butta via niente




lunedì 10 ottobre 2011

l'agrimetropoli


(terra di passaggio e di frontiera)



In questi giorni mi sono dilettato nella lettura di un libro molto interessante: Vocabolario Etimologico Romagnolo, un' occasione per scoprire da dove derivano molte parole ascoltate e parlate fin dall'infanzia.
La lettura, oltre a soddisfare questa mia curiosità mi ha permesso di prendere ulteriore coscienza che i confini in fondo non sono altro che linee esistenti solo sulle cartine geografiche, illusorie pareti nella testa di alcuni e che le parole più delle persone viaggiano, si trasformano e si adattano a tutti i luoghi in cui abitano.
In Romagna, il dialetto locale ha subito influenze a 360° e se una stragrande maggioranza di termini ha origini latine, lascito dell'impero romano, non sfuggono i tanti vocaboli ereditati dai popoli nordici che hanno abitato questo territorio.
Ritenendo prevedibile che anche il dialetto romagnolo, durante i secoli si sia arricchito di terminologie la cui provenienza è da collocare in lingue straniere ma pur sempre europee non si può rimanere indifferenti nello scoprire che ci sono parole che traggono origine da idiomi più esotici come l'ebraico o l'arabo.
Tuttavia, riflettendo un attimo, credo non sia così sorprendente, infatti la Romagna da sempre può essere definita come una terra di passaggio e di frontiera, in cui multiculturalità e radici popolari hanno convissuto, convivono e conviveranno soprattutto grazie alle due linee urbanizzate costituite dalla riviera adriatica e dalla via Emilia, diramandosi poi verso le valli appenniniche e le terre coltivate della pianura padana, rendendo sostanzialmente la Romagna non come alcuni sostengono una regione o una provincia il cui perimetro è definibile con una certa precisione ma come una sorta di metropoli (perciò illimitabile) non troppo dissimile ad altre sparse per il mondo e comunemente riconosciute, ma che per il suo indissolubile legame con la cultura contadina è più sensato definire “agrimetropoli”.




giovedì 6 ottobre 2011

di' qualcosa!


(il silenzio assordante della massa)




Quando succedono eventi di cui tutti parlano, mi trovo sempre davanti all'indecisione tra l'unirmi al gregge di coloro che si omologano all'argomento, distinguermi parzialmente vestendo la lana della pecora nera che ne parla ma in maniera diversa, oppure scegliere la strada del silenzio ovvero quella di chi rischia la figura di colui che non coglie l'attimo.
Frequentando da alcuni anni la grande città dei Blog e dei Social Network, mi sono reso conto che in certe giornate i cittadini che la abitano non abbiano nulla da dire oltre ciò che ha già detto il vicino o il vicino del vicino e non capisco se lo fanno perché non hanno idee o se è per sentirsi parte di qualcosa.
Io capisco chi sente il bisogno di essere parte di qualcosa, l'appartenenza è forse il primo tra i bisogni ancestrali dell'Uomo, però io ho la predilezione per coloro che specie in certe occasioni sono capaci di originalità, per quelli che non taciono ma sono capaci di dire nuove cose, altre cose, per quella sparuta minoranza spesso ignorata dalla massa.